Biomarcatori correlati all’ipoglicemia severa e scarso controllo glicemico nello studio ACCORD

a cura di Francesco Giorgino

Dipartimento dell’Emergenza e dei Trapianti di Organi, Sezione di Medicina Interna, Endocrinologia, Andrologia e Malattie Metaboliche, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”

Biomarkers related to severe hypoglycaemia and lack of good glycaemic control in ACCORD – Biomarcatori correlati all’ipoglicemia severa e scarso controllo glicemico nello studio ACCORD

Chow LS, Chen H, Miller ME, Marcovina SM, Seaquist ER.

Diabetologia 2015; 58: 1160-1066.

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È noto che un controllo glicemico intensivo in pazienti diabetici riduce le complicanze microvascolari, ma i più frequenti episodi di ipoglicemia severa rappresentano una complicanza della terapia intensiva. In pazienti diabetici di tipo 2, l’identificazione di biomarcatori in grado di predire il successo del controllo glicemico intensivo senza lo sviluppo di ipoglicemie severe porterebbe ad un miglioramento della cura. Nello studio ACCORD (Action to Control Cardiovascular Risk in Diabetes), in pazienti che ricevevano il trattamento intensivo per il diabete, è stato ipotizzato che il deficit di insulina e la positività per gli autoanticorpi pancreatici potrebbero associarsi con gli episodi di ipoglicemia severa e con la difficoltà a raggiungere un ottimale controllo glicometabolico individuato da un valore di HbA1c <6,0% (42 mmol/l).

Sono stati selezionati 326 partecipanti che hanno presentato episodi di ipoglicemia severa e difficoltà a raggiungere un valore di HbA1c <6,0%. Al contrario, i pazienti individuati come controlli (n=1075) raggiungevano un livello di HbA1c<6,0%. In tutti i pazienti è stato misurato il possibile deficit di insulina al basale mediante valutazione del peptide-C a digiuno (peptide-C a digiuno ≤0,15 nnmol/l) e la positività per gli autoanticorpi pancreatici (anti-decarbossilasi dell’acido glutammico, GAD; anti-tirosin-fosfatasi, IA2; anti-insulina, IAA; e anti trasportatore dello zinco 8, ZnT8). I casi di ipoglicemia severa si accompagnavano all’incapacità di raggiungere un livello di HbA1c <6% e si associavano al deficit insulinico al basale e alla positività per gli autoanticorpi pancreatici. Come si può osservare dalla Tabella 1, il deficit di insulina all’inizio della studio si associava con un più alto odds ratio (OR) per ipoglicemia severa e per fallimento nel raggiungimento di un livello di HbA1c ≤6,0% (42 mmol/mol), che persisteva dopo aggiustamento per età, BMI, durata del diabete e esclusione di pazienti deceduti durante lo studio. Questo risultato era anche associato con la positività per gli IAA e l’utilizzo di insulina all’inizio dello studio, e con la positività per gli anti-GAD, anti-IA2 e anti-ZnT8. Questi risultati suggeriscono che il peptide C e i livelli di autoanticorpi potrebbero servire come biomarcatori plasmatici per predire il rischio di ipoglicemia severa durante l’intensificazione della terapia del diabete di tipo 2.

L’ipoglicemia severa è una complicanza grave della terapia del diabete: in pazienti con diabete di tipo 2 si associa con un aumento del rischio di mortalità e richiede il ricorso urgente a visite mediche. L’età avanzata, la durata del diabete, la presenza di co-morbidità, l’intensificazione del trattamento e il trattamento insulinico, si associano tutti con un incremento dei casi di ipoglicemia. È importante sottolineare che recenti studi hanno mostrato una associazione tra ipoglicemia severa e uso dell’insulina anche in pazienti che non raggiungono i target intensivi del controllo glicemico. Questo studio ha identificato alcuni biomarcatori che si associano con l’ipoglicemia severa e con l’incapacità nel raggiungere un valore di HbA1c <6% nel gruppo in trattamento intensivo, fornendo in tal modo potenziali strumenti per identificare i pazienti che possono raggiungere più bassi valori di HbA1c senza un significativo incremento del rischio di ipoglicemia severa. Dalla letteratura è nota l’esistenza di un rapporto tra deficit di insulina e ipoglicemia severa in diabetici di tipo 2. In soggetti diabetici di tipo 2 con una durata del diabete >3 anni e la presenza di autoimmunità pancreatica si può sviluppare una condizione di deficit insulinico paragonabile a quella dei pazienti con diabete di tipo 1 con lo stesso rischio di andare incontro ad ipoglicemia. Al momento rimane ancora non spiegato se il meccanismo di questo deficit di insulina nasce dall’autoimmunità o dalla progressiva disfunzione beta-cellulare. Un sottogruppo di pazienti diabetici di tipo 2 positivo per gli autoanticorpi insulari (7-10%) avevano il LADA (latent autoimmune diabetes in adults). La presenza di LADA predice la necessità di trattamento insulinico. Dato che i partecipanti allo studio erano diagnosticati clinicamente come diabetici di tipo 2 e solo in maniera retrospettiva identificati come positivi per gli autoanticorpi pancreatici, questi risultati potrebbero essere la conseguenza di un LADA di lunga durata e suggeriscono un più alto rischio di ipoglicemia severa essendo questi pazienti incapaci di raggiungere un livello di HbA1c vicino alla normalità.

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Questo studio dimostra che biomarcatori del grado di deficit insulinico possono predire la risposta all’intensificazione del controllo glicemico di pazienti con diabete di tipo 2. È noto che gli obiettivi glicemici possono variare ad esempio a seconda dell’età dei pazienti: un target glicemico meno stringente è richiesto per i pazienti più anziani in modo da ridurre le complicanze. Quantificare il deficit insulinico potrebbe essere importante in quanto permetterebbe di modificare gli obiettivi glicemici senza tenere in considerazione l’età, soprattutto se i rischi di ipoglicemia severa superano i benefici di un controllo glicemico intensivo. Ulteriori studi saranno necessari per comprendere se l’individuazione di target glicemici basati sulla positività per i marcatori di deficit insulinico o per gli autoanticorpi pancreatici miglioreranno gli outcome nei pazienti con diabete di tipo 2.

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