Applicazioni traslazionali dell’immunometabolismo nelle malattie metaboliche e nel diabete

Rubrica a cura di Lorella Marselli

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Pisa

Fabrizia Bonacina1, Andrea Baragetti1,2, Alberico Luigi Catapano1,3, Giuseppe Danilo Norata1,2

1Dipartimento di Eccellenza di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari (DisFeB), Università degli Studi di Milano, Milano; 2Centro SISA per lo Studio dell’Aterosclerosi, Ospedale Bassini, Cinisello Balsamo; 3IRCSS Multimedica, Milano

DOI: 10.30682/ildia1803g

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La diffusione endemica dell’obesità rappresenta il primo fattore di rischio per lo sviluppo di diabete di tipo 2 (T2DM) e delle complicanze cardiovascolari collegate. L’insulino-resistenza e la disfunzione delle cellule beta pancreatiche vengono considerate tra i principali meccanismi responsabili dell’insorgenza di alterazioni metaboliche e della evoluzione verso la condizione di diabete. In particolare, la sindrome metabolica rappresenta uno stato patologico caratterizzato da obesità viscerale e dislipidemia, in cui l’insorgenza di insulino-resistenza e di infiammazione cronica, monitorata nella pratica clinica come aumento dei livelli plasmatici della proteina C-reattiva (CRP), predispone allo sviluppo di diabete e delle sue complicanze, quali malattie renali e cardiovascolari. La progressione verso lo stato patologico è pertanto il risultato anche dell’insorgenza di una risposta immuno-infiammatoria cronica, sia a livello del tessuto adiposo che sistemica. L’eccesso di nutrienti assunti con la dieta genera uno stato di surplus energetico che l’organismo immagazzina sotto forma di grasso nel tessuto adiposo; non solo la disfunzione degli adipociti scatena una risposta infiammatoria, ma l’aumentata disponibilità dei nutrienti (quali glucosio ed acidi grassi) può influenzare il metabolismo delle cellule immunitarie, determinandone un cambiamento funzionale. Il mantenimento dell’equilibrio metabolico e funzionale è stato recentemente descritto come un tratto tipico delle cellule immunitarie e classificato con il termine di “immuno-metabolismo”.

Attori della risposta immuno-infiammatoria nelle malattie metaboliche e nel diabete

L’insorgenza di insulino-resistenza e l’attivazione della risposta immuno-infiammatoria sono strettamente interconnesse nell’evoluzione della malattia metabolica. Da un lato, infatti, la resistenza all’insulina si manifesta come conseguenza dell’accumulo di lipidi non solo a livello degli adipociti, ma anche di alcune cellule immunitarie come monociti e macrofagi, dall’altro viene amplificata dal basso grado di infiammazione che si accompagna all’obesità. L’accumulo intracellulare dei lipidi, specialmente nella forma di gocce lipidiche, provoca stress e danno mitocondriale, con aumento della concentrazione di diacilglicerolo che, tramite attivazione della proteina chinasi C di tipo ε (PKCε), reprime l’attività tirosin-chinasica del recettore dell’insulina a livello del tessuto muscolare ed epatico, con conseguente comparsa di insulino-resistenza (1). Anche la funzionalità del reticolo endoplasmatico è influenzata dalla alterata disponibilità dei nutrienti che si verifica in condizioni di dismetabolismo e che, a sua volta, influenza tutti quei processi cellulari (uptake di glucosio e acidi grassi, lipolisi e lipogenesi) necessari per il corretto bilancio energetico della cellula (2).

Un altro effetto dell’alterato assetto metabolico è l’attivazione di mediatori della risposta infiammatoria, quali NF-kB (nuclear factor kappa-light-chain-enhancer of activated B cells) e il suo attivatore IKK che, fosforilando il recettore IRS-1, a sua volta altera il segnale insulinico (3). Modelli animali con alterazione di queste vie a livello mieloide ed epatico presentano un miglioramento dell’omeostasi del glucosio (4-5), mentre la loro espressione costitutiva nel fegato promuove l’espressione di citochine infiammatorie e lo sviluppo di insulino-resistenza (6). Tuttavia, è interessante osservare che la delezione di IKKb (Inhibitor of nuclear factor Kappa-B Kinase subunit beta) negli adipociti si associa ad una compromissione del metabolismo del glucosio (7), a suggerire che l’attivazione della risposta infiammatoria locale risulta ad ogni modo fondamentale per la corretta fisiologia del tessuto adiposo e che l’attivazione della via NF-kB possa generare un fenotipo differente a seconda della tipologia cellulare coinvolta. Già negli anni Sessanta, le prime analisi istologiche del tessuto adiposo di topi obesi avevano mostrato la presenza di cellule immunitarie, tra cui macrofagi e mastociti (8-9), inaugurando un filone di ricerca volto a definire i meccanismi molecolari e cellulari che connettono l’attivazione della risposta immuno-infiammatoria all’alterazione della risposta metabolica. Topi privi di TNF-α (Tumor Necrosis Factor-alpha) presentano una migliore tolleranza al glucosio e un aumento della sensibilità all’insulina (10); nell’uomo, polimorfismi del gene TNF si associano allo sviluppo di obesità, T2DM e sindrome metabolica (11). Successivamente sono stati identificati numerosi mediatori, tra cui citochine e proteine di fase acuta, che marcano la risposta immuno-infiammatoria che accompagna la sindrome metabolica; tra questi, la proteina C reattiva, i cui livelli risultano più elevati già in pazienti pre-diabetici. Anche i livelli del recettore dell’interleuchina 1a (IL-1Ra) aumentano progressivamente con il peggioramento del controllo glicemico (12), a suggerire che l’instaurarsi di un circolo vizioso tra la risposta infiammatoria e le alterazioni metaboliche sostengano l’insulino-resistenza.

La caratterizzazione della composizione cellulare del tessuto adiposo ha mostrato come questo tessuto sia un reservoir fisiologico di cellule immunitarie che nell’individuo magro presentano un fenotipo tolerogenico, risolutivo e anti-infiammatorio; in particolare è stata descritta la presenza di macrofagi M2, caratterizzati dalla produzione di IL-10 e arginasi 1. Al contrario, nella condizione di obesità si assiste sia a un’attivazione locale sia a un’infiltrazione nel tessuto adiposo di cellule immunitarie scatenando una risposta pro-infiammatoria, la cui cronicizzazione predispone allo sviluppo di complicanze cardio-metaboliche. Infatti, l’aumento dei livelli circolanti di marcatori di infiammazione, quali IL-1β, IL-6 e TNF, che si osserva in condizioni di obesità, riflette la presenza nel tessuto adiposo di cellule immunitarie attivate, quali i macrofagi che acquisiscono un fenotipo pro-infiammatorio, di tipo M1, caratterizzato dall’elevata espressione di iNOS e TNF (13). Tale cambiamento fenotipico promuove da una parte lo sviluppo di insulino-resistenza negli adipociti, dall’altra il richiamo e la proliferazione locale di altri macrofagi. A dimostrazione della rilevanza di tali meccanismi, topi mancanti della proteina MCP1, una proteina chemiotattica, presentano una riduzione dell’infiltrazione dei macrofagi nel tessuto adiposo che si traduce in una migliore sensibilità insulinica e ridotta steatosi epatica (14). Questi meccanismi si estendono anche ad altre classi di cellule immunitarie, incluse le cellule dell’immunità adattativa. L’evidenza di un accumulo di linfociti T regolatori nel tessuto adiposo dell’individuo “magro” ha suggerito un ruolo di queste cellule nel mantenimento della tolleranza insulinica, mentre l’infiltrazione di linfociti B osservata in topi obesi determina l’effetto opposto. È importante sottolineare che topi SCID (mancanti sia di linfociti T che B) mostrano comunque un’alterazione dell’omeostasi glucidica (15) quando alimentati con una dieta ricca in grassi, suggerendo un impatto sulla risposta immuno-infiammatoria che va oltre queste classi di linfociti. Inoltre, l’osservazione che all’incremento dell’indice di massa corporea (BMI) corrisponda un aumento dei livelli circolanti di specifiche classi di linfociti come quelli CD4+ effettori (CD4 TEM) suggerisce che l’attivazione della risposta immunitaria adattativa possa contribuire al peggioramento della condizione dismetabolica più che esserne la causa scatenante (16).

Immunometabolismo

La comprensione delle vie metaboliche in grado di orientare la risposta immunitaria ha portato allo sviluppo di un nuovo campo di ricerca noto come immunometabolismo. Questo campo si occupa di comprendere come cambiamenti nella disponibilità di nutrienti quali lipidi, glucosio o amminoacidi influenzino i processi cellulari che portano all’attivazione delle cellule immunitarie. Per esempio, gli acidi grassi liberi agiscono da ligandi per i recettori toll-like TLR2 e TLR4 (17) e topi privi di TLR4 sono protetti dall’obesità indotta da una dieta ricca in acidi grassi saturi (18). È noto che elevati livelli circolanti di palmitato (uno dei più abbondanti acidi grassi saturi), che si osservano in topi sottoposti a dieta obesogena, promuovono direttamente l’attivazione della risposta immunitaria, sia agendo sull’attivazione dell’inflammasoma con conseguente rilascio di IL-1β e IL-18 da parte dei macrofagi, sia promuovendo la polarizzazione dei linfociti CD4+ verso un fenotipo effettore. Queste osservazioni suggeriscono l’esistenza di una integrazione tra i segnali metabolici ed infiammatori nelle cellule immunitarie sia a livello di trasduzione del segnale che di espressione genica. Ad esempio, l’attivazione di vie responsive alla presenza di nutrienti, quali AMPK (5’ adenosine monophosphate-activated protein kinase) e mTORc1 (mammalian target of rapamycin complex 1), polarizzano le cellule immunitarie verso un fenotipo infiammatorio, mentre la mancanza della subunità catalitica α di AMPK impedisce la polarizzazione dei macrofagi verso un fenotipo anti-infiammatorio (19). Analogamente, la via mTOR-SREBPs (sterol regulatory element-binding proteins) risulta fondamentale per l’attivazione e la proliferazione dei linfociti T; infatti, la promozione della sintesi de novo di colesterolo e acidi grassi fornisce molecole chiave per la costruzione di nuove membrane, favorendo una corretta proliferazione cellulare (20). Da notare che un’alterazione dei meccanismi di efflusso di lipidi dalla cellula, come quelli associati alla via del recettore LXR (liver X receptor), provocano un aumento della mielopoiesi e attivazione dei macrofagi e delle cellule dendritiche (21-22). Sebbene queste condizioni siano state associate ad un aumento del rischio cardiovascolare, simili evidenze sono state riscontrate anche nel contesto dell’obesità; l’espansione dei progenitori mieloidi, osservata in condizioni di obesità indotta dalla dieta, è stata associata ad un aumento dell’infiltrazione e attivazione macrofagica nel tessuto adiposo (23).

Anche la condizione iperglicemica è in grado di modulare la risposta metabolica delle cellule immunitarie, influenzando così la loro attività. Un aumento della disponibilità di glucosio, come conseguenza di una transitoria insulino-resistenza, è un meccanismo di adattamento acuto volto a soddisfare le aumentate richieste energetiche delle cellule immunitarie per contrastare un’infezione. In queste condizioni, l’attivazione della glicolisi nelle cellule immunitarie favorisce l’acquisizione di un fenotipo pro-infiammatorio. Questa condizione viene osservata anche durante un’infezione virale ed è coinvolta nel sostenere la risposta mediata dai linfociti CD8+ (24).

La riprogrammazione metabolica rappresenta anche un adattamento al microambiente in cui le cellule immunitarie risiedono e/o migrano. L’attivazione della glicolisi anaerobica consente una maggior sopravvivenza dei macrofagi nel tessuto adiposo a causa della riduzione locale della tensione di ossigeno (25). Analogamente, l’attivazione della via glicolitica anaerobica provoca un accumulo degli intermedi del ciclo di Krebs che, non più usati a scopi energetici, diventano fondamentali per la produzione di citochine pro-infiammatorie (26).

Sebbene molti di questi adattamenti immunometabolici rappresentino una risposta fisiologica all’alterazione del metabolismo sistemico, se protratti nel tempo generano un’attivazione cronica della risposta immunitaria. L’iperglicemia per esempio, stimola la maturazione delle cellule progenitrici ematopoietiche (HPCs) in modelli murini di diabete indotto dalla somministrazione di streptozotocina. Questa osservazione è in accordo con l’aumento del numero dei globuli bianchi circolanti che si osserva nei pazienti diabetici. All’opposto, le ipoglicemie, come possono talora verificarsi in pazienti con diabete mellito di tipo 1, in conseguenza del trattamento insulinico intensivo, potrebbero spiegare la drastica riduzione delle cellule progenitrici CD34+ che si osserva in tali soggetti; tale effetto non viene riportato quando la glicemia viene controllata da una singola somministrazione di insulina (27).

Infine, crescenti evidenze suggeriscono che l’ambiente pro-infiammatorio cronico inneschi, in alcuni pazienti con T2DM, una reazione autoimmunitaria contro le isole pancreatiche, spesso identificata attraverso la presenza di autoanticorpi anti-acido glutammico decarbossilasi (GAD) (28), che porta ad una compromissione dell’attività delle cellule beta (29) e promuove l’attivazione dell’immunità innata e adattativa sistemica (30). In generale, si ritiene che lo stress metabolico legato alla glucotossicità e alla lipotossicità possa innescare un aumento della produzione cellulare di citochine e chemochine, con conseguente aumento del reclutamento di monociti dal sangue e accumulo di macrofagi con un fenotipo simile a quello pro-infiammatorio M1 nelle isole pancreatiche. È importante ricordare come il glucosio sia in grado di promuovere direttamente la produzione di IL-1β mediata dall’inflammasoma e l’espressione del recettore pro-apoptotico FAS a livello delle cellule beta pancreatiche con conseguente compromissione della funzione secretoria e apoptosi delle beta cellule (31-32).

Sebbene sia ormai accettato che il diabete rappresenti una malattia infiammatoria cronica, le recenti evidenze suggeriscono che il quadro dismetabolico che precede il diabete conclamato promuova l’instaurarsi di un circolo vizioso tra alterazioni metaboliche sistemiche e cellulari e attivazione immunitaria. L’alterazione della disponibilità di nutrienti promuove una serie di adattamenti metabolici e, di conseguenza, funzionali delle cellule immunitarie, favorendo in questo modo la cronicizzazione della risposta immuno-infiammatoria e l’esacerbazione di complicanze cardio-metaboliche (Fig. 1).

Strategie per controllare la risposta immunoinfiammatoria nelle malattie metaboliche e nel diabete

Con il progredire delle conoscenze dei meccanismi molecolari e cellulari che sottendono la relazione tra diabete e immunità, si delinea anche l’obbiettivo ultimo di definire nuove strategie terapeutiche per la loro prevenzione e per il trattamento del paziente diabetico, caratterizzato da più comorbidità. A questo scopo sono stati sviluppati approcci volti a colpire l’infiammazione e controllare l’alterata risposta immunitaria associate alle malattie dismetaboliche e al diabete (33-34) (Tab. 1).

Diversi farmaci, diretti verso citochine e molecole effettrici del burst infiammatorio, sono già disponibili e comunemente utilizzati nel trattamento di patologie infiammatorie croniche (morbo di Crohn) e reumatiche (artrite reumatoide – RA, lupus sistemico eritematoso – SLE). Studiare l’impatto di queste terapie sulla risposta immunometabolica può rappresentare una valida strategia per acquisire informazioni sugli eventuali benefici a livello metabolico.

TNF-α rappresenta uno tra i target più promettenti, date le numerose evidenze sperimentali che ne dimostrano il coinvolgimento nell’insulino-resistenza e infiammazione. I dati clinici suggeriscono che l’utilizzo di antagonisti contro TNF-α migliori la sensibilità all’insulina e riduca il rischio di sviluppo di diabete in pazienti affetti da RA (35), efficacia che migliora quando associati ad anti-reumatici, quali idrossiclorichina (36). In soggetti obesi senza T2DM, sei mesi di trattamento con Etanercept (proteina di fusione, ottenuta tramite tecniche del DNA ricombinante dall’unione del recettore umano p75 per il fattore TNF-α con la frazione Fc dell’immunoglobulina umana IgG1) riducono i livelli di glicemia e aumentano quelli dell’adiponectina ad alto peso molecolare (37). Se il diabete è già presente, inibire TNF-α non sempre risulta produrre un beneficio, come mostrato in uno studio in cui sei settimane di trattamento con anticorpi anti-TNF-α non hanno modificato né il profilo glucidico né i livelli di insulina. Altri studi, con ridotta numerosità e tempistiche di trattamento, hanno soltanto suggerito il possibile effetto benefico degli antagonisti di TNF-α sul profilo glucidico (38-40).

Oltre a TNF-α, anche IL-6 rappresenta una citochina di interesse metabolico, in quanto studi pre-clinici condotti su modelli murini di T2DM hanno mostrato che il trattamento con Tocilizumab (anticorpo IgG1 umanizzato diretto contro IL-6) per dodici settimane migliora la risposta insulinica e riduce lo stress ossidativo, l’infiammazione sistemica e il danno renale (41). Sulla base di queste promettenti osservazioni è in corso uno studio di fase II su popolazione pediatrica affetta da T1DM, con l’obbiettivo di valutare l’efficacia di Tocilizumab nel migliorare i parametri clinici di funzionalità pancreatica (https://www.clinicaltrials.gov/ct2/show/NCT02293837).

Anche l’antagonismo del signaling dell’Interleuchina-1 (IL-1) sembra associarsi ad un miglioramento del quadro metabolico. Il trattamento con Anakinra 100 mg (una forma ricombinante, non glicosilata, dell’IL-1Ra, un antagonista endogeno che si lega ai recettori IL-1 e inibisce gli effetti pro-infiammatori dell’IL-1) per tredici settimane, in pazienti diabetici con buon controllo glicemico e in assenza di concomitanti terapie antinfiammatorie e anti-coagulanti/anti-aggreganti, riduce i livelli di emoglobina glicata, migliora la sensibilità all’insulina (42) e ne aumenta la secrezione. In particolare, è utile sottolineare che, al termine del trattamento, l’espressione genica di marcatori del metabolismo glucidico in reperti autoptici di muscolo scheletrico è risultata comparabile a quella osservata in seguito a trattamento con placebo, svincolando l’effetto mostrato dell’antagonismo del recettore per IL-1 da meccanismi intracellulari di insulino-resistenza.

È interessante notare che il beneficio nel controllo glicemico e nella secrezione di insulina da parte di Anakinra permane anche dopo l’interruzione della terapia e si associa alla riduzione dei livelli di IL-1 e dei marcatori pro-infiammatori osservata durante il trattamento. Questa risposta potrebbe essere legata all’abilità di Anakinra di interferire con meccanismi a carico delle cellule beta-pancreatiche che sostengono una continua iper-produzione di IL-1 in presenza di insulino-resistenza (43).

Il beneficio dell’antagonismo di IL-1 nel controllo glucidico emerge non soltanto nei soggetti con pre-diabete (44) e in quelli con insulino-resistenza lieve (45), ma anche in pazienti affetti da T1DM. Questa ulteriore osservazione supporta la rilevanza di questo target terapeutico sia in presenza di alterata funzionalità beta-pancreatica sia di una risposta insulinica non completamente compromessa.

L’importanza della via di IL-1 come target ha portato allo sviluppo di anticorpi monoclonali contro IL-1ß. Rispetto all’utilizzo di proteine ricombinanti, questo approccio ha migliorato il profilo farmacocinetico (gli anticorpi, infatti, garantiscono un’emivita di gran lunga maggiore), migliorando di conseguenza il beneficio terapeutico. Una singola iniezione di Gevokizumab risulta in una riduzione di emoglobina glicata fino allo 0.9% in una finestra temporale di tre mesi, associata alla riduzione dei marcatori di infiammazione sistemica e di attivazione leucocitaria (46).

L’efficacia di un altro anticorpo monoclonale diretto contro IL-1ß (Canakinumab) è stata valutata in diversi studi su pazienti diabetici. I dati mostrano un ulteriore miglioramento, seppur limitato, del controllo glicemico in pazienti già a target ed una riduzione limitata (pari a 0.2%) di emoglobina glicata rispetto al basale (47). I risultati nei pazienti diabetici inclusi nello studio CANTOS mostrano che, dopo quattro settimane di trattamento, la massima dose di Canakinumab (150 mg/mese) altera solo minimamente i livelli di emoglobina glicata e quelli di insulina a digiuno. Le analisi in tutti i pazienti con T2DM inclusi nello studio (circa il 40% dei diecimila pazienti arruolati), mostrano come la riduzione di emoglobina glicata osservata nei primi nove mesi di trattamento non persista dopo quattro anni di follow-up (48). Parallelamente, i soggetti non diabetici in trattamento con Canakinumab mostrano un rischio di sviluppare diabete simile a quello osservato nel gruppo placebo; stesso trend si riscontra anche nel gruppo sottoposto ad aumento del dosaggio di anticorpo (300 mg ogni tre mesi) (48).

Queste osservazioni sembrano suggerire che, nonostante le evidenze pre-cliniche, i trattamenti finalizzati a controllare la risposta infiammatoria migliorano il quadro metabolico in soggetti che ancora non presentano diabete, mentre il reale beneficio clinico nei pazienti diabetici è ancora poco chiaro.

Se, da un lato, farmaci anti-infiammatori mostrano un beneficio sul quadro metabolico, anche molecole utilizzate per il controllo del quadro glicemico mostrano un effetto sulla risposta immunometabolica (Tab. 1). Glibenclamide inibisce la secrezione pancreatica di IL-1ß, mentre i tiazolidinedioni, stimolando l’attività di PPAR-gamma, svolgono un’azione anti-infiammatoria attraverso il controllo della produzione di citochine da parte di monociti circolanti (49) e dell’attivazione dei macrofagi. Inoltre, molteplici evidenze pre-cliniche hanno mostrato che l’agonismo di PPAR-gamma con queste molecole facilita l’attività immunomodulatoria da parte delle cellule T regolatorie (Treg) (compromessa in condizioni di obesità e insulino-resistenza) residenti nel tessuto adiposo viscerale e che regolano meccanismi di sensibilità all’insulina proprio attraverso PPAR-gamma (50).

Metformina è un farmaco ampiamente utilizzato che rappresenta uno dei primi approcci per il trattamento della patologia diabetica. Numerose evidenze suggeriscono effetti “pleiotropici” di questa molecola. In particolare, all’interno della cellula, metformina ha dimostrato significativi effetti nell’omeostasi energetica e nel controllo dei fattori che regolano il suo bilancio metabolico. In particolare, metformina attiva il signaling di AMPK (51) mentre inibisce la glicerofosfato deidrogenasi (52), enzima rilevante per la funzionalità mitocondriale, mantenendo stabile il gradiente redox ai lati della membrana di questo organello. Metformina antagonizza anche l’attività di mTOR, impedendo quindi uno shift metabolico glicolitico, che caratterizza attivazioni pro-infiammatorie di diversi subsets leucocitari (53).

Anche i più recenti inibitori del trasportatore di membrana sottotipo 2 della proteina di trasporto selettivo del sodio glucosio (SGLT2) mostrano un’attività anti-infiammatoria. Canagliflozin riduce l’attività di 6-fosfofruttochinasi, attiva la via di AMPK e p62 favorendo i meccanismi di autofagia, risposte che si associano ad un fenotipo anti-infiammatorio, indipendentemente dall’attività ipoglicemizzante (54). Analogamente Empagliflozin, oltre a migliorare l’insulino-resistenza e il fenotipo obesogeno in modelli sperimentali, favorisce l’arricchimento di macrofagi anti-infiammatori (M2) nel tessuto adiposo e la riduzione dei livelli TNF-α circolanti (55).

Una visione integrata di queste evidenze suggerisce come sia i farmaci biologici anti-infiammatori, sia i trattamenti ipoglicemizzanti possano rappresentare dei validi approcci nel campo dell’immunometabolismo.

Conclusioni

La stretta connessione tra i cambiamenti del metabolismo cellulare e la funzionalità delle cellule immunitarie pone numerose domande sulla possibilità di riprogrammare il metabolismo cellulare per migliorare la funzionalità di specifici subset di cellule immunitari nell’uomo.

Un’efficace traslazione nella clinica degli aspetti immunometabolici dovrà quindi necessariamente implicare da un lato una serie di analisi volte a valutare l’efficacia di farmaci anti-infiammatori sul quadro metabolico e dall’altro la comprensione degli effetti di farmaci che interferiscono con il metabolismo sulla risposta delle cellule immunitarie nell’uomo. Gli studi clinici con farmaci anti-infiammatori sono stati condotti su pazienti già a target per la malattia metabolica, non permettendo ad oggi di apprezzare appieno la loro eventuale efficacia sul controllo dell’insulina e sugli effetti metabolici. Tutto questo suggerisce la necessità di studi clinici specifici e follow-up più lunghi volti a verificare se gli effetti immuno-metabolici indotti da questi farmaci si traducano in un beneficio clinico. Questi studi dovranno necessariamente tenere conto anche del costo delle terapie innovative in relazione al beneficio clinico che si potrebbe ottenere.

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