Analoghi dell’insulina e cancro

Laura Sciacca, Agostino Milluzzo

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Sezione Endocrinologia, Università degli Studi di Catania, Ospedale Garibaldi-Nesima Catania

DOI: 10.30682/ildia1901b

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INTRODUZIONE

Uno degli obiettivi della terapia sostitutiva con insulina in pazienti con diabete tipo 1 (DT1) o diabete tipo 2 (DT2) è quello di mimare la fisiologica secrezione pancreatica dell’ormone, sia basale, nei periodi di digiuno e inter-prandiale, sia in risposta al pasto. A tale scopo l’insulina umana è stata modificata strutturalmente tramite tecnologia ricombinante e mutagenesi sito-specifica in modo da ottenere analoghi che vengono assorbiti più rapidamente o più lentamente. Il differente profilo farmacocinetico favorisce il miglioramento del compenso glicemico e la riduzione delle ipoglicemie e della variabilità glicemica. Per evitare di alterare l’affinità di legame per il recettore dell’insulina (IR), tali molecole sono state modificate prevalentemente nella porzione COOH-terminale della catena B dell’insulina, regione importante per la formazione dei dimeri ma non coinvolta nel legame con IR (1-3). Tuttavia, questa regione dell’insulina è estremamente importante per l’affinità di legame con il recettore dell’IGF-1 (IGF-1R) (2). Classicamente l’insulina ha sia effetti metabolici che mitogeni, mentre, se non in particolari condizioni, non sembra avere effetti trasformanti. Inoltre, è ormai accertato che gli effetti mitogeni dell’insulina sono mediati dal proprio recettore oltre che dall’IGF-1R. I due tipi di recettore hanno una omologia dell’80% a livello delle rispettive subunità β che mediano il segnale intracellulare (le subunità α presentano il sito di legame dell’ormone) (2). L’insulina e l’IGF-1 hanno una omologia del 40-50% (2), quindi non sorprende che le due molecole possano cross-reagire a livello recettoriale, sebbene ad una affinità di legame inferiore rispetto a quella per il proprio recettore. L’insulina per esercitare i suoi effetti attraverso IGF-1R deve essere presente ad alte concentrazioni (come si può verificare in condizioni di iperinsulinemia endogena o esogena), oppure presentare delle modifiche strutturali (come nel caso degli analoghi dell’insulina), tali che ne aumentino l’affinità di legame (2, 4).

Inoltre, le modifiche strutturali dell’insulina possono aumentarne l’effetto mitogeno per alterazioni dell’interazione con IR in termini di tempo di permanenza e di attivazione del segnale intracellulare. Un’altra considerazione da fare è la sede di somministrazione sottocutanea dell’insulina esogena. L’insulina endogena, infatti, secreta nel sistema portale, raggiunge il fegato ad una concentrazione più alta rispetto ai tessuti periferici; ciò è dovuto al primo passaggio epatico che degrada il 50% circa dell’insulina (5). Di contro, la somministrazione sottocutanea dell’insulina esogena comporta una relativa ipoinsulinizzazione del fegato rispetto ai tessuti periferici che per converso sono relativamente iperinsulinizzati. La cronica iperinsulinemia relativa (da insulino-resistenza, o esogena) può alterare il fine equilibro tra effetti metabolici ed effetti mitogeni con una prevalenza dei secondi. Inoltre, in caso di insulino-resistenza, risultano alterate le vie intracellulari dell’azione metabolica con un aumento degli effetti mitogeni. Infine, va ricordato che gli effetti dell’insulina possono essere amplificati in caso di iperespressione del recettore insulinico come si verifica in molti tipi di cancro (6-10). A questo si aggiunge che il recettore dell’insulina esiste in due isoforme (IR-A e IR-B) generate da uno splicing alternativo dell’esone 11 (11). L’esone 11 codifica per 12 aminoacidi presenti nella porzione carbossi-terminale della subunità α del recettore. L’isoforma B presenta i 12 aminoacidi mentre l’isoforma A è più corta perché manca dei 12 aminoacidi. I fattori che regolano lo splicing non sono del tutto noti; tuttavia i tessuti bersaglio dell’insulina, sede degli effetti metabolici, esprimono prevalentemente l’isoforma B di IR, mentre l’isoforma A è prevalentemente espressa nei tessuti a rapido turnover, con prevalenza degli effetti mitogeni, come i tessuti fetali, la placenta e i tessuti neoplastici (7-13). Inoltre, lo stesso recettore, stimolato da due ligandi con affinità di legame simile, può avere effetti biologici diversi, come si verifica per IR-A attivato da insulina e dal fattore di crescita insulino-simile 2 (IGF-2) (12, 14). Non sorprende quindi che analoghi dell’insulina possano stimolare le due isoforme di IR in maniera diversa.

Studi che valutano l’interazione degli analoghi dell’insulina con le due isoforme di IR sono difficili da realizzare, perché la maggior parte delle cellule le esprime entrambe e, in atto, non è possibile dosare le due isoforme a livello quantitativo di proteina. Per superare tale problema alcuni studi sono stati effettuati in vitro in modelli ingegnerizzati che esprimono solo un tipo di isoforma (IR-A o IR-B) (15-16) o in cellule maligne che esprimono prevalentemente solo un tipo di isoforma. Tuttavia, cellule con recettori trasfettati non rappresentano un modello ottimale, sia perché spesso i recettori risultano essere eccessivamente iperespressi che per l’interferenza delle caratteristiche genetiche delle cellule utilizzate. Molto opportunamente, gli analoghi dell’insulina, prima di essere approvati per uso clinico, sono testati anche in vivo negli animali per valutarne la capacità proliferativa e trasformante. Tuttavia, i dati sono spesso incompleti e non definitivi (17).

In un soggetto diabetico la presenza di un cancro può essere considerata come una complicanza cronica del diabete, poiché sia l’incidenza di cancro sia la mortalità sono aumentate in maniera significativa rispetto alla popolazione non diabetica (18). La possibilità che trattando pazienti diabetici con analoghi dell’insulina possa aumentare l’incidenza di cancro è un argomento ancora dibattuto. La trasformazione maligna di una cellula è un processo complesso che può essere diviso in varie fasi: iniziazione, promozione e progressione. Molti eventi devono concorrere per dare origine alla trasformazione maligna e non necessariamente fattori che favoriscono la progressione maligna sono anche in grado di promuovere l’iniziazione. Considerato che un cancerogeno mediamente impiega anni per esercitare il suo effetto e considerato l’uso cronico della terapia insulinica, non stupisce l’interesse a valutare nel tempo gli effetti degli analoghi dell’insulina. Inoltre, data l’eterogeneità dei tumori, l’effetto degli analoghi dell’insulina potrebbe essere diverso a seconda del tipo di tumore e potrebbe essere influenzato dal profilo di espressione dei recettori dell’insulina e dell’IGF-1. Infatti, nel tessuto tumorale possono essere espressi sia i recettori tipici (omo-tetrameri IR e IGF-1R) che i recettori ibridi (etero-tetrameri), formati sia da un emi-recettore dell’insulina combinato con un emi-recettore dell’IGF-1 (ibridi IR/IGF-1R) che dall’emi-recettore dell’isoforma A con l’emi-recettore dell’isoforma B (ibridi IR-A/IR-B). I recettori ibridi IR/IGF-1R si comportano come IGF-1R e quindi legano IGF-1 ad alta affinità (19), mentre i recettori ibridi IR-A/IR-B si comportano come IR-A, stimolando prevalentemente effetti mitogeni (20).

In atto sono disponibili nella pratica clinica analoghi dell’insulina ad azione rapida (lispro, aspart, glulisina), utilizzati per i pasti, e analoghi ad azione prolungata (glargine, detemir, degludec), utilizzati come insulina basale (Tab. 1). L’insulina lispro è disponibile anche come biosimilare con caratteristiche sovrapponibili al prodotto originale; e in formulazioni da 200 U/ml con caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche sovrapponibili alla formulazione 100 U/ml. Aspart è disponibile anche in una formulazione ad azione ancor più rapida grazie all’aggiunta di due eccipienti (faster aspart) (Tab. 1).

Glargine è disponibile come biosimilare con caratteristiche simili all’originale ed anche in una formulazione da 300 U/ml che, grazie al fatto di essere più concentrata, forma nel sottocutaneo un deposito più piccolo, da cui viene assorbita più lentamente (Tab. 1).

ANALOGHI DELL’INSULINA AD AZIONE RAPIDA E CANCRO

L’analogo lispro è stato ottenuto tramite una inversione tra prolina in posizione 28 con lisina in posizione 29 della catena B dell’insulina nativa. L’insulina aspart è stata ottenuta cambiando la prolina in posizione 28 della catena B con l’acido aspartico. Nell’analogo glulisine vi è una doppia sostituzione di aminoacidi: l’acido aspartico in posizione 3 della catena B con lisina e la lisina in posizione 29 della catena B con glutammina (Tab. 1). Tutte queste modifiche riducono la capacità dei tre analoghi ad azione rapida di formare in soluzione esameri; così l’assorbimento è più rapido, il picco insulinico dopo l’iniezione è maggiore e la durata d’azione è inferiore.

Studi in vitro

I primi dati di correlazione tra l’uso di un analogo ad azione rapida e cancro riguardano l’analogo B10Asp. In questo analogo una singola sostituzione di un aminoacido ha determinato una aumentata affinità di legame sia per IR che per IGF-1R, così come una maggiore permanenza in IR (dissociazione dal recettore più lenta) aumentandone il potenziale oncogenico (21-24). Queste caratteristiche si associavano nelle femmine di ratto ad un’aumentata incidenza di tumori mammari (25). Pertanto, lo sviluppo di questo analogo dell’insulina è stato interrotto dopo i risultati preclinici. In seguito tutti gli analoghi dell’insulina sono stati testati in fase preclinica e clinica per valutare il loro potenziale oncogenico. Tuttavia, i dati sono spesso incompleti e le procedure utilizzate per valutare l’effetto carcinogeno di B10Asp non sono state sistematicamente ripetute per tutti gli analoghi (17). Studi in vitro in linee cellulari trasfettate in modo da esprimere un solo tipo di isoforma di IR o IGF-1R indicano che tutti gli analoghi ad azione breve legano IR e IGF-1R con affinità simile all’insulina nativa (15). I dati sulla fosforilazione di IR sono pochi e difficili da paragonare a causa dei diversi modelli cellulari e delle eterogenee condizioni sperimentali utilizzati. Negli studi in cui gli analoghi dell’insulina sono stati utilizzati nello stesso modello cellulare, è stato osservato che la fosforilazione di entrambe le isoforme di IR e di IGF-1R è attivata dai tre analoghi ad azione rapida in maniera simile all’insulina nativa (15). Anche l’attivazione del segnale intracellulare sia di extracellular-signaling-regulated kinase (ERK) (marker della via mitogena) che di protein kinase B (PKB/AKT) (marker della via metabolica) è simile tra gli analoghi ad azione rapida e l’insulina nativa (15) (Fig. 1). Per quanto riguarda IGF-1R, è noto che l’iperespressione e/o l’attivazione sono associati ad un aumentato rischio di cancro (26-29). I risultati dell’attivazione di IGF-1R da parte degli analoghi ad azione rapida non sono sempre concordanti. Nel lavoro di Kurtzhals e coll., è riportato che lispro rispetto ad insulina nativa ha una affinità di legame per IGF-1R lievemente maggiore (24); nello stesso lavoro aspart presentava una affinità per IGF-1R inferiore (24). In un modello ingegnerizzato in cui è iper-espresso solo IGF-1R, tutti e tre gli analoghi ad azione rapida legano IGF-1R con affinità simile a quella dell’insulina nativa (15).

L’effetto mitogeno degli analoghi dell’insulina è stato studiato anche in linee cellulari di cancro. Con le dovute riserve per i modelli cellulari in vitro, in diversi studi i risultati sono stati comunque simili. Gli analoghi ad azione rapida stimolano la proliferazione di cellule di cancro in maniera simile all’insulina nativa (24, 30-32). Invece, non abbiamo dati sufficienti sull’effetto trasformante degli analoghi. In fibroblasti embrionali di topo che iper-esprimono IR-A, o IR-B, o IGF-1R gli analoghi ad azione rapida utilizzati nella pratica clinica non stimolano la crescita cellulare ancoraggio-indipendente (un marker di trasformazione) (15).

Studi clinici

Gli studi clinici di associazione degli analoghi ad azione rapida con il rischio di cancro non sono numerosi, probabilmente a motivo dei dati in vitro rassicuranti. In uno studio tedesco di coorte, retrospettivo, con oltre 127.000 pazienti e un periodo medio di follow-up di 1,6 anni, l’utilizzo degli analoghi dell’insulina lispro o aspart non è stato associato ad un’aumentata incidenza di cancro (33). Un’ulteriore studio retrospettivo, caso-controllo, non ha evidenziato un aumento di cancro con l’uso degli analoghi ad azione rapida lispro e aspart. Tuttavia, il numero di pazienti trattati con aspart era troppo esiguo per poter trarre delle conclusioni (34). Più recentemente, in uno studio condotto su dati estratti dalle cartelle dei medici di medicina generale in Canada, Regno Unito e Francia, il rischio di cancro mammario, aggiustato per tutti i fattori confondenti noti, legato all’uso di lispro ed aspart era simile a quello dell’insulina umana nativa (35).

ANALOGHI DELL’INSULINA AD AZIONE PROLUNGATA E CANCRO

L’effetto prolungato degli analoghi glargine, detemir e degludec è stato ottenuto attraverso due modalità. Una consiste nel creare un deposito nel tessuto sottocutaneo: l’insulina glargine infatti, disciolta in una soluzione a pH acido, ha una bassa solubilità a pH fisiologico, per cui precipita nel sito d’iniezione. Dal sottocutaneo si ha poi la lenta dissociazione dell’insulina che in forma monomerica passa nella circolazione sistemica. Un’altra modalità, utilizzata per l’analogo detemir, consiste nell’aggiungere alla molecola dell’insulina un acido grasso con una catena a 14 atomi di carbonio (acido miristico) che ne permette il legame all’albumina. Dall’albumina poi l’analogo detemir viene lentamente rilasciato. L’analogo degludec deve la sua lunga durata d’azione alla combinazione delle due modalità. In particolare, come l’insulina glargine, sebbene con un differente meccanismo, forma nel sottocutaneo un deposito di multi-esameri solubili, da cui l’analogo degludec viene lentamente e continuamente rilasciato nella circolazione sistemica in forma monomerica. I monomeri presentano un acido glutammico che funge da spaziatore per il legame con un acido grasso di 16 atomi di carbonio che ne permette il legame all’albumina. Il risultato finale di questo doppio ritardo di azione è che questo analogo ha una durata d’azione più lunga rispetto agli altri due.

Studi in vitro e nell’animale

La valutazione del potenziale rischio di cancro per i tre analoghi dell’insulina ad azione prolungata impiegati nella pratica clinica ha riguardato prevalentemente l’insulina glargine, perché disponibile da più tempo, mentre solo pochi studi hanno preso in considerazione l’analogo detemir ed ancora meno l’insulina degludec, ultima arrivata in ordine di tempo. Una prima considerazione da fare sul potenziale effetto cancerogeno degli analoghi dell’insulina ad azione prolungata è la concentrazione ematica che si raggiunge con la somministrazione esogena. Infatti, i livelli plasmatici dell’insulina endogena variano in un range compreso tra 50-200 pmol/L, mentre per l’azione prolungata di questi analoghi le concentrazioni sono molto più alte di quelle fisiologiche (1.600 pmol/L per detemir e 6.000 pmol/L per degludec) e non è ancora noto il rapporto tra analogo legato e analogo libero (36). Le elevate concentrazioni di macromolecole derivate dagli analoghi dell’insulina (dimeri per glargine e di-esameri per degludec), che rimangono in circolo per circa 20-40 ore, potenzialmente potrebbero alterare il ciclo cellulare e aumentare il rischio di cancro (37). In un modello cellulare ingegnerizzato esprimente solo IR-A o IR-B, o IGF-1R, sia glargine che detemir aumentano, rispetto ad insulina nativa, l’attivazione di ERK (via mitogena), mentre l’attivazione di AKT (via metabolica) è simile a quella dell’insulina nativa (15). In particolare, tramite IR-A glargine e detemir attivano AKT in maniera simile all’insulina nativa, ma ERK significativamente più dell’insulina nativa (Fig. 1). Tramite IR-B entrambi gli analoghi ad azione prolungata attivano AKT meno dell’insulina nativa ed ERK in maniera simile all’insulina nativa (15) (Fig. 1). Il risultato, in entrambi i casi, è un rapporto di attivazione ERK/AKT a favore di ERK, nonostante la fosforilazione di IR sia per i due analoghi simile a quella dell’insulina nativa (15, 38) (Fig. 1). Inoltre, diversi studi hanno riportato per glargine un’aumentata affinità di legame ed attivazione di IGF-1R (32, 39).

Tuttavia, queste osservazioni in vitro non riflettono necessariamente quello che succede in vivo. Glargine, iniettata nel tessuto sottocutaneo, subisce una degradazione proteolitica con formazione di due molecole M1 e M2 metabolicamente attive che hanno una affinità per IGF-1R e una potenza mitogena minore dell’insulina nativa (16). Inoltre, M1 e M2 attivano la via metabolica e la via mitogena di IR in maniera simile a quella dell’insulina nativa (Fig. 2). In un modello murino di diabete, nessuno dei tre analoghi ad azione prolungata attualmente disponibili nella pratica clinica, né M1 e M2, promuove la crescita di tumore mammario (40). In un altro modello murino l’effetto di glargine sullo sviluppo di cancro mammario è risultato simile a quello dell’insulina umana nativa (41).

Invece, due studi in cui sono stati usati sieri di pazienti diabetici hanno sollevato dubbi sull’effetto mitogeno dell’insulina glargine. Uno studio ha valutato in vitro in cellule di carcinoma mammario l’effetto di sieri di pazienti diabetici trattati in crossover con glargine o con insulina umana nativa. I sieri dei pazienti trattati con glargine stimolavano la proliferazione cellulare più dei sieri degli stessi pazienti trattati con insulina umana (42). In un altro studio i livelli sierici di IGF-1 sono risultati più bassi nei pazienti diabetici trattati per 12 settimane con glargine, rispetto a pazienti trattati con detemir (43). Gli autori hanno ipotizzato una maggiore attivazione di IGF-1R da parte di glargine con conseguente riduzione di IGF-1 per un meccanismo di feedback negativo (43).

Risultati contrastanti possono essere spiegati dai diversi modelli e dalle diverse condizioni sperimentali utilizzati.

A tal proposito, nel nostro laboratorio abbiamo dimostrato che l’insulina nativa e i suoi analoghi stimolano la proliferazione cellulare di diverse linee cellulari di cancro mammario in maniera differente. La proliferazione cellulare è maggiore quando IR, e in particolare IR-A, sono iper-espressi; comunque la correlazione non è lineare e vari fattori possono influenzarla (30). In questo studio in vitro gli analoghi glargine e detemir, rispetto ad insulina nativa, aumentano in maniera significativa la crescita di una linea cellulare di cancro mammario. Invece, in tutte e quattro le linee di cancro mammario studiate, detemir è significativamente più efficace a stimolare l’invasione cellulare. Infine, gli effetti sulla proliferazione e sull’invasione cellulare non sono risultati correlati (30). L’insieme di questi dati suggerisce che la risposta delle cellule maligne agli analoghi dell’insulina è specifica per ogni tipo cellulare e può dipendere dalla combinazione di effetti di più fattori non sempre noti.

Per quanto riguarda detemir è stato riportato che l’affinità di legame per IGF-1R è inferiore rispetto ad insulina nativa (24). Tuttavia, in cellule ingegnerizzate iper-esprimenti solo IGF-1R e in cui è stata eliminata l’interferenza dell’albumina, l’affinità di legame di detemir e di glargine per IGF-1R era simile e maggiore di quella dell’insulina nativa (15). Infine, i dati riguardanti le interazioni di degludec con IR e IGF-1R sono limitati. Risultati preliminari indicano che l’affinità per IR è simile ad insulina nativa, mentre l’affinità per IGF-1R è minore dell’insulina nativa (44).

Per tutti gli analoghi dell’insulina disponibili nella pratica clinica non ci sono sinora studi che abbiano valutato l’interazione con i recettori ibridi IR/IGF-1R e IR-A/IR-B.

Studi clinici

La problematica di un aumentato rischio di cancro in pazienti trattati con l’analogo ad azione prolungata glargine è stata sollevata da una serie di studi retrospettivi e osservazionali di registri nazionali pubblicati nel 2009 (33, 45-46). Tuttavia, gli studi non giungevano a risultati concordanti. In particolare, nello studio tedesco è stato osservato un aumentato rischio di cancro, con effetto dose-dipendente, nei pazienti trattati con glargine rispetto a pazienti trattati con insulina NPH (HR 1,31 per 50 U di dose giornaliera) (33). Nella coorte svedese è stato trovato un aumento esclusivamente del carcinoma mammario nelle pazienti trattate con glargine in monoterapia (HR 1,99) (45). Nello studio scozzese un sottogruppo di 447 pazienti che praticavano solo glargine presentava un rischio aumentato di cancro mammario rispetto alle pazienti che praticavano anche altri analoghi dell’insulina (HR 1,55) (46). Tali studi osservazionali presentavano anche importanti limiti metodologici e statistici, oltre che un breve periodo di follow-up (<3 anni) (47). Più recentemente una revisione di studi osservazionali ha analizzato 16 studi di coorte e 3 di caso-controllo. Tutti gli studi hanno valutato l’incidenza di cancro con l’uso di glargine ed alcuni hanno valutato anche detemir. In quattro di essi l’uso di glargine si associava ad un rischio aumentato di cancro mammario. Tuttavia, il periodo di follow-up era breve (da 0,9 a 7 anni) (48).

Uno studio recente ha valutato il rischio di cancro della mammella in 22.395 donne diabetiche trattate con gli analoghi glargine e detemir in un periodo di follow-up di 12 anni. È stato riscontrato un rischio aumentato di cancro della mammella in pazienti trattate con glargine rispetto ad insulina NPH (HR 1,44). Il rischio aumentava con l’aumentare della dose di glargine (HR 2,29 per la posologia più alta) e della durata di trattamento (HR 2,23 per >5 anni) (49). Gli stessi autori hanno affermato che il numero di pazienti che praticava detemir era molto basso per potere trarre delle conclusioni (49). In un altro studio con un disegno sperimentale simile, con una coorte più piccola, non è stato riscontrato un aumento di cancro mammario nelle pazienti trattate con glargine. Il periodo di follow-up non era però proseguito dopo la sospensione della glargine (50).

I risultati contrastanti degli studi clinici possono essere spiegati dall’eterogeneità delle osservazioni in termini di dose di analogo utilizzato, durata di trattamento e di follow-up. Tuttavia, una recente analisi effettuata su una grande coorte di registri nazionali del nord Europa non ha evidenziato un effetto della durata di trattamento sul rischio di cancro sia per l’analogo glargine che per detemir (51). In questo studio è stato osservato un rischio più alto per cancro del colon-retto (HR 1,54) e cancro dell’endometrio (HR 1,78) in donne trattate con glargine, ma solo in quelle con una durata molto breve di trattamento (<0,5 anni), mentre una durata maggiore di trattamento era associata ad un rischio inferiore per alcuni tipi di cancro. Detemir presentava un rischio di cancro simile all’insulina NPH (51). I risultati ottenuti con glargine utilizzata per un periodo breve sono di difficile interpretazione e richiedono ulteriori conferme. Gli autori ipotizzano che i pazienti trattati con glargine hanno un compenso glicemico migliore, attribuendo all’iperglicemia il ruolo di promotore della proliferazione cellulare. In generale gli studi su registri di nazioni sono facilmente criticabili non solo per la tipologia di studio osservazionale, ma anche per la mancanza di molte informazioni necessarie per l’interpretazione dei risultati, come ad esempio l’abitudine tabagica, il BMI, la familiarità per cancro, ecc. Uno studio caso-controllo condotto su una popolazione di dimensioni limitate ma meglio caratterizzata e osservata per un tempo più lungo, ha riportato che pazienti trattati con dosi di insulina glargine superiori a 0,3 U/kg presentavano un aumento del rischio di cancro. Il rischio aumentato veniva confermato anche dopo l’esclusione dei casi di tumore diagnosticati nel primo anno successivo all’inizio della terapia insulinica (34). Tuttavia, in questo studio la numerosità limitata del campione non consente una sotto-analisi per tipo di tumore, né di escludere l’eventualità di un risultato casuale.

Per superare alcune limitazioni sono di fondamentale importanza gli studi prospettici, come quello denominato ORIGIN pubblicato nel 2012. In tale studio sono stati randomizzati 12.537 pazienti diabetici trattati con glargine o con ipoglicemizzanti orali per valutare gli eventi cardiovascolari. Nei due gruppi, pur non essendo un endpoint principale, è stata anche valutata l’incidenza di cancro, che è risultata simile (52). Tuttavia, nonostante il pregio del disegno prospettico, anche per questo studio emergono delle criticità: primo, l’uso di una posologia bassa di glargine, in molti pazienti meno di 0,3 U/kg; secondo, la mediana del periodo di follow-up era di 6,2 anni con oltre il 50% dei pazienti che ha temporaneamente o permanentemente interrotto il trattamento; terzo, i dati non sono stati corretti per l’eventuale terapia ipoglicemizzante associata, fattore potenzialmente rilevante se si considera che per la metformina esistono evidenze di un potenziale effetto anti-mitogeno (53-54).

Tuttavia, è oggettivamente complesso e dispendioso disegnare studi prospettici che valutano il rischio di cancro associato all’uso degli analoghi dell’insulina e che siano capaci di chiarire l’influenza di svariati possibili fattori confondenti (eterogeneità di diabete e cancro, trattamenti utilizzati per le due patologie, posologia e durata di utilizzo, nonché un adeguato periodo di osservazione). Infatti, un carcinogeno per quanto potente, come il fumo di sigaretta, può richiedere decenni per esplicare i suoi effetti (55). Invece, la maggior parte degli studi che hanno valutato l’associazione degli analoghi dell’insulina con il cancro presentano un follow-up inferiore a 5 anni, periodo insufficiente per valutare l’effetto di un cancerogeno debole quale può essere l’insulina nativa o gli analoghi dell’insulina.

CONCLUSIONI

I pazienti diabetici presentano per molteplici motivi un aumentato rischio di cancro (56). L’iperinsulinemia endogena (da insulino-resistenza) o esogena (da trattamento) aumenta il rischio di cancro. Il trattamento con gli analoghi dell’insulina ha migliorato il compenso glicemico e la qualità di vita dei pazienti con diabete mellito ma, per le modifiche della struttura dell’insulina, ha sollevato dubbi sul loro potenziale oncogenico. Gli studi in vitro ne hanno spiegato i potenziali meccanismi. Le preoccupazioni maggiori riguardano gli analoghi ad azione prolungata. Il potenziale incremento del rischio di cancro correlato al loro uso, rispetto all’insulina nativa, rappresenta una questione ancora oggi dibattuta e non completamente risolta.

La maggior parte degli studi epidemiologici è di tipo osservazionale e deve pertanto essere valutata con cautela. Per quanto l’analisi statistica permetta di correggere i risultati per alcuni parametri confondenti, la scelta terapeutica, nella pratica clinica, si basa su una moltitudine di fattori difficilmente valutabili tutti insieme nell’ambito di un disegno sperimentale. Per tali motivi, sarebbe importante poter ricorrere a studi di intervento, nei quali l’assegnazione ad un determinato trattamento avviene sulla base di una randomizzazione. Inoltre, sarebbe più corretto studiare esclusivamente pazienti naïve alla terapia insulinica (57). Tuttavia, è molto difficile disegnare e realizzare studi prospettici adeguati a chiarire tale problematica. Ulteriori errori di interpretazione dei risultati possono derivare dall’analisi composita di diversi tipi di tumori che, come è noto, possono presentare differenti caratteristiche biologiche. Comunque, a dati certi sui vantaggi di un trattamento insulinico con gli analoghi, che ha migliorato il compenso glicemico e ha ridotto le complicanze croniche micro e macrovascolari e la mortalità, corrispondono dati incerti su un potenziale aumentato rischio di neoplasie. La scelta del trattamento deve mirare ad una terapia personalizzata capace di ottimizzare il compenso glicemico e che consideri anche aspetti quali la storia personale e/o familiare di tumori, nonché, ancor più difficile, la eventuale presenza di carcinomi in situ, non ancora diagnosticati. Devono essere utilizzate anche tutte le strategie (dieta, attività fisica, farmaci) per ridurre l’insulino-resistenza e la conseguente iperinsulinemia.

In conclusione, le evidenze cliniche in atto disponibili escludono un aumentato rischio di cancro per i pazienti diabetici trattati con analoghi dell’insulina ad azione rapida, mentre non dimostrano né escludono un aumentato rischio per quelli trattati per lungo tempo con analoghi dell’insulina ad azione prolungata. Per rispondere a questo quesito sono necessari ulteriori studi retrospettivi e prospettici che tengano anche in considerazione la posologia dell’analogo, la durata del trattamento e che differenzino l’analisi in base al tipo di tumore.

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