a cura di Francesco Giorgino
Dipartimento dell’Emergenza e dei Trapianti di Organi, Sezione di Medicina Interna, Endocrinologia, Andrologia e Malattie Metaboliche, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
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Il Diabete n. 3/2017
Francesco Giorgino, Anna Leonardini
Dipartimento dell’Emergenza e dei Trapianti di Organi, Sezione di Medicina Interna, Endocrinologia, Andrologia e Malattie Metaboliche, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
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Articolo n. 1
Diabetes mellitus, microalbuminuria, and subclinical cardiac disease: identification and monitoring of individuals at risk of heart failure – Diabete mellito, microalbuminuria e malattia cardiaca subclinica: identificazione e follow-up di pazienti a rischio di scompenso cardiaco
Swoboda PP, McDiarmid AK, Erhayiem B, Ripley DP, Dobson LE, Garg P, Musa TA, Witte KK, Kearney MT, Barth JH, Ajjan R, Greenwood JP, Plein S.
J Am Heart Assoc. 2017 Jul 17;6(7).
I pazienti con diabete mellito di tipo 2 e con rapporto albumina/creatinina urinaria (ACR) elevato presentano un aumento del rischio di scompenso cardiaco. In questo studio è stato ipotizzato che ciò sia dovuto a cambiamenti nella struttura del tessuto cardiaco piuttosto che alla presenza di una malattia coronarica silente.
È stato condotto uno studio osservazionale caso-controllo iniziato ad agosto 2013 e terminato a marzo 2015 in cui in 30 centri sono stati reclutati un totale di 100 pazienti diabetici di tipo 2: di questi 50 presentavano microalbuminuria persistente e ACR urinario >2,5 mg/mol per gli uomini e >3,5 mg/mol per le donne (gruppo ACR+). Questi pazienti non avevano ancora iniziato terapia con ACE-inibitori in linea con le linee guida nazionali. Tutti i pazienti ACR+ hanno ripetuto l’ACR entro 4 mesi per confermare la persistenza della microalbuminuria. I restanti 50 pazienti reclutati, invece, non avevano mai avuto ACR al di sopra del valore di riferimento (gruppo ACR-). I due gruppi risultavano omogenei per età, sesso e pressione arteriosa. Durante la selezione sono stati esclusi i pazienti con anamnesi positiva per malattie cardiache, malattie renali (velocità di filtrazione glomerulare stimata <30 mL/min per 1,73 m2), ipertensione arteriosa non controllata e trattamento con insulina o con farmaci ACE-inibitori/antagonisti del recettore dell’angiotensina. La probabilità a dieci anni di sviluppare malattia coronarica e la relativa mortalità sono stati calcolati utilizzando il Framingham Heart Study Risk Score. In aggiunta ai 100 pazienti diabetici, sono stati reclutati anche 30 soggetti controllo non diabetici e senza malattia cardiovascolare nota. In tutti i pazienti ACR+ è stata avviata terapia con ACE-inibitori. A chi non tollerava l’ACE-inibitore per l’insorgenza della tosse veniva somministrato un antagonista del recettore dell’angiotensina. Gli esami ematochimici e sulle urine sono stati ripetuti dopo un anno di trattamento farmacologico. Per valutare la fibrosi miocardica e i segni di ischemia, tutti i pazienti sono stati sottoposti a risonanza magnetica cardiaca e ad ecocardiografia. Inoltre 30 dei pazienti ACR+ sono stati sottoposti ad ulteriori indagini dopo un anno di trattamento con i farmaci inibitori del sistema renina-angiotensina.
È stato dimostrato che la frazione del volume extracellulare cardiaco (ECV), che fornisce una indicazione sull’entità della fibrosi cardiaca, è risultata più elevata nei pazienti con diabete mellito sia ACR+ che ACR- rispetto ai controlli (rispettivamente 26,1±3,4% e 23,3±3,0%; p=0,0002) e, nel gruppo dei diabetici, superiore negli ACR+ rispetto agli ACR- (rispettivamente 27,2±4,1% e 25,1±2,9%; p=0,004). I pazienti ACR+ presentavano all’esame ecocardiografico valori di E’, che valutano la funzione ventricolare diastolica sinistra, più bassi rispetto agli ACR- (8,2±1,9 cm/s rispetto a 8,9±1,9 cm/s; p=0,04), così come valori di troponina cardiaca T ad alta sensibilità più elevati (18% rispetto a 4% ≥14 ng/L; p=0,05). Il tasso di ischemia o infarto miocardico silente non è stato influenzato dallo stato ACR. La terapia farmacologica con gli inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone si associava con una maggiore frazione di eiezione ventricolare sinistra (61,5±8,7% rispetto a 59,3±7,8; p=0,03) e con una riduzione della frazione di volume extracellulare (25,2±3,1 rispetto a 26,5±3,6; p=0,01), ma non si sono osservate modifiche nella funzione diastolica o nei livelli di troponina cardiaca T ad alta sensibilità (Tab. 1).
In conclusione, i pazienti diabetici asintomatici ACR+ hanno più indicatori suggestivi di fibrosi cardiaca diffusa, tra cui elevati livelli di ECV e di troponina cardiaca T ad alta sensibilità, e segni ecocardiografici di disfunzione diastolica. Tuttavia nel corso del follow-up, la prevalenza di ischemia o infarto miocardico silente non è stata influenzata dallo stato ACR. Il trattamento con un ACE inibitore ha migliorato la frazione di eiezione del ventricolo sinistro e ha ridotto la frazione di volume extracellulare. Pertanto, l’aumento del rischio cardiovascolare in questo gruppo di pazienti è verosimilmente mediato da cambiamenti subclinici della struttura e della funzione del tessuto cardiaco piuttosto che ad una coronaropatia ischemica silente. Questi risultati supportano l’utilizzo di questa classe di farmaci nei pazienti diabetici per ottenere una riduzione del rischio cardiovascolare.
Articolo n. 2
Effect of an intensive lifestyle intervention on glycemic control in patients with type 2 diabetes: a randomized clinical trial – Effetti di un intervento intensivo sullo stile di vita sul controllo glicometabolico in pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2: studio clinico randomizzato e controllato
Johansen MY, MacDonald CS, Hansen KB, Karstoft K, Christensen R, Pedersen M, Hansen LS, Zacho M, Wedell-Neergaard AS, Nielsen ST, Iepsen UW, Langberg H, Vaag AA, Pedersen BK, Ried-Larsen M.
JAMA. 2017 Aug 15;318(7):637-646.
A tutt’oggi non è chiaro se nei pazienti con diabete di tipo 2 un intervento sullo stile di vita sia in grado di mantenere un adeguato controllo glicemico. L’obiettivo di questo studio clinico randomizzanto, in cieco, condotto da aprile 2015 ad agosto 2016 è stato quello di verificare l’ipotesi che un intervento intensivo sullo stile di vita possa essere equivalente ad una terapia farmacologica standard nel mantenere un adeguato controllo glicemico in soggetti affetti da diabete mellito di tipo 2 da meno di 10 anni. L’obiettivo secondario è stato la riduzione nell’utilizzo dei farmaci ipoglicemizzanti durante tutta la durata dello studio. Sono stati reclutati 98 diabetici di tipo 2 non insulino-trattati e con durata di malattia inferiore ai 10 anni. I partecipanti sono stati assegnati in modo casuale (2:1) o al gruppo di intervento intensivo sullo stile di vita (n=64) o al gruppo di controllo in cui i pazienti erano in trattamento standard con farmaci ipoglicemizzanti orali (n=34). Il gruppo di controllo in trattamento con ipoglicemizzanti orali veniva sottoposto ogni 3 mesi a controlli diabetologici: se i livelli di HbA1c erano pari o inferiori a 6,5%, la terapia ipoglicemizzante veniva ridotta o sospesa. Se i livelli di HbA1c erano superiori o uguali a 7,5% la terapia veniva modificata secondo degli algoritmi pre-impostati. I pazienti nel gruppo in trattamento intensivo con modifiche dello stile di vita venivano suddivisi in gruppi costituiti da 4-8 partecipanti e sottoposti a 5-6 sessioni settimanali di esercizio fisico aerobico della durata di 30-60 minuti; di queste sessioni 2 o 3 erano combinate anche con esercizio fisico di resistenza. Per i primi 4 mesi tutte le sedute venivano seguite da un personal trainer; successivamente, la supervisione veniva gradualmente ridotta. Inoltre, a questi pazienti veniva consigliato un piano dietetico che aveva l’obiettivo di ridurre l’indice di massa corporea a un valore di normalità (≤25 kg/m2): la dieta prevedeva il 45-60% delle calorie totali provenienti dai carboidrati, il 15-20% dalle proteine e il 20-35% dai grassi (la quota dei grassi saturi era inferiore al 7%). I partecipanti sono stati seguiti per tutta la durata del follow-up con counseling individuali o di gruppo la cui frequenza è stata progressivamente ridotta col tempo, e venivano anche incoraggiati a essere fisicamente attivi e ad eseguire almeno 10.000 passi al giorno. I passi e le sessioni di esercizio fisico sono state monitorate attraverso l’utilizzo di uno smartwatch.
Dei 98 partecipanti con età media di 54,6 anni (DS: 8,9) 47 erano donne (48%); i livelli medi di HbA1c erano pari a 6,7%. Di questi pazienti, 93 hanno completato lo studio. Dall’inizio al termine del follow-up durato 12 mesi, nel gruppo in trattamento con l’intervento intensivo sullo stile di vita si è osservata una riduzione dei livelli di HbA1c da 6,65% a 6,34%, mentre nel gruppo in trattamento farmacologico vi è stata una riduzione dal 6,74% al 6,66% (Fig. 1). La differenza media tra i due gruppi è stata pari a -0,26% (95% CI, da -0,52% a -0,01%) e questo risultato non ha soddisfatto il criterio di equivalenza (p=0,15), in quanto il margine del 95% CI non avrebbe dovuto eccedere il valore di ±0,4%. Per quanto riguarda l’outcome secondario, 47 pazienti del gruppo sottoposto ad un intenso programma di intervento sullo stile di vita hanno ridotto il dosaggio dei farmaci ipoglicemizzanti (73,5%), mentre sono stati solo 9 i partecipanti che hanno ridotto la terapia ipoglicemizzante nel gruppo di controllo (26,4%) (differenza: 47,1% [95% CI, 28,6-65,3]). Si sono verificati 32 eventi avversi (più comunemente dolori muscolo-scheletrici, malessere generale o lieve ipoglicemia) nel gruppo intensivo e 5 nel gruppo di controllo.
Quindi, il risultato principale di questo studio è che un intervento sullo stile di vita, anche se intensivo, non soddisfa il criterio di equivalenza formale rispetto al trattamento standard, evidenziando solo un possibile beneficio con una riduzione media lievemente maggiore nei livelli di HbA1c. In aggiunta, lo studio ha mostrato come il trattamento intensivo riduce l’utilizzo di farmaci ipoglicemizzanti. Tuttavia, vanno segnalate alcune limitazioni di questo studio. In primo luogo, solo i partecipanti con diabete mellito di tipo 2 diagnosticato da meno di 10 anni sono stati inclusi nello studio. La lunga durata del diabete, lo scarso controllo glicemico e la necessità di terapia insulinica potrebbero riflettere uno stato della malattia più avanzato. Come osservato nello studio Look AHEAD, il controllo glicemico migliore e la più breve durata della malattia si associavano con una più alta probabilità di raggiungere gli obiettivi di cura e la remissione dalla malattia dopo un anno. Pertanto, i criteri di inclusione nello studio potrebbero limitarne la generalizzazione. In secondo luogo, gli interventi sullo stile di vita includevano diversi approcci che rendono difficile l’interpretazione degli effetti di ciascuna tipologia di trattamento. Inoltre, l’introito alimentare veniva riportato dai partecipanti in maniera non controllata e potrebbe pertanto essere soggetto ad errori e a limitazioni. Infine, per poter discriminare tra l’effetto combinato del trattamento farmacologico in associazione allo stile di vita rispetto alla sola terapia, è stato messo a punto un algoritmo pre-impostato che ha limitato l’utilizzo di farmaci solo ad alcune tipologie: non è possibile pertanto generalizzare i risultati ad altre combinazioni di farmaci ipoglicemizzanti.
In conclusione, sebbene fra gli adulti con diabete di tipo 2 e con durata di malattia inferiore ai 10 anni un intervento intensivo sullo stile di vita rispetto al trattamento convenzionale con farmaci ipoglicemizzanti tende al beneficio senza soddisfare il criterio formale di equivalenza, saranno necessari ulteriori studi per valutarne la superiorità, come pure la generalizzazione ad altri contesti clinici e la possibilità di mantenere i risultati nel tempo.
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