Nella continua ricerca delle modalità più efficaci per gestire il diabete mellito e le patologie metaboliche, si è consolidata l’evidenza che l’approccio terapeutico non possa prescindere da una personalizzazione mirata, che consideri non soltanto le caratteristiche cliniche e biologiche della persona affetta dalla malattia, ma anche la sua identità complessiva, i determinanti psicosociali e i fattori ambientali che modulano il rischio e l’aderenza alle terapie. La personalizzazione della gestione e della terapia si configura pertanto come un principio cardine della diabetologia moderna, con l’obiettivo di migliorare sia gli outcome clinici sia la qualità di vita delle persone affette.
In tale contesto si inserisce la crescente rilevanza della medicina di genere, oggi riconosciuta come determinante cruciale della salute. Tradizionalmente, essa è stata intesa come lo studio delle differenze biologiche tra uomini e donne nella eziologia, fisiopatologia e risposta ai trattamenti. Tuttavia, la prospettiva attuale supera questa dicotomia, riconoscendo che la medicina di genere deve includere l’analisi di variabili più complesse, che contribuiscono in maniera rilevante all’identità personale e alla variabilità della popolazione umana.
In particolare, è ormai acquisito che l’identità sessuale costituisca una componente essenziale dell’identità della persona e che essa sia articolata in dimensioni distinte ma interrelate, tra cui le principali sono: il sesso biologico, l’identità di genere, l’espressione di genere, il ruolo di genere e l’orientamento sessuale. Questi fattori interagiscono tra loro e modulano, direttamente o indirettamente, la salute fisica e psichica. Ne deriva che l’assistenza sanitaria, per essere realmente efficace, debba tener conto dell’identità complessiva di ogni persona, evitando approcci standardizzati che rischiano di escludere intere fasce di popolazione. Numerosi studi epidemiologici internazionali hanno documentato come le persone appartenenti alla comunità LGBTQ+ presentino una prevalenza più elevata di diabete mellito, malattie metaboliche e patologie cardiovascolari rispetto alla popolazione generale. L’osservazione di tali differenze solleva interrogativi di natura scientifica e clinica: quali sono i meccanismi alla base di questa maggiore esposizione? Esistono fattori di rischio specifici associati a una specifica identità di genere o a un particolare orientamento sessuale? In che misura tali differenze sono riconducibili a substrati biologici, e in che misura riflettono invece determinanti sociali e culturali?
Una parte rilevante della letteratura suggerisce che i determinanti psicosociali giochino un ruolo cruciale. Le persone LGBTQ+ sperimentano frequentemente condizioni di stress cronico legate a stigma, discriminazione e marginalizzazione sociale, che possono contribuire a una maggiore incidenza di comportamenti a rischio, come fumo, abuso di alcol o alimentazione non equilibrata. Tali condizioni sono associate a disregolazioni neuroendocrine e metaboliche che, nel lungo termine, possono favorire lo sviluppo di diabete e malattie cardiovascolari. Accanto a questi aspetti, devono essere considerate le barriere strutturali che ostacolano l’accesso ai servizi sanitari. Le persone LGBTQ+ possono incontrare difficoltà nel rivolgersi alle strutture di cura a causa del timore di atteggiamenti discriminatori, della mancanza di formazione specifica del personale sanitario o dell’assenza di linee guida adattate alle loro esigenze. Queste barriere determinano un minore ricorso a programmi di screening e prevenzione, diagnosi più tardive e un’aderenza ridotta ai trattamenti, con conseguente peggioramento degli esiti clinici.
L’obiettivo di questo simposio è fornire un quadro aggiornato sullo stato delle conoscenze riguardo alla relazione tra diabete, malattie metaboliche e persone appartenenti alla comunità LGBTQ+, orendo strumenti interpretativi e pratici per una migliore gestione clinica. In particolare, verranno analizzati i principali fattori di rischio, le peculiarità fisiopatologiche, le barriere di accesso ai servizi sanitari e le strategie per promuovere un’assistenza personalizzata e culturalmente competente.
Ciò rientra nell’obiettivo più generale, che come società scientifica dobbiamo condividere, di sensibilizzare i professionisti sanitari e la società civile alla necessità di adottare un approccio inclusivo, che riconosca e valorizzi la diversità come elemento imprescindibile della pratica clinica. Solo attraverso una prospettiva integrata e multidimensionale sarà possibile progredire verso una medicina realmente equa, capace di coniugare l’eccellenza scientifica con l’attenzione ai bisogni individuali. Lo studio delle interazioni tra identità sessuale e salute metabolica rappresenta quindi non solo una nuova frontiera di ricerca, ma anche un impegno professionale e civile per migliorare la qualità delle cure e ridurre le diseguaglianze sanitarie.
Luigi Laviola