22° Congresso Interassociativo AMD-SID Lombardia, 7-8 ottobre 2016, Coccaglio (BS)

Diabete: malattia complessa per operatori sanitari esperti

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COMUNICAZIONI ORALI

Diagnosi precoce delle alterazioni del metabolismo glucidico e “Medicina di iniziativa” Ospedaliera: è possibile coniugare Linee Guida, efficienza e costi?

A. Rocca1, P. Galli1, E. Meneghini1, A. De Blasi2, I.D. Buquicchio3, N. Monzani4, M. Caporiondo5, C. De Tomasi6, S. Meloro6, V. Vassallo6, G. Belotti6, A. De Blasio6, L. Massa6, I. Petrucci6

P.O. Bassini Cinisello Balsamo – ASST Nord Milano

1S.S. Diabetologia e Malattie Metaboliche; 2Coordinatore Servizio Dietetico Aziendale; 3RAQ S.C. Anestesia Rianimazione; 4Responsabile Pre-Ricovero Chirurgico; 5Coordinatore Infermieristico Servizio Pre-Ricovero; 6IP Pre-Ricovero Chirurgico

Introduzione e Scopo: con l’obiettivo di realizzare anche in ospedale una “medicina di iniziativa” ed identificare precocemente le alterazioni del metabolismo glucidico, a partire dal 6/2013 abbiamo modificato il PDTA di Presidio utilizzato per la gestione dei pazienti diabetici (od iperglicemici di primo riscontro) che accedono al Servizio di Pre-Ricovero Chirurgico. Casistica e Metodica: abbiamo aggiunto, al profilo degli esami previsti in Pre-Ricovero, il dosaggio di HbA1c nei casi, non noti per diabete, con valore glicemico “alterato” (tra 101 e 125 mg/dl). Tale anomalia viene segnalata al MMG, programmando colloquio con dietista, per suggerire le adeguate modifiche allo stile di vita. La valutazione dei risultati ottenuti nel periodo giugno 2013-febbraio 2015, su un totale di 5365 accessi consecutivi al Pre-Ricovero, ha consentito di identificare un elevato numero di soggetti (1158 -21.5% del campione) con valore glicemico >100 mg/dl (di cui 187 IFG=16.1% 3.4% degli accessi totali al Pre-Ricovero e 58 diabetici =5% dei pazienti con iperglicemia a digiuno; cfr. G. It. Diabetol Metab 2015; 35: 161-165). L’analisi di questi primi ed interessanti risultati, ha però evidenziato come criticità un elevato tasso di HbA1c<6% (913 casi, pari al 78.8%), con un impatto significativo sui costi dello screening (costo unitario HbA1c=12.15 euro). A partire dal 1/3/2015, abbiamo quindi effettuato dosaggio di HbA1c solo per glicemia ≥110 mg/dl (cfr. OMS- cap. IA Standard Italiani per la cura del diabete 2016), estendendo il protocollo di screening per altri 13 mesi (fino al 31/3/2016). Risultati: su 3822 accessi al Pre-Ricovero nel periodo considerato, 401 pazienti -10.4% hanno eseguito HbA1c (91 IFG=22.6% e 39 diabetici=9.7%). La modifica del cut-off glicemico per dosaggio di HbA1c ha consentito un risparmio di oltre il 51% dei costi per esami (da 2.62 a 1.27 euro/pz, calcolato su ogni accesso a Pre-Ricovero), con miglioramento di specificità (-14.5% di HbA1c<6%) e sensibilità (+48.5% di HbA1c>6.5%) dello screening. Conclusioni: l’applicazione “ragionata” delle Linee-Guida, per migliorare specificità e sensibilità della procedura diagnostica, riducendo i costi, può essere impiegata anche nei percorsi di integrazione Ospedale-Territorio, attivando modalità di intervento per ridurre il passaggio da IFG a diabete.

L’EFFICACIA DI UN LAVORO PSICOLOGICO DI GRUPPO SUL CONTROLLO GLICEMICO IN PAZIENTI CON DIABETE DI TIPO 2

R. Dagani1, A. Schiatti1, D. Carugo1, P. Aliprandi2, A. Romanazzi3, S. Bruno3, A. Tomasich3

1Ambulatorio Diabetologia Rho; 2Resp. UOC Medicina Rho; 3Servizio di Psicologia Clinica Garbagnate M.se

Introduzione: la gestione del diabete di tipo 2 è problematica anche per le difficoltà di compliance e di rapporto con i curanti. In questo lavoro è stato valutato l’impatto di un intervento psicologico, integrato con l’équipe, sugli esiti di malattia, compliance e qualità di vita dei pazienti afferenti all’ambulatorio di diabetologia. Scopo: valutare l’efficacia di un intervento psicologico, anche a tempo definito, che offra ai pazienti uno spazio dove poter elaborare i cambiamenti necessariamente innescati dalla malattia e comprendere meglio i propri bisogni. Materiali e Metodi: sono stati arruolati 111 pazienti con recente diagnosi di diabete di tipo 2, valutando funzioni psicosociali (SF-36), qualità di vita (DQOL), supporto sociale (MSPSS), alessitimia (TAS-20), compulsività alimentare (BES) e stati ansioso-depressivi (HADS), oltre alle usuali misurazioni mediche. 47 pazienti hanno partecipato ad incontri di gruppo di stampo psicologico e psicoeducazionale, utilizzando le Conversation Maps, e sono stati confrontati con 48 pazienti di controllo sottoposti a terapia medica standard. È stato proposto un follow-up a 6 e a 12 mesi (T1 e T2). Risultati: il confronto tra gruppi mostra che, a T1, i pazienti del gruppo sperimentale presentano un significativo decremento del 2% dell’Hb1Ac, rispetto a T0. Di contro, i pazienti del gruppo di controllo mostrano un decremento dello 0.4%. Inoltre, l’analisi della varianza mostra come, a T1, nel gruppo sperimentale un minor numero di pazienti presenta una Hb1Ac>7% (n=7, 17,5%), rispetto aT0 (n=19, 47.5%). Tale differenza non si riscontra nel gruppo di controllo (T0: n=15, 51,7%; T1: n=10, 34,5%). A T2 non è stata riscontrata alcuna differenza significativa all’interno dei gruppi. Infine, il fattore alessitimia non ha effetto sui livelli di Hb1Ac (R2=.01, p=.69), ma ha un effetto significativo sulla predizione dei livelli di funzionamento psicosociale, fisico e mentale (R2=.13, F=4.89, p=.01) e sui livelli di ansia/depressione (R2=.19, F=7.44, p=.001). Conclusioni: i risultati suggeriscono che l’intervento psicologico, integrato in équipe, ha un effetto positivo sulla compliance dei pazienti, favorendo un miglior controllo glicemico. Al fine di mantenere i risultati nel tempo, sarebbe utile proporre l’intervento psicologico e psicoeducazionale periodicamente nel tempo.

Outcomes neonatali nel diabete mellito di tipo 1

B. Pintaudi, E. Mion, D. Corica, G. Oggioni, E. Cimino, F. Bertuzzi, M. Bonomo

S.S.D. Diabetologia ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, Milano

Introduzione: le gravidanze complicate da diabete pre-gestazionale si caratterizzano per un alto rischio di outcomes neonatali avversi. L’utilizzo in gravidanza di strumenti tecnologici quali microinfusori di insulina e sensori della glicemia non si è dimostrato vantaggioso nel miglioramento degli esiti della gravidanza nelle modalità di utilizzazione attualmente seguite. Scopo: confrontare gli esiti neonatali di gravidanze complicate da diabete pre-gestazionale trattato con terapia insulinica multiiniettiva (MDI) rispetto a quelli di donne trattate con strumenti tecnologici (microinfusori di insulina (CSII) e sistemi integrati microinfusore e sensore (SAP)). Materiali e Metodi: sono stati valutati retrospettivamente i risultati delle gravidanze di donne con diabete mellito di tipo 1 confrontando quelle trattate con MDI con quelle trattate con sistemi tecnologici (CSII o SAP) presso il Centro di Diabetologia dell’Ospedale Niguarda nel periodo 2010-2015. In particolare sono state raccolte informazioni sul compenso metabolico delle madri, espresso dai livelli di emoglobina glicata, sull’incremento ponderale materno e su una serie di esiti neonatali: sesso, peso alla nascita, crescita fetale per età gestazionale, malformazioni, ipoglicemia, ittero, ipocalcemia, ricovero in terapia intensiva neonatale. Risultati: complessivamente 138 pazienti (età media 33.6±5.1 anni; durata di malattia 14.6±8.7 anni) con DM1 sono state seguite. Di queste 71 erano in terapia con MDI e 67 con sistemi tecnologici (CSII o SAP). I due gruppi non differivano per livelli di emoglobina glicata (p=0.54) né per grado di incremento ponderale (p=0.48). L’analisi degli outcomes neonatali non ha evidenziato alcuna differenza tra i due gruppi per i singoli esiti considerati né per un outcome composito avverso comprendente i singoli esiti avversi (p=0.80). L’uso di sistemi tecnologici non è risultato associato (OR=0.78, IC 95% 0.27-2.28) ad outcomes neonatali avversi in un modello di regressione logistica aggiustato per incremento ponderale, delta HbA1c, età materna. Conclusioni: l’attuale utilizzo di strumenti tecnologici quali CSII e SAP in gravidanze complicate da diabete pre-gestazionale non si associa ad esiti neonatali più favorevoli rispetto al trattamento con schemi insulinici multi-iniettivi.

ALTERATA FUNZIONALITÀ PANCREATICA ESOCRINA NEI PAZIENTI CON DIABETE DI TIPO 1: NUOVE IPOTESI PATOGENICHE?

N. Dozio1,2, R. Indirli2, L. Frosio2, G.M. Giamporcaro2, M. Scavini1,2, A. Laurenzi1,2, A. Valle2, A. Soldarini3, E. Bosi1,2, M. Battaglia2

1Department of Internal Medicine, IRCCS San Raffaele Hospital, Milan, Italy; 2Diabetes Research Institute (DRI), IRCCS San Raffaele Scientific Institute, Milan, Italy; 3Service of Laboratory Medicine, IRCCS San Raffaele Hospital, Milan, Italy

Introduzione: il diabete di tipo 1 (T1D) è considerato una malattia autoimmune specifica della β cellula: alcune evidenze suggeriscono però una compromissione anche del tessuto pancreatico esocrino. Tuttavia l’entità, la prevalenza e il ruolo patogenetico del tessuto esocrino nel T1D rimangono poco chiari. Obiettivo di questo studio è la valutazione della funzione pancreatica esocrina in pazienti con T1D in diversi stadi di malattia. Metodi: sono stati studiati pazienti con T1D alla diagnosi (<3 mesi dall’inizio di terapia insulinica, n=12), pazienti con malattia di lunga durata (>5 anni, n=19) e controlli non diabetici comparabili per età e BMI (n=26). La funzione pancreatica è stata valutata mediante amilasi pancreatica e lipasi sieriche ed elastasi fecale. L’attività lipasica è stata stimata con breath test con 13C-Trigliceride misto (MTGT). Sono stati inoltre misurati emoglobina glicata (HbA1c) e c-peptide sierico a digiuno, emocromo con formula leucocitaria, indici infiammatori sistemici ed intestinali (calprotectina fecale) e indici di stato nutrizionale. La presenza di segni e sintomi di insufficienza pancreatica severa è stata valutata mediante questionario standardizzato. Risultati: tutti i parametri valutati sono risultati nei limiti di norma in tutti i soggetti studiati. Tuttavia nel 90% dei pazienti diabetici uno o più parametri di funzione pancreatica sono risultati inferiori al 25° centile dei soggetti di controllo non diabetici. Sia i pazienti neo-diagnosticati che quelli con malattia di lunga durata hanno mostrato livelli ridotti di elastasi fecale, i soggetti con diabete di lunga durata presentavano valori ridotti di lipasi ed isoamilasi serica e livelli ridotti degli indici nutrizionali. L’attività lipasica valutata con MTGT è ridotta non significativamente. Non si sono riscontrate differenze tra i gruppi nella distribuzione delle popolazioni cellulari circolanti o negli indici infiammatori. Conclusioni: la funzione del pancreas esocrino risulta alterata nei pazienti con T1D rispetto ai controlli senza diabete, sebbene in forma sub-clinica. Se questa alterazione, presente in tutte le fasi del T1D, abbia una ruolo patogenetico nello sviluppo del T1D e una sua modulazione possa avere risvolti clinico terapeutici è oggetto di ulteriori studi.

L’enteropatia diabetica nasce da un’anomalia delle cellule staminali intestinali mediata dal fattore circolante IGFBP3

F. D’Addio1,2, A. Maestroni1, V. Usuelli1, S. La Rosa3, E. Orsenigo4, M. Ben Nasr1,2, S. Tezza1,2, G. Finzi3, R. Frego5, L. Albarello6, A. Andolfo7, R. Manuguerra8, E. Viale5, C. Staudacher4, D. Corradi8, A. Secchi1,9, F. Folli10, P. Fiorina1,2

1IRCCS Ospedale San Raffaele Milano, Medicina Trapianti, 2Boston Children’s Hospital Division of Nephrology; 3Ospedale di Circolo, Varese, Pathology Unit; IRCCS Ospedale San Raffaele Milano 4Surgery, 5Gastroenterology, 6Pathology Unit, 7ProMiFa, Protein Microsequencing Facility; 8Pathology, University of Parma; 9Università Vita Salute; 10Division of Diabetes, University of Texas Health Science Center at San Antonio

Introduzione: più dell’80% di soggetti con diabete (T1D) di lunga durata che spesso hanno altre complicanze secondarie al T1D, presenta disturbi intestinali. La presenza di questi sintomi, nota come enteropatia diabetica (DE), riduce la qualità di vita e ha patogenesi sconosciuta. Non è noto se esistano fattori sistemici/ormoni circolanti che controllano l’omeostasi delle cellule staminali intestinali (ISCs) e favoriscano l’insorgenza di DE. Scopo: la nostra ipotesi è che esista un asse costituito da fattori circolanti (IGF-I/IGFBP3) che controlla le ISCs ed è alterato in corso di DE. Metodi: abbiamo valutato i sintomi gastrointestinali, le alterazioni di motilità e di morfologia, in 60 individui con lunga storia di T1D (>15 anni) e in 20 soggetti sani. Con l’analisi del proteoma sierico abbiamo individuato i fattori circolanti che possono regolare le ISCs e li abbiamo testati in vitro nel saggio dei mini-gut. Risultati: i soggetti con T1D mostravano sintomi intestinali severi, anomalie della mucosa, alterazione delle ISCs e incapacità a generare mini-gut in vitro. Alterati livelli circolanti del fattore di crescita insulino-simile 1 (IGF-I) e della sua proteina carrier 3 (IGFBP3) erano presenti nei soggetti con T1D, con un aumentato rilascio epatico di IGFBP3 secondario all’iperglicemia. IGFBP3 in vitro inibiva la crescita dei mini-gut con un meccanismo IGF-I-indipendente, mediato da TMEM219, il recettore di IGFBP3 espresso sulle ISCs, e attivazione delle caspasi. In modelli murini IGFBP3 in vivo danneggiava la mucosa e le ISCs favorendo lo sviluppo di DE. IGF-I in vitro ripristinava la capacità delle ISCs di generare mini-gut nei soggetti con T1D. Il recupero della normoglicemia con il trapianto di rene-pancreas, si associava ad un miglioramento della DE e dell’omeostasi delle ISCs attraverso il ripristino dei livelli circolanti di IGF-I/IGFBP3. Conclusioni: l’asse periferico IGF-I/IGFBP3 controlla le ISCs ed è alterato in corso di DE.

I livelli circolanti ed il profilo secretivo dei Glucagon Like Peptides correla con la composizione corporea e il grado di infiammazione sistemica dei pazienti affetti da Sindrome Metabolica

P. Lucotti, A. Di Sabatino, M. Laneri, G.R.Corazza, E. Lovati

Cl. Medica I, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia

Introduzione: in letteratura esistono pochi e non univoci dati relativi ai livelli endogeni circolanti di GLP1 e GLP-2 nei pazienti con Sindrome Metabolica (SM). Scopo: valutare il profilo secretivo basale e post-assorbitivo (dopo pasto standard) dei Glucagon Like Peptides (GLP-1 e GLP-2) in una popolazione affetta da SM ed in una popolazione di controllo sana. Obiettivi secondari: indagare la correlazione tra livelli circolanti di GLP-1, GLP-2 e i dati di composizione corporea ed il grado di infiammazione sistemica. Materiali e Metodi: 15 pazienti con SM (criteri IDF) e 15 pazienti sani sono stati sottoposti ad una valutazione della composizione corporea mediante bioimpedenziometria (CIA-ACC, Biotekna, Srl). Gli stessi hanno poi assunto un Pasto Standard di 300 kcal (Ensure Plus Creme – Abbot), 55% carboidrati, 30% grassi e 15% proteine, e sono stati sottoposti a prelievi per la determinazione dei livelli basali e post-assorbitivi di GLP-1 e GLP-2 e dei livelli basali di proteina C reattiva ad alta sensibilità (hsCRP). Risultati: i pazienti con SM mostrano livelli circolati basali di GLP-1 e GLP-2 significativamente più elevati rispetto ai controlli sani (123.2 vs 29.17 pmol/l, p<.001; 6.93 vs 4.22 ng/ml, p<.05, rispettivamente). L’area sotto la curva (AUC) di entrambi gli ormoni risulta significativamente superiore nei soggetti con SM rispetto ai controlli sani, al contrario l’area incrementale (Delta AUC), espressione dell’effettiva secrezione dei due ormoni, risulta tendenzialmente ridotta nei pazienti con SM rispetto ai controlli sani (Delta AUC GLP1: 4309 vs 7427 pmol/l * 180 min; Delta AUC GLP2: 109.2 vs 218.9 ng/ml * 180 min; SM vs controlli) seppur in maniera non significativa. Ad una analisi di correlazione lineare il delta AUC GLP-2 è risultato indipendentemente ed inversamente correlato con la percentuale di massa grassa (r -0.40, p 0.03) e con la quota di tessuto adiposo addominale (r -0.40, p<0.03). Il Delta AUC GLP-2 correla ancora una volta inversamente con l’AUC delle glicemia (r -0.47, p<.01) così come con il BMI e l’età (r -0.33; r -0.30, rispettivamente). È stata osservata inoltre una correlazione inversa tra la secrezione del GLP-1 e i livelli circolanti di hsCRP (r -0.49, p<0.05). Conclusioni: lo studio ha consentito di definire il profilo secretivo endogeno dei GLPs (GLP-1 e GLP-2) in una popolazione affetta da SM. Entrambi i GLPs sembrano avere un ruolo specifico nel modulare la composizione corporea e il grado di infiammazione sistemica in questi pazienti.

POSTER

STUDIO DELLE ABITUDINI ALIMENTARI IN PAZIENTI DIABETICI CON E SENZA NEFROPATIA

 E. Bettinelli1, V. De Mori1, G. Meregalli1, B. Balini1, D. Berzi 1, R. Carpinteri1, F. Forloni1, S. Maestroni2, G. Zerbini2, A.C. Bossi1

1UOC Malattie endocrine-Centro Regionale per il Diabete Mellito, ASST Bergamo Ovest;2Laboratorio Complicanze del Diabete, Diabetes Research Institute, Istituto Scientifico San Raffaele, Milano

Introduzione: un sano stile di vita e un modello nutrizionale basato sulla Dieta Mediterranea (DM) possono rappresentare uno strumento per la prevenzione delle complicanze micro e macrovascolari associate al diabete mellito tipo 2 (DMT2). Scopo: 1) valutare le abitudini alimentari in pazienti con DMT2 (con e senza nefropatia diabetica) e l’aderenza alla DM; 2) confrontarle con le raccomandazioni nutrizionali delle linee guida SID; Materiali e Metodi: sono stati reclutati, presso l’ambulatorio di Diabetologia dell’ASST Bergamo Ovest, 23 pazienti diabetici con normoalbuminuria, 26 con microalbuminuria, 25 con nefropatia diabetica conclamata e 7 soggetti sani. Sono stati registrati parametri antropometrici (BMI, circonferenza vita), pressione arteriosa, esami ematochimici (glicemia basale, HbA1c, colesterolo totale, HDL, trigliceridi, c-LDL, creatininemia, albuminuria). È stato somministrato un questionario di frequenza alimentare valutando l’aderenza alla DM. Risultati: i pazienti diabetici presentavano un range di età pari a 40-71 anni e durata di malattia 1-30 anni. Il loro BMI era diagnostico per sovrappeso o obesità. I valori di HbA1c medi erano superiori agli obiettivi terapeutici ottimali. Nell’analisi dell’intake dei macronutrienti non sono state osservate differenze statisticamente significative nei tre gruppi. L’intake proteico giornaliero era adeguato nel 70% dei diabetici normoalbuminurici e solo nel 50% dei macroalbuminurici. Il 40% dei soggetti con danno renale assumeva un corretto apporto di acidi grassi. Solo il 22,5% dei pazienti aderiva al modello della DM soprattutto a causa di basso consumo di pesce e legumi. Quasi il 50% dei pazienti diabetici consumava ≥2 porzioni di verdura al giorno preferendo la carne bianca alla rossa. Conclusioni: lo studio ha evidenziato una scarsa aderenza dei pazienti diabetici alle indicazioni nutrizionali e alla DM. È quindi necessario implementare le loro conoscenze in ambito alimentare e uno stile di vita sano ed attivo.

L’Importanza della Terapia Nutrizionale nel Trattamento del Paziente Cronico Fragile Pluripatologico

E.P. Gozzini1, O.A. Oladeji2, M.L. Belotti3, M. Turra4, A. Pagani5

1Nutrizionista, Ambulatorio di Diabetologia A.S.S.T. Franciacorta, Palazzolo s/O; 2Dirigente Medico, Responsabile Ambulatorio di Diabetologia A.S.S.T. Franciacorta, Palazzolo s/O; 3Ex-Dirigente Medico A.S.S.T. Franciacorta, Palazzolo s/O; 4Infermiera, Ambulatorio di Diabetologia A.S.S.T. Franciacorta, Palazzolo s/O; 5Primario U.O. Medicina, A.S.S.T. Franciacorta, Chiari

Il paziente diabetico è spesso un soggetto fragile, la cui gestione diventa più complicata quando non aderisce alla terapia farmacologica e dietetica. Scopo di questo lavoro è investigare quali siano i principali errori alimentari, impostare una terapia nutrizionale mirata e confrontare a medio e lungo termine eventuali modificazioni antropometriche e dei parametri ematici. Verrà inoltre valutato se la vicinanza dell’equipe diabetologica (medico, nutrizionista e infermiere) sia di per sé sufficiente a garantire un miglioramento dei parametri del paziente. Durante le visite di controllo sono stati consegnati 296 diari alimentari, gli errori venivano valutati rispetto alle direttive date durante le visite pregresse, e su di essi si costruiva una nuova terapia nutrizionale (Fig. 1). Dopo un primo controllo svolto o solo con il Diabetologo, o con lo stesso e il Nutrizionista, al secondo controllo, si confrontavano le percentuali di pazienti che avessero avuto un aumento, una diminuzione o un mantenimento di HbA1c o del peso corporeo (Fig. 2). Si evince come la visita combinata garantisca a un maggior numero di pazienti di perdere peso ed abbassare HbA1c. Parallelamente vengono confrontati dopo 3 mesi e 1 anno dalla prima visitai i valori medi di HbA1c per i pazienti a cui la terapia farmacologica è stata aumentata o è stata confermata rafforzando la terapia educazionale, si valutano poi ai tre tempi le percentuali di pazienti con HbA1c inferiore a 7% (Fig. 3). La sola vicinanza dell’equipe specialistica può portare benefici al paziente diabetico fragile anche quando la terapia farmacologica non viene modificata, garantendo nel tempo un numero maggiore di pazienti compensati. Un paziente compliante avrà meno eventi avversi, diminuendo sia i rischi per la sua vita che i costi a carico del SSN.

EFFICACIA DEL CHO-COUNTING E CONFRONTO TRA LE DIVERSE METODICHE DI STIMA DEI RAPPORTI I/CHO IN SOGGETTI CON DIABETE MELLITO CORRELATO A FIBROSI CISTICA (CFRD) SOTTOPOSTI A TRAPIANTO POLMONARE (LT)

V. Grancini, A. Gaglio, E. Lunati, E. Palmieri, V. Resi, E. Orsi

1Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, Servizio di Diabetologia

Introduzione: il DM è una frequente complicanza della fibrosi cistica (FC) ed è causato da una compromessa funzione β cellulare. A tale alterazione, dopo trapianto, si somma un’aumentata insulinoresistenza, determinata dalla terapia steroidea. Il cho-counting è una tecnica efficace di gestione della terapia insulinica nei soggetti con DM1, che permette il conseguimento di un miglior controllo glicemico a fronte di maggior libertà nella dieta. Scopo: valutare l’efficacia del carbo-counting in soggetti con CFRD sottoposti a LT sul compenso glicemico e valutazione dell’applicabilità della regola del 500 per la stima del rapporto I/CHO, confrontato con i rapporti ricavati dai diari glicemici e alimentari. Materiali e Metodi: valutati 23 pz con CFRD sottoposti a LT, randomizzati in due gruppi: uno di intervento (n=11), che ha seguito il corso del cho-counting, e uno di controllo (n=12), seguito secondo lo standard care ambulatoriale. Il compenso è stato valutato con la variazione di HbA1c a 1 anno dal basale. Nel gruppo di intervento, il rapporto I/CHO ricavato con la formula del 500 è stato confrontato con i rapporti ottenuti dai diari alimentari e glicemici forniti dai pazienti. Risultati: nel gruppo di intervento si è dimostrata una riduzione significativa di HbA1c rispetto al gruppo di controllo (7.3±0.9% à6.4±0.8%, Δ -0.98% vs 7.0±1.3% à 7.1±1.2%, Δ +0.1%, P<0.05). Il rapporto I/CHO medio ottenuto tramite la regola del 500 era di 1/17, mentre, sulla base dei diari alimentari, era 1/20 a colazione, 1/14 a pranzo e 1/18 a cena. Conclusioni: il cho-counting si è dimostrato efficace nella gestione della terapia insulinica nei soggetti con CFRD, permettendo il raggiungimento di un miglior controllo glicometabolico. L’utilizzo dei diari alimentari e glicemici permette di stimare il rapporto I/CHO differenziando il diverso fabbisogno insulinico nelle varie fasce della giornata. Ciò permette una più accurata personalizzazione della terapia rispetto all’utilizzo della regola del 500, che, a causa della concomitante terapia steroidea, invariabilmente porta a una sottostima del fabbisogno insulinico a pranzo.

Dieta a basso indice glicemico vs terapia dietetica tradizionale nel trattamento del diabete gestazionale (GDM): studio monocentrico comparativo

A. Pulcina1, V. Donadoni2, O. Colombo1, E. Rodeschini1, A.R. Dodesini3 F. Cortinovis1, R. Trevisan3

1U.S.S. Dietologia Clinica ASST “Papa Giovanni XXIII”, Bergamo; 2Università degli Studi di Milano, Corso di Laurea in Dietistica; 3U.S.C. Malattie Endocrine e Diabetologia, ASST “Papa Giovanni XXIII”, Bergamo

Introduzione: la dieta rappresenta il cardine nel trattamento del GDM, anche se non è ancora chiarito il ruolo di alimenti a basso indice glicemico nel trattamento del GDM. Scopo: confrontare l’efficacia di una dieta a basso indice glicemico (“low IG diet”) con quella di una dieta ad indice glicemico non controllato (“non IG-controlled diet”) in donne con GDM. Materiali e Metodi: le due diete, “low IG diet” e “non IG-controlled diet” differivano nella composizione per indice glicemico e contenuto di fibra: in particolare nella “low IG diet” i CHO totali erano >45%, gli zuccheri semplici ≤14%, l’indice glicemico ≤50 e le fibre ≥35 gr die, mentre nella “non IG-controlled diet” i CHO totali erano >45%, gli zuccheri semplici ≤14%, l’indice glicemico >50 e le fibre <35 gr die. In entrambe le diete, il contenuto calorico e proteico è stato calcolato in base al peso, BMI pregravidico, incremento ponderale raccomandato ed epoca gestazionale. 35 pazienti affette da GDM (età 35±5 anni [media±DS], BMI 26±6 Kg/m2, peso pre gravidico 69±17 Kg) sono state randomizzate attorno alla 25ima±4 settimana di gravidanza ad uno dei due differenti interventi dietetico. I due gruppi erano omogenei per età al momento del concepimento, peso e BMI pre-gravidici (“low IG diet” group: 15 pazienti (età media 35±6 anni) vs “non IG-controlled diet” group: 16 donne (età media 35±4 anni). La compliance è stata valutata dalla compilazione di un diario alimentare. Risultati: in tutte le fasce orarie (ad eccezione di quelle “prima di pranzo” e “due ore dopo cena”) i valori di glicemia sono significativamente inferiori (p<0.05) nelle donne in trattamento con “low IG diet’’ rispetto ai livelli glicemici delle donne in “non IG-controlled diet”. (Glicemia mg/dl: a digiuno 82±5 vs 88±4; due ore dopo colazione 115±17 vs 122±17, due ore dopo pranzo 114±16 vs 119±17; prima di cena 85±8 vs 89±11). 4 pazienti (1 nel “low IG diet” group, 3 nel “non IG-controlled diet” group) hanno disatteso la prescrizione nutrizionale rendendo necessaria la terapia insulinica. Non ci sono state differenze significative fra i 2 gruppi per quanto riguarda gli outcomes perinatali dei neonati (peso medio in grammi, settimane di gestazione totali, aumento di peso corporeo in % e in Kg). Conclusioni: la dieta a basso indice glicemico ha portato a un migliore controllo glicemico nelle donne con GDM. L’assenza di differenza negli outcomes perinatali è probabilmente dovuta all’esiguità della popolazione studiata. Un follow-up nutrizionale a basso indice glicemico potrebbe rivestire un ruolo importante nel mantenimento di un buon compenso glicemico nelle pazienti affette da diabete gestazionale.

L’impiego della tecnologia nel corso del counting dei carboidrati

O. Disoteo, B. Pintaudi, G. Pizzi, E. Cimino, E. Mion, A. Morelli, I. Gironi, M. Centra, F. Bertuzzi, M. Bonomo

S.S.D. Diabetologia ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, Milano

Introduzione: l’ottimizzazione della glicemia nei soggetti con diabete mellito di tipo 1 (DM1) si associa ad un minore rischio di insorgenza di complicanze. Uno degli ostacoli principali alla corretta gestione del diabete è rappresentato dal calcolare l’esatto quantitativo di insulina da somministrarsi in corrispondenza dei pasti al fine di mantenere la glicemia post-prandiale entro valori target. A tal fine uno strumento fondamentale è il conteggio dei carboidrati. Scopo: integrare ai consueti strumenti educativi utilizzati nel corso del conteggio dei CHO una strategia più tecnologica rappresentata dall’analisi e dalla discussione dei dati glicemici derivanti da holter glicemico. Materiali e Metodi: il nostro Servizio di Diabetologia dell’Ospedale Niguarda è solito organizzare periodicamente un corso del counting dei carboidrati della durata di 4 incontri rivolto a soggetti con DM1 o DM2 in terapia insulinica. Durante l’ultimo corso alcuni partecipanti hanno indossato per una settimana un sistema di monitoraggio della glicemia in modalità holter-like. I pazienti non avevano la possibilità di visionare i propri valori glicemici che venivano invece registrati e scaricati dopo una settimana. Durante questo periodo informazioni su alimenti assunti, terapia praticata, attività fisica svolta, eventuali altre annotazioni venivano registrate su un apposito diario. In occasione dell’incontro successivo venivano discussi i dati glicemici con tutti i partecipanti cercando di interpretare quale fosse il risultato dei differenti alimenti assunti sulla variazione glicemica. All’inizio ed alla fine del corso a tutti i partecipanti è stata inoltre somministrata una batteria di questionari volti ad indagare grado di benessere psicologico, empowerment, distress, self-care, paura per l’ipoglicemia, conoscenze alimentari. Risultati: i risultati, seppur ancora non definitivi, dei 20 pazienti con DM1 partecipanti (60% maschi; età media 36±5 anni, durata di malattia17±6 anni) mostrano un miglioramento in termini di empowerment, distress, paura per l’ipoglicemia, conoscenze alimentari rispetto al baseline. Conclusioni: l’utilizzo di strumenti tecnologici nel contesto di corsi sul counting dei carboidrati può rappresentare un’utile risorsa educativa.

Effetti delle colazioni Italiane sull’appetito

S. Perra1, G. Lattuada1, F. Ragogna2, R. Di Fenza2, N. Dellerma1,2, F. Martucci1, G. Manzoni1, E. Devecchi1,2, L. Maurizio3, T. Hulshof3, G. Perseghin1,2,3,4

1Medicina Metabolica, Policlinico di Monza; 2Ospedale San Raffaele, Milano; 3Kellogg International; 4Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi di Milano

Introduzione: il regolare consumo della colazione, si associa ad una migliore qualità dell’alimentazione e potrebbe essere protettivo nei confronti dell’obesità. Le abitudini italiane sono molto diverse in termini di tipologia della colazione rispetto a quelle di altri paesi nei quali è stata condotta la ricerca in quest’area. Scopo: comparare l’effetto sull’appetito di quattro colazioni tipicamente italiane e di paragonarle al saltare la colazione in una situazione real-life. Materiali e Metodi: abbiamo reclutato 40 soggetti sani abituati a consumare regolarmente la colazione e li abbiamo avviati random a 5 procedure sperimentali: saltare la colazione (digiuno prolungato) e 4 diverse colazioni iso-caloriche e iso-volumetriche. La valutazione dell’appetito è stata stabilita mediante punteggio Visual Analogue Scale (VAS), registrato 8 volte nelle 4 ore successive al pasto. Risultati: il consumo della colazione si è associato ad un punteggio di sazietà e senso di ripienezza superiori, e di senso di fame, consumo di cibo prospettico, e desiderio di mangiare ridotti rispetto alla condizione di aver saltato la colazione (p<0.0001 per tutte le colazioni). Non sono state invece riportate differenze tra le 4 colazioni. Correlativamente gli individui di sesso maschile hanno documentato una sazietà ridotta (p=0.002) e un senso di fame (p=0.020), consumo prospettico di cibo (p=0.017) e desiderio di mangiare (p=0.035) maggiore rispetto a quello degli individui di sesso femminile. Il comportamento alimentare valutato mediante il DEBQ (questionario) era associato in modo significativo alla risposta dell’appetito alle diverse colazioni. Conclusioni: soggetti sani hanno un maggior senso di fame durante la mattina nella quale la colazione è stata saltata. A dispetto della diversa composizione in macronutrienti e contenuto di fibra, il senso di appetito non è risultato diverso dopo il consumo delle quattro diverse colazioni. Il genere e le abitudini alimentari influenzano il senso di appetito dopo il consumo della colazione.

PREVALENZA DI DIABETE E PRE-DIABETE IN UNA COORTE DI ADULTI AFFETTI DA WILLIAM-SYNDROME: FOLLOW-UP A 5 ANNI

M.E. Lunati1, V. Grancini1, V. Resi1, E. Palmieri1, M. Bedeschi2, F. Lalatta2, E. Orsi1

1Dipartimento di Scienze Cliniche e Salute pubblica, Università di Milano, Unità Operativa di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, Fondazione IRCCS Cà Granda H Maggiore Policlinico, Milano; 2Dipartimento di Salute della donna, del bambino e del neonato, Università di Milano, Unità Operativa di Genetica Medica, Fondazione IRCCS Cà Granda H Maggiore Policlinico, Milano

Introduzione: la sindrome di Williams (WS) è caratterizzata da microdelezione in regione q11.23 cromosoma 7 (WS chromosome region, WSCR). L’emizigosità del gene sintassina 1A (STX-1) e del gene MLXIL, implicati nei processi di secrezione insulinica, sono ritenuti i maggiori responsabili delle alterazioni glucidiche. Uno studio su adulti WS, evidenziava il ruolo cruciale della ridotta sensibilità insulinica nella patogenesi, senza differenze di secrezione insulinica tra soggetti WS e sani. Materiali e Metodi: 20 soggetti WS (13 F, 7 M; età 29.8±5.5 aa) valutati al basale e dopo 5 aa mediante parametri antropometrici e OGTT 75 gr. Pazienti affetti da IGT/DM sono stati trattati secondo le linee-guida, i sovrappeso/obesi hanno iniziato terapia dietetica. Risultati: al basale, DM e IGT sono stati diagnosticati rispettivamente nel 5% (1/20) e 55% (11/20), mentre IFG in 5 pz già noti per IGT. Al follow-up, IGT è stato riscontrato nel 40% (8/20) di cui 6 anche IFG. Solo in 1 pz è stato diagnosticato DM de novo. L’obesità al basale nel 10% (2/20), al follow-up nel 5% (1/20). Dopo 5 aa, i pz IGT hanno mostrato una ridotta funzione β cellulare rispetto ai pazienti WS normoglicemici (HOMA-B%: 76.3±34.5 vs 113±29.8, P=0.06; Disposition Index: 3.15±1.22 vs 5.71±1.14, P=0.01), associata ad aumentata IR (HOMA-IR: 2.02±0.5 vs 1.7±1.06, P=0.46). Nei soggetti IGT, HOMA-B% e Insulinogenic Index hanno mostrato riduzione nel tempo (baseline: 108.2±43.6, 5-yr: 73.6±36.3, P=0.106; baseline: 1.03±0.46, 5-aa: 0.89±0.68, P=0.637), HOMA-IR si è mantenuto invariato. Conclusioni: il cambiamento dello stile di vita ha permesso di ridurre la prevalenza di alterazioni del metabolismo glucidico. Nel presente studio, le alterazioni glicemiche sono associate inizialmente a una ridotta sensibilità, ma successivamente a ridotta funzionalità β cellulare, dovuta alla delezione di geni come STX-1A. Pertanto è necessario follow-up e correzione dei fattori di rischio, al fine di ritardare la diagnosi di DM.

Monitoraggio glicemico in ambito ospedaliero: appropriatezza e gestione delle risorse

C. Berra, F. Zangrandi, M. Mirani, G. Favacchio, C. Margotti, R.P. Tomasin, P. Meroni

Humanitas Research Hospital, Rozzano, Milano

Nella popolazione ospedalizzata il soggetto affetto da diabete rappresenta circa il 30%. L’iperglicemia all’ammissione in ospedale, con o senza pregressa diagnosi di diabete, si associa a una maggiore morbilità e mortalità in qualunque setting assistenziale. Il monitoraggio della glicemia in tali pazienti o in soggetti a rischio di sviluppare iperglicemia riveste importanza cruciale in quanto ottenere un buon compenso metabolico riduce complicanze infettive e tempi di degenza.

Nel nostro istituto sono stati acquisiti da cartella elettronica tutti i valori glicemici rilevati mediante glicemia capillare dal 1 gennaio al 30 giugno 2015 nei reparti di degenza, escluse le aree intensive e sub intensive, per condurre un analisi quantitativa e di appropriatezza dauso, e proporre un protocollo operativo di intervento. Nel periodo preso in esame 3440 soggetti sono stati sottoposti ad almeno una rilevazione glicemica capillare di cui il 46% a più di 4 rilevazioni quotidiane. È stato elaborato un protocollo di monitoraggio glicemico sulla base delle caratteristiche cliniche dei soggetti ricoverati condiviso con tutto il personale medico e paramedico dell’ospedale ad uso del personale infermieristico allo scopo di ottimizzare le risorse e omologare tale rilevazione parametrica.

Paziente non diabetico in terapia steroidea controllo al mattino a digiuno e 2 dopo pranzo a giorni alterni (ore 7-15).

Diabetico in terapia orale al mattino a digiuno 2 ore dopo pranzo e prima di cena a giorni alterni (ore 7-15-19).

Diabetico in terapia insulinica: 3 volte al giorno prima dei pasti quotidianamente.

Diabetico in terapia insulinica fragile/in alta intensità di cure curva completa (7-11-15-19-22).

In seguito ad adeguata attività formativa il protocollo è stato attuato dal 1 gennaio 2016. Nel primo semestre dell’anno corrente sono risultati monitorati 3713 soggetti ma la percentuale di quelli che avevano più di 4 rilevazioni quotidiane è stata del 38%. La creazione di un protocollo condiviso, associato ad un adeguato percorso formativo, può generare una ottimizzazione delle risorse (materiale, tempo), senza impattare negativamente sullIoutcome clinico. Il passaggio successivo è l’attivazione di un segnale di “warning” in cartella elettronica per il medico tutor a cui poi seguirà un ulteriore segnalazione all’equipe diabetologica.

Confronto delle caratteristiche antropometriche e glicometaboliche tra la popolazione extracomunitaria e la popolazione italiana al primo contatto con la Struttura Diabetologica 

V. Magri, M. Rota, E. Carrai, S. Di Lembo, P. Ruggeri

ASST Cremona Centro Diabetologico

Introduzione: il diabete mellito oggi colpisce una parte rilevante della popolazione, tra cui numerosi immigrati che rappresentano e rappresenteranno una percentuale sempre più cospicua dei pazienti nel prossimo futuro. Anche nella nostra provincia cremonese e pertanto nel nostro Centro Diabetologico si conferma ormai da molti anni questa nuova realtà multietnica con implicazioni sociali, e sanitarie assistenziali considerevoli. Scopo: valutare e confrontare, al momento del primo accesso all’ambulatorio diabetologico, le differenze tra la popolazione italiana e la popolazione extracomunitaria per quanto riguarda alcune caratteristiche antropometriche e glicometaboliche in base alla durata di malattia e di comparsa della medesima. Materiale e Metodi: sono stati presi in considerazione 441 primi accessi al nostro Centro nel corso del secondo semestre 2015.

382 pazienti italiani (279 con diabete diagnosticato da meno di 1 anno + 103 con diabete noto da anni).

59 pazienti extracomunitari (46 con diabete diagnosticato da meno di 1 anno + 13 con diabete noto da anni), tra cui 66% di etnia indiana e 34% appartenenti ad altre etnie.

Per ogni paziente sono stati registrati:

– parametri antropometrici (sesso, età, BMI).

– parametri clinici (durata di malattia, terapia adottata, complicanze note).

– parametri metabolici (glicemia a digiuno, HbA1c, quadro lipidico, funzione renale).

Risultati: rispetto alla popolazione italiana, la popolazione extracomunitaria presenta un più alto valore di HbA1c ed un più elevato BMI sia nei pazienti neo-diagnosticati che nei diabetici noti. L’età dei paziente extracomunitari al primo accesso (e quindi la precocità di comparsa della malattia diabetica) è minore rispetto ai pazienti italiani. Nella popolazione extracomunitaria sono più rare le complicanze macroangiopatiche note sia per i pazientei neodiagnosticati sia per quelli con lunga durata di malattia. Nella popolazione extracomunitaria il ricorso a terapie polifarmacologiche con ipoglicemizzanti orali (differenti dalla metformina) ed eventualmente alla terapia combinata con insulina è molto più diffuso. Conclusioni: la diffusione della malattia diabetica tra la popolazione extracomunitaria rappresenta un problema di rilevante gravità che presenta specifiche caratteristiche responsabili di una maggior rapidità della progressione dello scompenso glico metabolico sia per i pazienti con diabete di lunga durata, ma soprattutto per i pazienti con recente diagnosi di malattia. Sono molteplici le cause che possono giustificare questi dati: sottovalutazione dei sintomi da parte dei pazienti extracomunitari, la difficoltà di accesso verso le strutture sanitarie nei paesi d’origine, la minor attenzione diagnostica per le possibili complicanze, la barriera linguistica che rende difficile la gestione. Inoltre la maggior parte segue un regime dietetico disordinato, uno stile di vita scorretto e generalmente una scarsa igiene personale e spesso la compliance farmacologica è inadeguata per molteplici motivi. La fotografia di questo studio conferma l’importanza di un’opera di sensibilizzazione per potenziare i processi diagnostici e percorsi di cura adeguati e comprensivi rivolti ai pazienti delle diverse etnie. Ci suggerisce inoltre la necessità di incrementare l’attenzione con studi specifici per comprendere i processi fisiopatologici relativi alla modalità di insorgenza, progressione e relativa aggressività della malattia diabetica nella popolazione straniera.

LE CARATTERISTICHE CLINICO DEMOGRAFICHE DI UNA POPOLAZIONE DIABETICA DI ETNIA INDIANA

E. Carrai, V. Magri, S. Di Lembo, P. Ruggeri

ASST Cremona, Centro Diabetologico

Introduzione: negli ultimi anni, nel nostro centro diabetologico, vengono seguiti numerosi pazienti diabetici di etnia indiana. Le cause del considerevole aumento, in Italia, di diabete negli indiani, sono riconducibili all’interazione tra fattori ambientali e fattori genetici. Tra i fattori ambientali emergono le abitudini alimentari, l’urbanizzazione, l’evoluzione tecnologica ed i cambiamenti del mondo del lavoro che favoriscono uno stile di vita meno attivo. Scopo: identificare le caratteristiche cliniche demografiche di una popolazione diabetica di etnia indiana seguita presso il Centro Diabetologico dell’ASST di Cremona. Materiali e Metodi: sono stati analizzati i dati di tutti i pazienti affetti da diabete di tipo 2, di etnia indiana, seguiti presso il Centro diabetologico negli ultimi 5 anni (2010-2015). I dati sono stati estrapolati dalle cartelle cliniche informatizzate. Sono stati considerati: età, sesso, durata di malattia, familiarità, tipo di terapia, BMI, emoglobina glicata e complicanze (retinopatia, cardiopatia, neuropatia, nefropatia, ipertensione, piede diabetico). Risultati: il campione era costituito da 165 pazienti di cui 62% uomini e 38% donne, età media 53,07 anni (±11,61) di cui 41% con meno di 50 anni, il 43% tra i 50 e i 65 anni; il 9% tra i 65 e i 75 anni e il 7% con più di 75 anni. Il 6% non presentava familiarità per diabete di primo e/o secondo grado, il 20% dichiarava familiarità e il 74% non ha fornito alcuna risposta in merito. Il 64% dei pazienti sono stati trattati con terapia ipoglicemizzante orale, il 17% con terapia insulinica, il 14% con terapia combinata e 5% con dieta.

Durata di malattia (anni)

6,7±5,11

Altezza (cm)

165,9±9,4

Peso (kg)

76,26±14,77

BMI (kg/m2)

28,2±7,6

Emoglobina glicata (%)

8±1,55

COMPLICANZE

SI

NO

DATI NON DISPONIBILI

Retinopatia (%)

12,7

66,7

20,6

Cardiopatia (%)

9,1

54,5

36,4

Neuropatia (%)

3,6

50,9

45,5

Nefropatia (%)

10,9

50,3

38,8

Ipertensione (%)

26,1

50,9

23,0

Piede diabetico (%)

4,2

58,8

36,9

Conclusioni: dall’analisi del nostro campione si evince che la maggior parte sono uomini con un’età media relativamente giovane. Un dato significativo riguarda la familiarità: pur tenendo conto che il 74% del campione non fornisce risposta nel merito, i dati raccolti documentano, invece, che solo una piccola parte del campione presenta familiarità di primo grado e secondo grado. Le complicanze più frequenti sono l’ipertensione (26,1%), la retinopatia (12,7%) e la nefropatia (10,9%). Si evidenza un’alta percentuale di dati, relativi alle complicanze, non disponibili che può essere giustificata dalla difficoltà nell’eseguire l’anamnesi, da parte del nostro personale sanitario, dovuta a barriera linguistica e socio-culturale.

Consapevolezza del diabete e programmazione della gravidanza nelle donne con diabete di tipo 1: cosa cambia in due decenni?

L.M. Bonini1, C. Molinari2, S. Letizia2, M. Castiglioni3, A. Laurenzi2, M. Scavini1,2, T. Rasera4, N. Dozio1,2

1Università Vita Salute San Raffaele; 2IRCCS Ospedale San Raffaele, Divisione di Medicina Interna ad indirizzo Endocrino Metabolico e 3Divisione di Ostetricia e Ginecologia, Milano; 4Korian Italia, Milano

Introduzione: nonostante l’evidenza che la pianificazione migliori gli esiti delle gravidanze, solo il 30-50% delle donne con diabete di tipo 1 o di tipo 2 pianifica la gravidanza. Lo scopo di questo studio è valutare la consapevolezza sulla malattia, l’importanza della pianificazione della gravidanza e i problemi ginecologici nelle donne in età fertile presso l’ambulatorio di diabetologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele. Metodi: tra il 29 febbraio e il 31 maggio 2016, attraverso un questionario anonimo autosomministrato, è stata valutata la conoscenza delle donne con diabete riguardo alla malattia e alla sfera riproduttiva. I risultati sono stati confrontati con quelli di uno studio analogo condotto nel 1997. Risultati: 120 donne con diabete di tipo 1 hanno restituito il questionario. L’età media d’insorgenza del diabete era di 13.3 anni vs 18.3 nel 1997. I livelli medi di HbA1c sono migliorati a 7.4% da 8% nel 1997, con l’85% delle donne che riporta assenza di complicanze (il 75% nel ’97). Il numero di donne che ha partecipato a sessioni di educazione sul diabete è aumentato a 55% da 23% nel ’97. L’85% delle donne ha usato qualche forma di contraccezione in passato (il 72% nel 97): i metodi di barriera sono risultati i più usati (31% vs 23% nel ’97). Il 73% delle donne ha avuto informazioni sull’importanza di pianificare la gravidanza (il 62% nel 1997); 36 donne hanno avuto 53 gravidanze vs 41 con 69 gravidanze nel 97, solo il 36% delle gravidanze è stato pianificato (il 33% nel ’97). Conclusioni: nonostante un miglioramento dei livelli di HbA1c, dell’offerta di educazione terapeutica e di consapevolezza sul diabete, la “ricezione” della necessità di programmare la gravidanza non è cambiata. È essenziale definire metodi più efficienti di formazione degli operatori sanitari e di informazione delle donne per aumentare le gravidanze programmate nelle donne con diabete e migliorarne gli esiti.

Un “ritocchino” per il Certificato di Assistenza al Parto (CeDAP)

G. Di Carlo1, C. Molinari2, M.T. Castiglioni3, A. Caretto2, P. Bombardieri3, N. Dozio 2, M. Scavini4

1Università Vita-Salute San Raffaele, Milano; 2IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano, UO di Medicina Generale ad indirizzo Diabetologico ed Endocrino-Metabolico; 3IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano, UO Ostetricia e Ginecologia; 4IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano, Diabetes Research Institute 

Introduzione: il Certificato di Assistenza al Parto (CeDAP), compilato per tutti i nati in Italia entro 10 giorni dal parto, non consente purtroppo di identificare le gravidanze di donne con DMT1, DMT2 o DG. Anche per questo in Italia non sono disponibili dati di popolazione sugli esiti della gravidanza nelle donne con diabete, a differenza di quanto disponibile per la popolazione generale (periodici rapporti CeDAP ministeriali). Scopo: validare l’uso di 5 semplici domande (DM pregestazionale sì/no, tipo di DM, pregressa terapia per DM, OGTT sì/no, diagnosi di GDM sì/no, SMBG in gravidanza sì/no, insulina in gravidanza sì/no), aggiunte all’attuale CeDAP, per identificare le gravidanze di donne con diabete pregestazionale e gestazionale. Materiali: lo studio è stato condotto presso l’UO di Ostetricia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano dal 15/03 al 05/07/2016. Sono state riviste in ordine cronologico le CeDAP di tutte le donne che hanno partorito e per ogni donna con diagnosi di diabete rilevata dalla CeDAP (caso indice) sono state considerate come controlli le successive 3 donne non diabetiche e con screening negativo per DG. Risultati: nel periodo di studio sono stati espletati 559 parti. Dalle schede CeDAP sono stati identificate 50 donne con diabete (6 DMT1, 3 DMT2, 41 GDM). La revisione delle cartelle cliniche e l’intervista con le pazienti confermavano il diabete in 48 donne su 50, con 2 falsi positivi [4.0% (IC95% 0.49, 13.7)], ovvero 2 donne non diabetiche identificate come donne con DG nella CeDAP, e l’assenza di falsi negativi, ovvero donne con diabete identificate come non diabetiche nella CeDAP (Cronbach alpha 0.98). Conclusioni: le 5 domande proposte identificano correttamente le donne con DMT1, DMT2 o DG. Il loro inserimento nell’attuale CeDAP consentirebbe l’analisi separata degli esiti delle gravidanze di donne con DMT1, DMT2 o DG nel rapporto CeDAP elaborato periodicamente dal Ministero della Salute.

Aderenza alle linee guida per lo screening del diabete gestazionale nelle donne che hanno partorito nel 2016 presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano

C. Molinari1, G. Di Carlo2, N. Dozio1, M.T. Castiglioni3, S. Rinaldi3, L. Cavalleri3, A.M. Bolla1, M. Scavini4

1IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano, UO di Medicina Generale ad indirizzo Diabetologico ed Endocrino-Metabolico; 2Università Vita-Salute San Raffaele, Milano; 3IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano, UO Ostetricia e Ginecologia; 4IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano, Diabetes Research Institute

Premessa: l’effettiva aderenza alle linee guida per lo screening del diabete gestazionale (DG) è poco nota. Nel periodo 2007-2010 in Lombardia solo il 31% delle donne in gravidanza veniva sottoposta a screening. Scopo: stimare la percentuale di gravidanze sottoposte a screening per DG nelle donne che hanno partorito presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano nel periodo 14/03/2016-05/07/2016. Metodi: nel periodo di studio abbiamo inserito 5 domande nel Certificato di Assistenza al Parto (CeDAP), obbligatoriamente compilato per ogni parto, per identificare le gravidanze complicate da diabete. Risultati: durante il periodo di studio sono stati espletati 559 parti; 9 gravidanze risultavano complicate da diabete pregestazionale (6 DM1 e 3 DM2), pari all’1.8% delle partorienti. Delle restanti 550 gravidanze, 464 (84,4%) erano state sottoposte a screening per DG con OGTT. Il 76.2% delle donne sottoposte a screening aveva almeno un fattore di rischio per DG (età≥35, BMI≥25, familiarità di primo grado per diabete, status di immigrata). Nelle donne sottoposte a screening la prevalenza di DG è stata dell’8.8%; (IC95%: 6.4, 11.8%). Tra le donne diagnosticate con DG mediante OGTT, il 5.7% non aveva nessun fattore di rischio per DG tra quelli considerati. Conclusioni: nel nostro studio abbiamo osservato un aumento della percentuale di gravidanze sottoposte a screening per DG rispetto a quella riportata in Lombardia nel periodo 2007-2010. Sebbene i nostri dati non possano essere generalizzabili alla popolazione genearale della Lombardia, questo aumento può avere molteplici spiegazioni: 1) la semplificazione della procedura con un unico OGTT può aver facilitato prescrizione e accettazione dello screening; 2) l’aumento della prevalenza dei fattori di rischio su cui si basa l’indicazione allo screening (mamme meno giovani, sovrappeso/obesità, immigrazione); 3) l’aumento della consapevolezza di operatori sanitari e pazienti relativamente all’importanza dello screening per DG.

IPOVITAMINOSI B1 NEL PAZIENTE ONCOLOGICO PRE-CHIRURGICO E DIABETE MELLITO TIPO 2: UN CIRCOLO VIZIOSO?

A. Pulcina1, R. Trevisan2, F. Cortinovis1

1U.S.S. Dietologia Clinica ASST “Papa Giovanni XXIII”, Bergamo; 2U.S.C. Malattie Endocrine e Diabetologia, ASST “Papa Giovanni XXIII”, Bergamo

Introduzione: il deficit di tiamina (vitamina B1) nei soggetti neoplastici candidati a intervento di chirurgia addominale maggiore costituisce un severo fattore di rischio perioperatorio per l’insorgenza di sindrome di Wernicke. Il fabbisogno di vitamina B1 sembra aumentato nei pazienti diabetici di tipo 2 (DM2). Scopo: valutare la prevalenza di ipovitaminosi B1 in pazienti con e senza DM2, candidati ad intervento per neoplasia del tratto digerente. Materiali e Metodi: abbiamo reclutato dal 2014 al 2016 tutti i pazienti affetti da neoplasia digestiva candidati a intervento di chirurgia addominale. I pazienti sono stati sottoposti a valutazione nutrizionale pre-operatoria completa. Risultati: sono stati valutati 135 pazienti: 35 pazienti erano DM2 di cui 11 con ipovitaminosi B1. 85 soggetti dei 135 valutati sono stati poi sottoposti a intervento: i DM2 erano 25, di cui 11 con deficit di tiamina. Sia nei soggetti candidati all’intervento (p=0.01) sia in quelli poi operati (p=0.03) si è osservata una prevalenza di ipovitaminosi B1 significativamente superiore nei DM2 rispetto ai non diabetici. A1c (mmol/mol) dei DM2 con ipovitaminosi B1 era significativamente più elevata rispetto ai DM2 senza tale deficit (63.2±6.8 vs 50.2±3.5; p<0.05). L’82% dei DM2 con ipovitaminosi B1 era trattato con metformina, mentre solo il 29% dei DM2 con normali livelli di tiamina assumeva tale farmaco (p=0.008). Conclusioni: la prevalenza di ipovitaminosi B1 nei soggetti neoplastici candidati ad intervento di chirurgia addominale è risultata significativamente superiore tra i pazienti affetti da DM2 rispetto ai non diabetici. La terapia con metformina e un peggiore controllo glicemico sembrano esserne rilevanti. Anche se i meccanismi che portano a deficit di tiamina nel diabetico non sono del tutto noti, OCT1 è un recettore localizzato sugli epatociti coinvolto nell’uptake sia di metformina sia di tiamina, mediante un legame “competitivo”. Tale legame “competitivo” potrebbe contribuire nel ridurre l’uptake di tiamina nei DM2 trattati con metformina.

Pazienti obesi con diabete di tipo 2 in mediocre compenso glicemico sono caratterizzati da alterata dispendio energetico a riposo 

G. Manzoni1, S. Perra1, M.G. Radaelli1, A. Oltolini1, F. Martucci1, S. Villa1, G. Lattuada1, G. Perseghin2

1Medicina Metabolica, Policlinico di Monza; 2Medicina Metabolica, Policlinico di Monza e Università degli Studi di Milano

Introduzione: pazienti con diabete di tipo 2 alla diagnosi sono spesso caratterizzati da una riduzione del peso corporeo e questa riduzione è tanto più marcata tanto più grave è lo scompenso glicometabolico; si ritiene che questa riduzione ponderale possa essere associata alla glicosuria. Ipotesi e Scopo: un’alterazione del dispendio energetico in queste condizioni potrebbe contribuire alla riduzione ponderale; infatti sia il metabolismo ossidativo del glucosio che quello degli acidi grassi potrebbe essere aumentato in associazione alla aumentata disponibilità dei substrati circolanti tipica della condizione di scompenso metabolico. Materiali e Metodi: abbiamo quindi valutato retrospettivamente il dispendio energetico a riposo e la composizione corporea in un gruppo di 62 pazienti con diabete di tipo 2 e obesità severa (BMI>35 kg/m2) segregati per coloro che al momento dello studio di calorimetria indiretta documentavano un buon (HbA1c<7.5%; n=36) o mediocre (HbA1c>7.5%; n=26) compenso glicemico comparandoli ad un gruppo di soggetti non diabetici (n=20) con caratteristiche antropometriche simili. Risultati: il sottogruppo di pazienti diabetici in mediocre compenso (HbA1c: 9.4±1.6%) erano caratterizzati da un dispendio energetico a riposo significativamente elevato quando comparato ai pazienti in buon compenso glicemico (HbA1c: 6.6±0.6%) e ai controlli (HbA1c: 5.8±0.7%) sia valutando il valore di dispendio assoluto, che normalizzato per kg di massa libera da grasso o ancora come rapporto tra dispendio predetto secondo equazioni di Harris-Benedict e dispendio misurato (p<0.0001 per tutti sia rispetto ai diabetici in buon compenso che ai controlli non diabetici). Il quoziente respiratorio era elevato nei pazienti in mediocre compenso glicemico (0.92±0.08; p<0.05) rispetto ai pazienti in buon compenso (0.87±0.13) e ai soggetti di controllo (0.86±0.08). Conclusione: il dispendio energetico a riposo nei pazienti affetti da diabete di tipo 2 è influenzato dal grado di compenso glicemico e dalla disponibilità di substrati circolanti. La valutazione del bilancio energetico e dell’effetto di farmaci con potenziale effetto metabolico deve quindi tenere in considerazione questo aspetto sia nel contesto di eventuali confronti tra pazienti con diverse caratteristiche sia nel contesto di confronti negli stessi pazienti in momenti diversi della storia naturale della loro malattia e sottoposti a diversi trattamenti farmacologici.

Effetto dell’ipotiroidismo in adeguata terapia sostitutiva con LT4 sulla risposta al bendaggio gastrico

M.G. Radaelli1, A. Oltolini1, M. Pizzi2, M. Villa3, F. Martucci1, S. Villa1, A. Alberti2, P. Pizzi2, G. Perseghin4

1Medicina Metabolica, Policlinico di Monza; 2CSRTO, Policlinico di Monza; 3Psicologia Clinica, Policlinico di Monza; 4Medicina Metabolica, Policlinico di Monza e Università degli Studi di Milano

Introduzione: l’ipotiroidismo primario in terapia con LT4 non è infrequente nella popolazione obesa che viene valutata per un eventuale intervento di chirurgia bariatrica. Abbiamo recentemente documentato che pazienti obese ipotiroidee hanno una piccola ma significativa alterazione del dispendio energetico a riposo. Non si può inoltre escludere che l’intervento bariatrico possa determinare alterazioni quantitative e qualitative dell’assorbimento di LT4. Scopo: valutare se la presenza di ipotiroidismo, anche quando adeguatamente trattato, possa avere un impatto deleterio sulla risposta all’intervento bariatrico. Materiali e Metodi: abbiamo valutato retrospettivamente la risposta al bendaggio gastrico eseguito tra 01/06/2012-01/06/2014 in 28 pazienti con ipotiroidismo da almeno 5 anni e obesità di III grado e l’abbiamo paragonata a quella di 94 pazienti normotiroidee simili per caratteristiche antropometriche (età: 47±9 vs 44±11 anni, BMI: 44±6 vs 43±6 kg/m2) sottoposte alla stessa procedura. Risultati: a 9-12 mesi dall’intervento le donne con ipotiroidismo hanno ottenuto una riduzione ponderale massima del 19±11% ed una excess weight loss (EWL%) del 39±24% non differenti da quelle del gruppo di donne normotiroidee (21±12% e 42±24%; p=0.34 e p=0.62 rispettivamente). Il 15% delle donne ipotiroidee e il 18% delle donne normotiroidee ha avuto una EWL<20% e il 52% delle donne ipotiroidee e il 49% delle donne normotiroidee ha avuto una EWL>40% (p>0.1). Un sottogruppo di donne ipotiroidee (n=18) e controllo (n=63) non ha dimostrato differenze nella riduzione del BMI e alla velocità di re-gain del peso post-bendaggio a 24 mesi dalla procedura. Conclusione: la presenza di ipotiroidismo al basale non sembra influenzare significativamente la risposta terapeutica ad 1anno dal bendaggio gastrico. Rimane da chiarire se un effetto possa rendersi più evidente a follow-up più lunghi e quale possa essere l’eventuale impatto della chirurgia bariatrica di tipo malassorbitivo.

Ruolo delle cellule B regolatorie antigene specifiche nel diabete autoimmune

V. Usuelli1, F. D’Addio1,2, S. Tezza2, M. Ben Nasr2, A. Maestroni1, P. Fiorina1,2

1Transplant Medicine Division, San Raffaele Hospital, Milan, Italy;2Nephrology Division, BostonChildren’sHospital,Harvard Medical School, Boston, MA, USA

Introduzione: le cellule B sono importanti cellule presentanti l’antigene che contribuiscono alla comparsa del diabete di tipo 1 (T1D). Topi NOD mancanti di cellule B non sviluppano T1D e non presentano risposte immunitarie verso i principali autoantigeni delle isole pancreatiche. Recenti scoperte hanno rivelato un ulteriore ruolo per le cellule B, in particolare come potenziali cellule regolatorie. Scopo: ci proponiamo di caratterizzare le cellule B regolatorie (Bregs) per esplorare il loro meccanismo d’azione, di stabilire un metodo affidabile e riproducibile per generare cellule Bregs da individui con T1D, con l’obiettivo di utilizzare le Bregs, come terapia contro il T1D. Risultati: abbiamo recentemente scoperto una popolazione di cellule Bregs, dotate di proprietà regolatorie uniche, che mantengono la tolleranza agli autoantigeni nei topi NOD che, naturalmente, non sviluppano iperglicemia. I nostri dati hanno mostrato che topi NOD normoglicemici per lungo tempo presentano nelle isole pancreatiche un aumento di cellule Bregs IL-10+. Le Bregs sorgono all’interno di un pool altamente attivato di cellule B selezionate da specificità antigenica in grado di sopprimere la proliferazione di cellule T diabetogeniche in risposta al peptide BDC2.5 in vitro e in vivo, prevenendo così il trasferimento del diabete. È interessante notare come il fenotipo/funzione delle cellule B nei pazienti con T1D e in quelli con autoanticorpi, ma senza T1D vadano in parallelo con quello di topi NOD iperglicemici e naturalmente protetti, rispettivamente. È quindi possibile che nel T1D si verifichi uno sbilanciamento tra le cellule Bregs e le cellule B attivate. Conclusioni: capire se via sia un difetto antigene specifico nelle cellule Bregs in individui con T1D è sicuramente necessario per ristabilire la tolleranza, in questo modo si potrà trasferire e quindi utilizzare in clinica una terapia cellulare per il T1D avvalendosi di cellule Bregs antigene-specifiche.

Un particolare caso di encefalopatia di Wernicke in un paziente diabetico: carenza di tiamina e magnesio indotta da metformina?

D. Baroncini1, S. Baldini1, P.O. Annovazzi1, E. Pigni2, I. Franzetti2, M. Zaffaroni1

1Dipartimento di Neurologia 2, Centro Studi Sclerosi Multipla; 2UOC Diabetologia-Endocrinologia, ASST Valle Olona, Presidio Ospedaliero di Gallarate

Introduzione: è noto che la metformina può causare deficit di vitB12 nei diabetici tipo 2. Ad oggi non sono noti casi di carenza di vitB1 (tiamina) indotti da metformina. Scopo: presentare il caso di un diabetico trattato con metformina che ha sviluppato encefalopatia di Wernicke associata a ipomagnesemia. Caso clinico: un uomo di 41 anni giungeva in PS con tremori diffusi, disartria e oscillopsia. In APR: diabete tipo 2, reflusso gastro-esofageo, ipertensione arteriosa e fumo di sigaretta. Negli ultimi 3 mesi calo ponderale di 20 Kg, con diarrea nelle ultime settimane. La terapia in corso era metformina (aumentata da 1700 a 2425 mg/die da 3 mesi), sitagliptin 50 mg x 2, bisoprololo 5 mg, valsartan 80 mg e omeprazolo 20 mg. In PS riscontro di ipocalcemia, ipomagnesemia ed ipopotassiemia. Nonostante la correzione dello squilibrio elettrolitico persisteva marcata disartria. Erano presenti anche stato confusionale e disturbi della coordinazione. La RMN encefalo mostrava iperintensità cerebellare, come in alcuni stati carenziali/metabolici e nelle s. paraneoplastiche. Escluse altre patologie, era posta diagnosi di encefalopatia di Wernicke, iniziando la supplementazione di tiamina (folati e vitB12 normali). Dopo un iniziale miglioramento, il quadro clinico peggiorava nuovamente in concomitanza a recidiva di ipomagnesemia, probabilmente secondaria alla preparazione per una colonscopia. Dopo la supplementazione congiunta di tiamina e magnesio si osservava nuovamente netto miglioramento del quadro clinico e radiologico. Conclusioni: la carenza di vitB1 può provocare importanti complicanze cardiologiche e neurologiche. L’ipomagnesemia può peggiorare tale deficit, poiché il magnesio è un importante cofattore del metabolismo della vitB1. La metformina può aver contribuito al deficit di vitB1 poiché condivide lo stesso trasportatore intestinale ed epatico (meccanismo di inibizione competitiva) e, nei diabetici, è associata ad ipomagnesemia (da probabile perdita gastroenterica).

PROGRESSIONE DELLE MODIFICAZIONI METABOLICHE E CARDIOVASCOLARI NEL DIABETE CON L’ALLENAMENTO FISICO 

R. Ghelardi1, F. Pinto1, A. Boi1, R. Galimberti1, M. Novarria1, B. Guazzini1, J. Rinaldi1, L. Bernardi2

1Unità di Diabetologia, Ospedale Vizzolo-Predabissi, ASST Melegnano-Martesana; 2Folkhälsan Research Center, University of Helsinki, Helsinki, Finland

Introduzione: l’attività fisica è un fattore determinante nella cura del diabete. Lo scopo di questo studio è stabilire se, per una progressione ottimale delle variabili cardiovascolari e metaboliche durante un programma di allenamento, occorra un carico di lavoro progressivo, oppure se sia sufficiente mantenere un carico costante. Materiali e Metodi: abbiamo studiato 47 pazienti diabetici di tipo 2 (età 44-79a) seguiti dal Centro di Diabetologia di San Giuliano Milanese. Ciascun paziente si è sottoposto a 12 sessioni di attività fisica adattata: 1sessione/settimana, durata 60’, di cui 10’ riscaldamento generale, 40’ fase centrale di lavoro, 10’ per defaticamento; la fase centrale comprendeva attività aerobiche (cicloergometri e tapis-roulant, 20’), ed esercizi isotonici a corpo libero, modalità circuito (20’), a carico costante (4,5 METs). Prima e dopo ciascuna delle 12 sessioni sono state rilevate la glicemia capillare e la pressione arteriosa. A inizio e fine protocollo sono stati valutati peso, BMI, massa grassa, circonferenza vita, HBA1c, lipidi, insulinemia, HOMA. Risultati: rispetto alle condizioni basali si è osservata una riduzione significativa di BMI (p=0.03) e massa grassa (p=0.0036), e una riduzione marginale della circonferenza vita (p=0.069), con aumento del colesterolo-HDL (p=0.0017), e diminuzione di HOMA (p=0.025) e insulinemia (p=0.032). La glicemia dopo ciascuna sessione di allentamento è sempre risultata significativamente minore di quella iniziale (p<0.03). La glicemia all’inizio di ciascuna sessione si è progressivamente ridotta nelle prime 3 sessioni (da 163±62 a 137±51 mg/dL, p=0.019), successivamente è risalita tra 142±42 (4’ sessione) e 152±40 mg/dL (11’sessione). Le pressioni sistolica e diastolica si sono ridotte (p>0.03) dopo ciascuna sessione, eccetto la prima. Tra le sessioni non si è notata una differenza significativa (interferenza con la terapia antiipertensiva?). Conclusioni: un programma di attività fisica anche blando per intensità e frequenza migliorara il BMI, la massa grassa, il quadro lipidico e l’insulino-resistenza. Tuttavia, abbiamo evidenziato per la prima volta che seguendo il trend glicemico delle sessioni precedenti si potrebbe ottenere un ulteriore miglioramento, aumentando progressivamente il carico di lavoro di ciascun paziente.

Evoluzione del rischio cardiovascolare in soggetti con diabete mellito tipo 2 in trattamento persistente con sitagliptin: lo studio PERS&O (PERsistent Sitagliptin treatment & Outcomes)

V. De Mori1, G. Buonaiuto1, A. Braus2, A. Balini1, D. Berzi1, R. Carpinteri1, E. Cipponeri1, F. Forloni1, G. Meregalli1, G.L. Ronco3, A.C. Bossi1

1UOC Malattie Endocrine, Centro di riferimento regionale per il Diabete, e 2UO Farmacia; ASST Bg Ovest, Treviglio (Bg); 3Emmonos, HealthCare Senior Consultant, Como

Introduzione: UKPDS Risk Engine (RE) è considerato il metodo più affidabile per quantificare il rischio cardiovascolare (CV) nel diabete mellito tipo 2 (DMT2). Scopo: studio retrospettivo osservazionale monocentrico “real-world” calcolando UKPDS RE al baseline (prima dell’add-on di sitaglitin) e durante follow-up a medio-lungo termine in pazienti in terapia persistente con sitagliptin per validare l’algoritmo in soggetti italiani di età e durata DMT2 non pre-specificata, con o senza malattia CV; valutare eventuali differenze di genere e l’effetto del trattamento con sitagliptin. Materiali e Metodi: 462 pazienti con DMT2 non ben controllato (HbA1c>7.5%) risultavano in terapia con sitagliptin: 170 di loro (M: 106; età: 63,6±8,8; durata DMT2: 11,58±7,33; F: 64; età: 65,6±7,95; durata DMT2: 13,5±7,9) erano in trattamento da 48 mesi. Sono stati registrati i dati clinici e si è calcolato UKPDS RE al baseline, dopo 12 e 48 mesi. Risultati: previa trasformazione Base Log10 per normalizzare i valori dei fattori di rischio (analisi di normalità di UKPDS RE), la valutazione per genere (T-test) ha confermato le differenze attese (p<0,0001). Sitagliptin ha ottenuto risultati su HbA1c e sul valore di UKPDS RE indipendentemente dal trattamento antidiabetico in uso, con importante effetto sul rischio CV dopo 12 mesi (p=0.003) e dopo 48 mesi (p=0.04) (test ANOVA). Conclusioni: si sottolinea il miglioramento del controllo metabolico e la riduzione del rischio CV ottenibile con sitagliptin. La validazione di UKPDS RE conferma la potenza e l’affidabilità dell’algoritmo, rispettando la differenza di genere e risultando applicabile a soggetti neodiagnosticati, ma anche a pazienti con DMT2 di maggior durata; il calcolo di UKPDS RE permette di comprendere l’evoluzione individuale del rischio CV.

Uso di dapagliflozin in una paziente diabetica, ipertesa, in terapia insulinica, in modesto compenso glicometabolico

B. Grassa1, F. Forloni2, B. Masserini3, C. Mauri4, V. Resi5, M. Rondinelli6, I. Savulescu7, A.C. Bossi2, S. Genovese6

1SSDI Diabetologia, PO Mariano Comense, ASST Lariana; 2UOCMalattie Endocrine, Centro Regionale per il Diabete, Ospedale Treviglio, ASST Bergamo Ovest; 3SSD Malattie Endocrine, Diabetologia, ASST Fatebenefratelli Sacco, Milano; 4Ospedale Sant’Anna, ASST Lariana, Como; 5Servizio di Diabetologia, UO Endocrinologia e Malattie Metaboliche, Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano; 6UO Diabetologia-Endocrinologia, IRCCS Multimedica, Sesto San Giovanni, Milano; 7Servizio di Endocrinologia e Diabetologia, Istituto di Cura “Città di Pavia”, Pavia

Introduzione: dal 2015 è disponibile in Italia una nuova classe di farmaci ad azione glicosurica: gli inibitori SGLT2 o gliflozine. Tramite un meccanismo d’azione a livello del tubulo prossimale renale, essi determinano un miglioramento del metabolismo glicidico, pressorio, uricemico e lipidico. Scopo: presentazione del caso clinico di una paziente diabetica in trattamento insulinico multiiniettivo a cui è stato aggiunto dapagliflozin. Materiali e Metodi: raccolta di dati anamnestici e clinici tramite cartella clinica informatizzata. Prima dell’add-on di dapagliflozin la paziente presentava: altezza 150 cm; peso: 69 kg; BMI: 30.7; CV 100 cm; glicemia a digiuno: 225 mg/dl; HbA1c: 8.2%; LDLc: 162 mg/dl; GOT/GPT: 19/29 U/L; creatininemia: 0,59 mg/dl; ACR:0,67 mg/g crea; GFR: 103 ml/min/1.73 m2. Terapia in corso: aspart 8 a colazione, 12 a pranzo e 12 a cena, glargine 40 dopo cena (totale: 72 U), irbesartan 150 mg/die; esomeprazolo 40 mg/die; escitalopram 10 gtt/die. Rapido beneficio dopo introduzione di dapagliflozin 10 mg: a 2 mesi HbA1c 7.5% (-0.7%) con riduzione del fabbisogno di aspart (- 16 U) e di glargine (-2 U). Risultati: in questa paziente, affetta da diabete tipo 2 da 22 anni, complicato da retinopatia diabetica background e neuropatia periferica dal 2013, ipertesa dal 2008 e dislipidemica, a distanza di 8 mesi dalla somministrazione di dapagliflozin abbiamo ottenuto: HbA1c 7.4% (-0.8%), sospensione di aspart a colazione (fabbisogno insulinico totale: 50 U); LDLc 138 mg/dl (-24 mg/dl) senza statina (per intolleranza); peso: 64.5 kg (-4.5 kg). Conclusioni: dapagliflozin ha determinato un effetto positivo sul metabolismo glucidico, lipidico e sul peso corporeo. Si è dimostrato sicuro, efficace e ben tollerato, portando a un miglioramento del compenso glicemico, con un risparmio del quantitativo insulinico e del numero di somministrazioni.

Waiting for PCSK9 inhibitors!!!!!

Utilizzo del “protocollo di Cleveland modificato” in pazienti diabetici tipo 2 complicati da cardiopatia ischemica cronica post-IMA con intolleranza alle statine: case series

P. Desenzani, B. Bonzi, C. Mascadri, M.C. Tusi, T. Scalvini

UOS Diabetologia dell’UOC Medicina Generale PO Montichiari-ASST degli Spedali Civili di Brescia 

I dati presenti in letteratura riportano che circa il 10% di pazienti che assumono statine presentano intolleranza (riferendo mialgie, astenia e dolori diffusi senza riscontro di rabdomiolisi) con necessità, in molti casi, di dover interromperne l’utilizzo. Durante la routinaria attività clinica del nostro Ambulatorio di Diabetologia abbiamo registrato, in circa 2 anni (2014-2015), cinque casi di pazienti giunti alla nostra osservazione lamentando mialgie diffuse verosimilmente secondarie a terapia con statine. Le caratteristiche dei 5 pazienti erano le seguenti: 3 maschi e 2 femmine, durata di malattia 7 anni±2, età media 60±5 anni, BMI di 28±3 kg/m2, tutti in buon controllo glicometabolico (HBA 1c di 7,3±0.2%) e complicati da CIC post IMA in esiti di PTCA in assenza di complicanze microangiopatiche (in particolare EMG nella norma). Agli esami ematochimici ed ormonali di controllo (eseguiti sia basalmente che dopo aver presentato mialgie) i pazienti presentavano valori normali di CPK, GOT, GPT, creatininemia, esame urine, indici di colestasi, TSH e vitamina D. I pazienti erano in terapia con Metformina a dosaggio standard associata ad Inibitori DPPIV in 2 casi, ad Analogo del GLP 1long acting in 1 caso e da sola Metformina negli altri 2 casi: tutti assumevano inoltre antiaggreganti piastrinici (3 Paz Asa e 2 Clopidogrel), inibitori del sistema RAS (Ace inibitori o Sartani) e Beta- bloccanti. La terapia ipolipidemizzante era la seguente: Simvastatina (2 Pts) ed Atorvastatina (3 Pts) al dosaggio rispettivamente di 40 e 80 mg/die: tale dosaggio consentiva sempre di raggiungere un valore di Col LDL inferiore a 70 mg/dl con HDL superiore a 50 mg/dl e trigliceridemia a target (inferiore a 150 mg/dl). Dall’anamnesi nessun paziente assumeva succo di pompelmo né farmaci che potessero dare interferenze con CYP34A. A fronte dell’imprescindibile necessità di mantenere un ottimale controllo del colesterolo LDL, HDL e trigliceridemia e delle intollerabili mialgie lamentate si è deciso, in primis, di provare a ridurre del 50% i dosaggi delle statine assunte. A fronte della persistenza dell’astenia e delle mialgie abbiamo concordato, quindi, di sospendere l’assunzione di Simvastatina ed Atorvastatina e di provare ad assumere Pravastatina al dosaggio di 20 mg/die. Solo in 1 paziente tale terapia è stata tollerata (e successivamente aumentata a 40 mg/die per raggiungere il target di colesterolemia LDL): negli altri casi, dopo la ricomparsa di mialgie anche con Pravastatina, si è provveduto a sospendere tale farmaco e ad implementare terapia con Fluvastatina 80 mg/die che è risultata ben tollerata ed efficace solo in un paziente. Nei rimanenti 3 pazienti, dopo un inutile tentativo di terapia con resine sequestranti gli acidi biliari (sospese da tutti dopo appena 30 gg per riferita difficoltà ad assumerle con continuità ed a tollerarle per riferiti disturbi gastroenterici), si è deciso di provare ad utilizzare una statina più potente con emivita maggiore secondo il protocollo di Cleveland (Rosuvastatina 5 mg 1 cpr/alla settimana successivamente, dopo 14 giorni, aumentata a 2 cpr/settimana e quindi, dopo altri 14 giorni, a 3 cpr/settimana) associandola a giornaliera assunzione di Ezetimibe 10 mg/die h 20. Con tale opzione terapeutica si è riusciti a raggiungere ed a mantenere (follow-up di 1 anno) una significativa riduzione del colesterolo LDL (inferiore a 70 mg/dl) in assenza di mialgie anche nei nei 3 pz con maggiore intolleranza alle statine. I nostri case series, dedotti dalla real-life, ci consentono di poter sottolineare l’imprescindibile ruolo del medico diabetologo nel raggiungere e mantenere il target lipidico del paziente diabetico, in particolare modo in quello in prevenzione secondaria con intolleranza alle statine, conoscendo ed utilizzando tutte le possibili opzioni terapeutiche oggi, e nel prossimo futuro, a sua disposizione.

Panta Rei, tutto passa… dal rene. Nuove terapie del diabete al servizio della real life

V. Resi1, F. Forloni2, B. Grassa3, B. Masserini4, C. Mauri5, M. Rondinelli6, S. Genovese6, A.C. Bossi2

1Servizio di Diabetologia – UO Endocrinologia e Malattie Metaboliche, Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano; 2UOCMalattie Endocrine – Centro Regionale per il Diabete, Ospedale Treviglio, ASST Bergamo Ovest; 3SSDI Diabetologia, PO Mariano Comense, ASST Lariana; 4SSD Malattie Endocrine, Diabetologia, ASST Fatebenefratelli Sacco, Milano; 5Ospedale Sant’Anna, ASST Lariana, Como; 6UO Diabetologia – Endocrinologia, IRCCS Multimedica, Sesto San Giovanni, Milano

Introduzione: il rene è il target dei farmaci inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT2i): la loro azione determina una riduzione del riassorbimento ed una aumentata escrezione del glucosio a livello urinario, con diminuzione della glucotossicità e dell’insulino-resistenza. Il meccanismo d’azione degli SGLT2i è quindi indipendente dalla secrezione e dall’attività insulinica.

Scopo: valutare gli effetti clinici e metabolici della terapia con dapagliflozin in un paziente affetto da diabete mellito tipo 2 scompensato. Materiali e Metodi: uomo di 55 anni, autotrasportatore; nega fumo e potus, ma segue una dieta poco equilibrata. Soffre di ipertensione arteriosa, dislipidemia mista. Diagnosi casuale di DMT2 nel 2004 posto in terapia con glimepiride e metformina. Nel 2009, per scompenso glicometabolico (HbA1c: 11%) veniva impostata terapia insulinica in associazione a metformina, sospesa nel 2013 in favore di liraglutide e metformina. Nel dicembre 2015, per nuovo rialzo dell’HbA1c (10,8%) fu associata degludec. Alla nostra osservazione iniziale (febbraio 2016) emergeva un livello di HbA1c non adeguato (8,5%), con glicemie post-prandiali superiori ai target. Veniva quindi decisa terapia di associazione con dapagliflozin, metformina e insulina basale bedtime previa sospensione di liraglutide. Risultati: dopo circa 3 mesi si è rilevato un miglioramento dell’HbA1c (7,6%) con riduzione netta delle glicemie medie post-prandiali; calo ponderale di circa 3 Kg con riduzione dei valori medi di PAS e PAD. Riferito incremento della frequenza minzionale nei primi 10 giorni di trattamento. Si riduceva la terapia insulinica bedtime, con indicazione a una sua rapida sospensione. Conclusioni: dapagliflozin si è rivelato farmaco rapidamente efficace e ben tollerato. È necessario prolungare l’osservazione clinica per esprimere un giudizio di efficacia a medio-lungo termine.

Terapia con gli Inibitori del Co-Trasportatore Sodio-Glucosio di Tipo 2: dati preliminari in real life

E. Palmieri, V. Resi, V. Grancini, M.E. Lunati, A. Gaglio, E. Orsi

Fondazione Ca’ Granda IRCCS, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, Servizio di Diabetologia e Malattie Metaboliche

 

Introduzione: il diabete di tipo 2 (DMT2) è un importante fattore di aumentato rischio di morte da causa cardiovascolare. Gli inibitori del co-trasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT2-i) rappresentano la classe di farmaci ipoglicemizzanti di più recente introduzione nella pratica clinica, ad azione completamente insulino-indipendente e che si è dimostrata efficace nella diminuzione del rischio cardiovascolare. Scopo: valutare l’effetto del trattamento con SGLT2-i -sul compenso glicometabolico, sulla funzione renale e sui parametri antropometrici in pazienti affetti da DMT2 in scarso controllo glicometabolico. Materiali e Metodi: sono stati reclutati 30 pazienti con DMT2 scompensati (11F, 19M). Nel 37% dei casi la molecola era associata ad insulina e nel 63% ad altra terapia ipoglicemizzante. Sono stati valutati il compenso glicometabolico (HbA1c), il profilo lipidico (colesterolo tot, HDL e trigliceridi), i parametri antropometrici (BMI e circonferenza vita) e la funzione renale mediante stima del filtrato glomerulare (GFR con formula CKD-EPI), al basale e dopo 6 mesi dall’introduzione di SGLT2-i. Risultati: dopo 6 mesi di trattamento si è osservata una riduzione statisticamente significativa dell’HbA1c (8.4±1.2% vs 7.7±1.3%, p<0.05), e una tendenza alla riduzione del BMI e della CV (31.4±7.9 vs 30.8±7.7, p=0.5 e 104.6±17.6 vs 103.49±17.9, p=0.6) senza raggiungere la significatività statistica. I livelli di GFR si sono mantenuti stabili durante i 6 mesi di trattamento. Non si sono osservate modifiche significative al profilo lipidico, né effetti avversi che hanno portato alla sospensione del farmaco. Conclusioni: i dati dalla real life confermano l’efficacia del trattamento con SGLT2-i nel conseguimento di un miglior controllo glicometabolico associato ad una tendenza di riduzione dei valori di BMI, uno dei parametri cardine per il rischio CV. Tuttavia il periodo di osservazione è troppo breve per dare conclusioni definitive. Tali evidenze supportano i risultati degli studi RCT e la sicurezza d’uso di queste molecole nell’attività clinica.

Effetto immunomodulatorio dell’exenatide, agonista di GLP1-R, sulla sopravvivenza del trapianto di cuore e delle isole di Langerhans

S. Dellepiane1, F. Folli2, V. Usuelli3, V. Fiorentino2, S. Tezza1,3, S. Uccella4, M. Ben Nasr1, F. D’Addio3, A. Maestroni3, A. Secchi3, S. La Rosa4, P.o Fiorina1,3

1BostonChildren’sHospital,Boston, MA, USA; 2University of Texas, San Antonio, USA; 3Ospedale San Raffaele, Milano, Italy; 4Università dell’Insubria, Varese, Italy; 4Ospedale di Circolo, Varese, Italy

Introduzione: dati recenti evidenziano come Exenatide (Exn) eserciti effetti immunomodulatori. È stata dimostrata un’aumentata presenza di cellule T all’interno del pancreas in animali trattati con Exn. Scopo: lo studio si propone di chiarire il ruolo immunomodulante di Exn in modelli murini di trapianto cardiaco e d’isole pancreatiche. Metodi: l’espressione del recettore di Exn (GLP1R) nelle cellule immunitarie è stata testata in vitro ed ex vivo tramite fluorimetria, western blot e istochimica. In vitro sono stati eseguiti saggi di allo-immunità per valutare l’effetto immunologico di Exn. Infine modelli murini di trapianto sono stati utilizzati per valutare l’impatto di Exn sulla funzione e sopravvivenza del graft. Risultati: la presenza di GLP1-R è stata dimostrata su macrofagi, cellule T (CD4+ e CD8+) e soprattutto cellule B (CD19+). Il dato è stato confermato con western blot e analisi istochimica, dimostrando una intensa positività su tonsille e linfonodi; le cellule B del centro germinativo sono altamente positive per GLP1-R. In vitro, dopo stimolazione di cellule T murine con anti-CD3/CD28, e con Mixed Lymphocyte Reaction, Exn provoca un aumento della produzione di IFNγ. L’antagonista di Exn (Exn-9-39) inibisce il rilascio di IFNγ, e induce l’apoptosi delle cellule T. Sono stati quindi trapiantati cuore e isole prelevati da topi BALB/c in topi C57BL/6. Gli animali sono stati trattati con 0.2 o 2ug di Exn due volte die. Exn aumenta la sopravvivenza del cuore trapiantato da 7 a 11 giorni (p=0.0002). La sopravvivenza del trapianto d’isole è risultata di XX±YY giorni nei topi non trattati, di XX±YY negli animali trattati con 2ug di Exn. Inoltre l’Exn ha mostrato un effetto sinergico se somministrato con la rapamicina (0.1ug/die) prolungando la sopravvivenza del trapianto di cuore e isole. Conclusioni: Exn agisce sulle cellule immunitarie e prolunga la sopravvivenza del trapianto di cuore e di isole dimostrando un effetto isole indipendente.

Efficacia e tollerabilità del Dapagliflozin: valutazione di casistica

E. Duratorre1, P. Marnini2, G. Veronesi3

1ASST Sette Laghi, SC Medicina Interna, Ospedale di Luino (VA); 2Varese, Libero-professionista, Specialista in Endocrinologia; 3Centro Ricerche EPIMED, Università dell’Insubria, Varese, Department of Clinical and Experimental Medicine

Scopo: valutare l’efficacia e tollerabilità del dapagliflozin in un gruppo di pazienti diabetici. Materiale e Metodi: abbiamo analizzato le cartelle cliniche di 30 pazienti in terapia con dapagliflozin 10 mg/die in monoterapia o in aggiunta a metformina con o senza insulina dal febbraio 2015 a luglio 2016. L’età media (DS) dei soggetti era di 58.7 (9.6) anni, Min 48, Max 74 anni. L’analisi retrospettiva è stata fatta nel pieno rispetto della Privacy. Durante l’osservazione (in media 8 mesi), non è stata modificata la terapia diabetologica. Sono stati esclusi i valori del quadro lipidico dei pazienti che hanno modificato la terapia ipolipemizzante. I dati sono stati elaborati statisticamente. Parametri valutati: sesso, età, emoglobina glicata, creatininemia, colesterolo totale, hdl, trigliceridi, peso. Sono stati anche registrati gli eventi avversi: ipoglicemia, infezione genito-urinaria, altri eventi e drop-out. In Tabella Risultati si rappresenta il cambiamento medio tra la visita 1 e la visita basale, con intervallo di confidenza al 95% ed il p-value per test ipotesi differenza = 0 (t-test per dati appaiati).

Tabella Risultati: Variazione tra visita basale (V0) e visita successiva (V1) nei principali parametri di indagine. Campione complessivo

Parametro

N

+Media V0

Media V1

Δ dal basale

p-value1

Peso (kg)

27

80,2

76,3

-3.9 (-5.1; -2.6)

<.0001

Emoglobina glicata (%)

28

9,8

8,8

-1.0 (-1.7; -0.2)

0,01

Creatinina (mg/dl)

23

0,9

1,3

0.3 (-0.5; 1.1)

0,4

Colesterolo Totale (mg/dl)

20

178,2

170,1

-8.1 (-19.2; 3.1)

0,1

Colesterolo HDL (mg/dl)

20

51,5

55,9

4.4 (0.5; 8.3)

0,03

Trigliceridi (mg/dl)

20

141,1

112,8

-28.3 (-70.8; 14.3)

0,2

Δ dal basale (ass): differenza media tra la visita successiva (V1) e la visita basale (V0). Tra parentesi: Intervallo di confidenza al 95%

1: p-value t-test differenza dal basale diversa da zero.

N: Numero di soggetti con dato non missing

In grassetto: differenza dalla visita basale diversa da zero in maniera statisticamente significativa

Risultati: il cambiamento è risultato significativo per peso (diminuzione), emoglobina glicata (diminuzione) e colesterolo HDL (aumento). Non si è documentata differenza significativa tra i sessi. Effetti avversi: 1 caso di candidosi balano-prepuziale in soggetto maschile, 2 casi di Infezione alle vie urinarie in pazienti di sesso femminile (con successiva autonoma sospensione della terapia da parte di una paziente), 1 caso di lombalgia transitoria in paziente di sesso maschile. Nessun caso di ipoglicemia. In un’altra paziente la terapia è stata sospesa dopo 10 mesi per peggioramento della funzione renale con VFG MDRD al di sotto di 60 ml/min/1,73 mq. Conclusioni: i dati sono in linea con quanto descritto in letteratura, confermando l’efficacia e la buona tollerabilità del dapagliflozin nella cura del diabete.

Bibliografia:

Abdul-Ghani M., Del Prato S., Chilton R., De Fronzo R. SGLT2 Inhibitors and Cardiovascular Risk: Lessons learned from the EMPA-REG OUTCOME Study. Diabetes Care 2016;39:717–725 | DOI: 10.2337/dc16-0041

Stagno G., Passamonti M. Gli SGLT2 Inibitori nella pratica clinica. MeDia 2016;16:54-60

Matthaei S et al. Dapagliflozin Improves Glycemic Control and Reduces Body Weight as Add-on Therapy to Metformin Plus Sulfonylurea: A 24-Week Randomized, Double-Blind Clinical Trial. Diabetes Care 2015 | DOI: 10.2337/dc14-0666

Kasichayanula S et al. The influence of kidney function on dapagliflozin exposure, metabolism and pharmacodynamics in healthy subjects and in patients with type 2 diabetes mellitus. Br J Clin Pharmacol. 2013

Inzucchi SE et al. Management of hyperglycaemia in type 2 diabetes: a patient-centered approach. Position statement of the American Diabetes Association (ADA) and the European Association for the Study of Diabetes (EASD). Diabetologia 2012

EFFETTI METABOLICI DI DULAGLUTIDE DOPO I PRIMI 6 MESI DI TERAPIA IN PAZIENTI CON DIABETE DI TIPO 2 DI LUNGA DURATA

E. Zarra,B. Agosti, S. Bonfadini, L. Rocca, A. Cimino, U. Valentini

U.O. Diabetologia, Spedali Civili di Brescia 

Introduzione: gli agonisti recettoriali del GLP-1 rappresentano una delle più innovative classi di farmaci da impiegare nella cura del diabete tipo. Questi farmaci mimano l’azione degli ormoni incretinici endogeni, sia stimolando la secrezione insulinica con una risposta glucosio-dipendente, sia inibendo il rilascio di glucagone. Ciò determina un miglioramento del controllo metabolico, una riduzione della glicemia a digiuno e postprandiale, dell’emoglobina glicata e del peso corporeo. Scopo: studio osservazionale, retrospettivo per valutare la tollerabilità della dulaglutide e la sua efficacia sulla riduzione della glicata, del peso corporeo e della glicemia a digiuno dopo i primi 6 mesi di terapia. Materiali e Metodi: 14 pazienti (10/4 M/F ) con diabete di tipo 2, età media di 58,7±7,6 anni, durata media di malattia di 11,7±6,9 anni. Dei 14 pazienti 1 era in terapia con la sola metformina, 7 in duplice terapia, 4 in triplice e 2 in terapia insulinica. Il peso medio iniziale era di 106,4 kg±27,8, il BMI m²/kg di 37,2±10,1, la glicata iniziale di 8,4% (68,3 mmol/mol) ±0,4, la glicemia a digiuno di 202,5 mg/dl±44. Risultati: dopo i primi 6 mesi di terapia si è avuta una significativa riduzione della glicata (7,9% -62,8 mmol/mol- ±0,7 p<0,05) e della glicemia a digiuno (156,8 mg/dl±32,4 p<0,05). Per quanto riguarda il peso e il BMI m²/kg abbiamo osservato una iniziale riduzione, rispettivamente 103,3 kg±27,7 e 36±28,2, anche se non significativa. In accordo con i dati della letteratura la dulaglutide ha avuto un profilo di tollerabilità migliore rispetto a GLP1-RA a somministrazione giornaliera (2 pz); inoltre in 2 pazienti, ai quali è stata sospesa la terapia insulinica (1 era in terapia basal/bolus e 1 solo con la basale), la dulaglutide, in triplice terapia, si è dimostrata ugualmente efficace e sembrerebbe, ad una prima osservazione, ridurre gli episodi ipoglicemici. Conclusioni: i nostri dati dimostrano che la dulaglutide ha determinato una riduzione significativa della glicata e della glicemia a digiuno ed una tendenza positiva alla perdita del peso/riduzione BMI; inoltre ha dimostrato un migliore profilo di tollerabilità simile o forse migliore rispetto alle altre molecole della classe. È necessario ampliare il campione e la durata di osservazione per la conferma di questi risultati preliminari.

Modifica dei parametri di variabilità e di controllo della glicemia mediante monitoraggio glicemico in continuo in pazienti con diabete tipo 1 in terapia con insulina basale degludec 

S. Bonfadini1, E. Zarra1, B. Agosti1, A. Girelli 1, S. Vacchi1, U. Valentini1

Unità Operativa Diabetologia, ASST Spedali Civili di Brescia

Introduzione: l’insulina basale degludec, grazie alla sua peculiare cinetica, potrebbe essere in grado di garantire una minor variabilità e un miglior controllo glicemico rispetto alle altre insulina basali long acting. Scopo: studio osservazionale retrospettivo per la valutazione dei principali parametri di variabilità e di controllo della glicemia analizzati mediante monitoraggio in continuo delle glicemie a un anno di terapia con insulina degludec. Materiali e Metodi: sono stati selezionati 15 pazienti con diabete tipo 1 in terapia insulinica intensiva seguiti regolarmente presso il nostro centro (media età 41 aa, BMI 25.9 kg/m2, HbA1c 61 mmol/mol). Tutti i pazienti hanno eseguito holter glicemico retrospettivo di 7 giorni (Ipro2 Medtronic) al tempo 0 e a 12 mesi dall’avvio di terapia con degludec. Lo switch dalla terapia insulinica basale in corso (glargine o detemir) a degludec è stato effettuato per instabilità glicemica, mancata copertura basale nelle 24 ore e/o ipoglicemie notturne. Al basale e a 12 mesi sono stati valutati esami ematochimici (glicemia basale, HbA1c), parametri antropometrici/clinici (peso, BMI, terapia insulinica in corso) ed indici di variabilità e di controllo della glicemia all’holter (media al risveglio e prima di cena, DS, Jindex, LI, CONGA, ADDR LBGI, HBGI, AUC per iper/normo/ipoglicemia). Gli indici di variabilità glicemica e di controllo sono stati ricavati con specifico software EasyGV. Risultati: dopo 12 mesi dallo switch alla terapia insulinica degludec non si è osservata una variazione significativa dell’indice di massa corporea, della glicata e della posologia insulinica sia basale che totale. All’holter glicemico abbiamo registrato una riduzione dei valori glicemici medi e dei principali parametri di variabilità e controllo glicemici con raggiungimento della significatività statistica per indice CONGA, Jindex, HBGI, ADDR, glicemia media totale e basale nei 7 giorni, tempo trascorso in euglicemia (AUC 70-140%). Conclusioni: nel nostro studio insulina degludec, pur in una casistica ristretta, ha determinato un miglioramento significativo dei principali indici di variabilità e di controllo della glicemia.

TESI

Vincitore: Stefania Giuliana Garbossa

MICROBIOTA INTESTINALE, LUMINALE E MUCOSALE, IN SOGGETTI OBESI E NORMOPESO

Stefania Giuliana Garbossa

Università degli Studi di Milano, Scuola di specializzazione in Medicina Interna

Introduzione: l’obesità è stata associata ad una disbiosi intestinale con alterata permeabilità intestinale, responsabile di uno stato infiammatorio cronico. La maggior parte degli studi hanno indagato la composizione del microbiota luminale ma verosimilmente è la componente mucosale quella che maggiormente influenza il metabolismo dell’ospite grazie ad un contatto diretto con la barriera gastro-intestinale. Scopo: indagare la composizione microbica luminale e mucosale in soggetti obesi e normopeso; ricercare correlazioni tra composizione microbica e dati antropometrici, ematochimici e nutrizionali. Materiali e Metodi: abbiamo raccolto dati antropometrici, ematochimici, nutrizionali e campioni di feci e brush intestinale da 20 obesi e 20 normopeso. Abbiamo estratto il DNA batterico da tutti i campioni, eseguito un’amplificazione mediante real time PCR, un’analisi mediante DGGE e successivamente mediante NGS. Risultati: abbiamo osservato una clusterizzazione in tre gruppi: il primo contenente i campioni fecali degli obesi, il secondo i fecali dei normopeso ed il terzo i brush di entrambi i gruppi. Nei campioni fecali si è osservato un elevato rapporto Firmicutes/Bacteroidetes negli obesi e un ridotto rapporto Firmicutes /Bacteroidetes nei normopeso; nei campioni mucosali un incremento relativo di Proteobacteria negli obesi e Firmicutes nei normopeso. Da segnalare nei campioni mucosali dei normopeso un incremento significativo di Akkermansia muciniphila. Il core mucosale è risultato più conservato e contenente una maggiore quantità di specie microbiche rispetto al luminale. Conclusioni: il microbiota mucosale è risultato più conservato e con una composizione microbica differente rispetto al luminale, più coerente con le ipotesi patogenetiche e i dati clinici: nei campioni mucosali degli obesi si è osservato un incremento dei Proteobacteria, associati in letteratura ad effetti proinfiammatori, mentre nei normopeso di Akkermansia muciniphila, associata al contrario ad effetti antiinfiammatori. Una migliore conoscenza delle caratteristiche della componente mucosale potrebbe consentirci di sviluppare trattamenti che, attraverso la sua modulazione, potrebbero determinare benefici metabolici nell’ospite.

Cellule staminali umane pluripotenti indotte (hiPSC) come fonte di cellule che producono insulina per la terapia cellulare del diabete

Silvia Pellegrini

Università degli Studi dell’Insubria, Dottorato di Ricerca in Medicina Sperimentale e Oncologia

Introduzione: nuove fonti di cellule che secernono insulina sono necessarie per la cura del diabete. I recenti successi ottenuti nel differenziamento delle cellule staminali embrionali, in combinazione con la scoperta che è possibile derivare cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) umane dalle cellule somatiche, hanno suggerito la possibilità che beta cellule paziente-specifiche possano essere ottenute attraverso la riprogrammazione e la successiva differenziazione. Scopo: l’obiettivo di questo studio è ottenere cellule producenti insulina a partire da iPSC umane e verificare la loro capacità di secernere insulina in vivo. Materiali e Metodi: cellule iPSC derivate sia da fibroblasti fetali che adulti sono state differenziate seguendo un protocollo che riproduce le fasi di sviluppo del pancreas; alla fine del differenziamento è stata misurata la loro capacità di produrre insulina. Le cellule pancreatiche ottenute dalle cellule iPSC sono state trapiantate in topi immunodeficienti per valutare la loro capacità di attecchire, differenziare e secernere insulina in vivo. Risultati: le cellule iPSC sono differenziate in cellule producenti di insulina in vitro seguendo le fasi dell’organogenesi pancreatica. Alla fine della differenziazione il 20% della popolazione cellulare esprime insulina e secerne c-peptide, e il 35% e 90% delle cellule è rispettivamente Nkx6.1 e Pdx1 positiva. In vivo, topi trapiantati con cellule pancreatiche derivate da iPSC secernono C-peptide umano in risposta al glucosio, anche se la capacità di secernere insulina viene persa nel tempo. All’analisi istologica, il sito di trapianto risulta composto da una popolazione cellulare mista contenente cellule pancreatiche mature, ma anche cellule pluripotenti e rare cellule neuronali. Conclusioni: questi dati suggeriscono che le cellule iPSC hanno il potenziale per generare cellule che producono insulina e che queste cellule differenziate possono attecchire e secernere insulina in vivo.

TRANSPLANT SITE INFLUENCES THE IMMUNE RESPONSE AFTER ISLET TRANSPLANTATION: BONE MARROW VS LIVER

Elisa Cantarelli

Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, Dottorato di ricerca in Medicina Molecolare

Introduzione: il fegato è il sito comunemente utilizzato per il trapianto (Tx) di isole in pazienti con diabete di tipo 1 (T1D) nonostante non rappresenti il sito ottimale. Abbiamo recentemente dimostrato nel modello murino (Cantarelli E, Blood 2009) e nell’uomo (Maffi P, Diabetes 2013) che isole autologhe sono in grado di attecchire efficacemente nel midollo osseo (MO). Scopo: il Tx di isole in pazienti con T1D induce l’attivazione della risposta alloimmune e la ri-attivazione della risposta autoimmune pre-esistente che influenzano sopravvivenza e funzione delle isole trapiantate. Scopo dello studio è stato valutare se il sito di Tx (MO vs Fegato) influenza la risposta immunitaria diretta verso le isole infuse. Materiali e Metodi: due modelli murini MHC full-mismatched di Tx di isole (C57BL/6 in Balb/c e Balb/c in C57BL/6) sono stati utilizzati per valutare la risposta alloimmune. Un modello murino single antigen-mismatched di Tx di isole (C57BL/6 RIP-GP in C57BL/6 RIP-GP) è stato utilizzato per valutare la risposta immune memoria antigene-specifica. Risultati: il sito di Tx non influenza tempistiche e cinetica della risposta alloimmune e T memoria antigene-specifica in assenza di immunosoppressione e in presenza di MMF/FK-506. Al contrario, in presenza di una terapia immunosoppressiva di induzione con depletante delle cellule T come anti-CD3, isole infuse nel MO sono meno protette dalla risposta alloimmune. Tale differenza correla con la capacità di anti-CD3 di indurre la deplezione di cellule T al sito di Tx: anti-CD3 è più efficace nell’inibizione del reclutamento di cellule T CD4+ e CD8+ richiamate nel fegato rispetto al MO. Conclusioni: questo studio caratterizza per la prima volta la risposta immune adattativa diretta verso isole infuse in un sito alternativo rispetto al fegato. Nuove strategie per modulare localmente e selettivamente il microambiente del MO sono necessarie e fattibili per migliorare l’attecchimento e la sopravvivenza delle isole trapiantate.

DIABETE TIPO 1 E GRAVIDANZA: ESITI MATERNO-FETALI IN DIECI ANNI DI ESPERIENZA ALL’OSPEDALE PAPA GIOVANNI XXIII DI BERGAMO

Giorgia Cavalli

ASTT Papa Giovanni XXIII, Bergamo, Scuola di Specializzazione in Ostetricia e Ginecologia

Introduzione: nonostante i continui progressi terapeutici e tecnologici, il diabete tipo 1 (DmT1) in gravidanza rimane una condizione ad alto rischio per complicanze materne, fetali e neonatali. Scopo: analizzare gli esiti materni, fetali e neonatali in un’ampia popolazione di pazienti affette da DmT1 che hanno partorito presso un Ospedale con gestione diabeto-ostetrica congiunta di alta specializzazione. Materiali e Metodi: sono stati rivalutati (studio osservazionale retrospettivo) i dati metabolici e ostetrici con relativi esiti materni e fetali a breve termine di 90 pazienti con DmT1 (età media 31±5 anni; durata DmT1 13±8 anni; 68% senza complicanze del DmT1, 59% in terapia CSII) che hanno partorito a Bergamo nel periodo 2006-2015. Le analisi sono state eseguite mediante Fisher test e T di Student. p<0.05 è stato considerato significativo. Risultati: nel periodo di studio sono state seguite 124 gravidanze. Le principali complicanze ostetriche sono state: peso fetale ≥90° (LGA) (39%), parto prematuro (13%), preeclampsia (8%) e MEF (un caso). In gravidanza tutte le pazienti hanno ottenuto un buon compenso glicemico (HbA1c media inizio gravidanza 54±13 – fine gravidanza 43±7 mMol/Mol, p<0.0001) anche se i LGA hanno presentato valori significativamente superiori di HbA1c dal 2° trimestre (tabella 1). L’epoca media al parto è stata 37,4 settimane e il 54% delle pazienti ha partorito per via vaginale. Fra le complicanze neonatali sono risultate presenti iperbilirubinemia (35%), ipoglicemia (30%) e policitemia (2%). Sono stati ricoverati in TIN 14 (11,6%) neonati, prevalentemente per complicanze respiratorie. Gli esiti ostetrici e neonatali sono risultati sovrapponibili tra pazienti in terapia MDI o CSII sebbene il gruppo in CSII presentasse maggior durata di malattia e prevalenza di complicanze microangiopatiche e HbA1c più alta dal secondo trimestre. L’incidenza generale di malformazioni (tutte minori) è stata del 7,4%. Conclusioni: lo studio ha confermato che in gravidanza le donne con DmT1, anche se seguite in modo assiduo, intensivo e congiunto dai vari specialisti coinvolti, rimangono una popolazione ad alto rischio ostetrico e hanno una maggiore incidenza di esiti neonatali avversi.

Impatto sull’assetto glicometabolico di due differenti approcci nutrizionali in soggetti affetti da diabete mellito tipo 2 (DMT2) sovrappeso o obesi

Alessia Gaglio, Valeria Grancini, Maria Elena Lunati, Veronica Resi, Eva Palmieri, Emanuela Orsi

Università degli Studi di Milano, Laurea in Biologia Applicata alle Scienze della Nutrizione

Introduzione: la Dieta Mediterranea rappresenta ad oggi l’approccio nutrizionale più efficace nella gestione del DMT2. Essa prevede il consumo quotidiano di alimenti ricchi di fibra come verdure, cereali, legumi, frutta, ma anche di acidi grassi insaturi quali il pesce, fonte anche di vitamina D, e l’olio d’oliva. Scopo: l’obiettivo dello studio è stato quello di valutare l’efficacia del counseling nutrizionale o di un intervento strutturato con l’utilizzo di piani alimentari personalizzati, entrambi basati sulle linee guida della Dieta Mediterranea, sull’andamento dei parametri antropometrici e glicometabolici, in soggetti sovrappeso o obesi affetti da DMT2. Materiali e Metodi: sono stati reclutati 43 soggetti (19/24 F/M), età media 63±8.95 aa, randomizzati in 3 gruppi: A) “counseling alimentare”, che ha come scopo educare e motivare i soggetti ad un corretto stile alimentare, B) “schema alimentare”, che prevede una ripartizione tra i macronutrienti, con relative grammature per ogni alimento, C) gruppo di controllo, che seguiva lo standard care ambulatoriale. Al basale e dopo 3 mesi sono stati raccolti i parametri antropometrici (BMI, CV, CF, Bioimpedenziometria), è stata valutata l’aderenza alle indicazioni nutrizionali attraverso l’analisi dei diari alimentari e questionari e sono stati analizzati il profilo glicometabolico e lipidico dei soggetti in studio. Risultati: il follow-up a 3 mesi ha evidenziato una maggior aderenza alla Dieta Mediterranea nei 3 gruppi, ma solo il gruppo A ha mostrato un miglioramento statisticamente significativo del compenso glicemico (HbA1c 7.72±0.51 vs 7.16±0.65, p*=0.01). Conclusioni: nel DMT2, l’aderenza alla terapia nutrizionale prescritta mediante schema alimentare si mostra di scarsa applicazione ed efficacia nel tempo. Il counseling, gestito da un nutrizionista dedicato, permette di modificare a piccoli passi, ma in modo permanente, le abitudini alimentari scorrette, favorendo il raggiungimento di un miglior controllo glicometabolico.

IL MANAGEMENT DEL DIABETE GESTAZIONALE E DEL DIABETE IN GRAVIDANZA

Ettore Paolo Gozzini

Università degli Studi di Pavia, Master di 2° livello in Nutrizione Umana

Il diabete gestazionale viene diagnosticato tramite OGTT test tra la 16-18 o 24-28esima w, per gestanti con classi di rischio note; per le pazienti con DM1 e 2 si parla di diabete pregravidico. In Italia colpiscono il 7% delle gravidanze, anche alcune etnie residenti sono a elevato rischio: Asia Mediorientale, Medio Oriente, Africa Centro-Settentrionale, e per queste si impostano schemi educativi specifici. Scopo del lavoro è valutare l’impatto della terapia nutrizionale in pazienti assistite con terapia dietetica o dietetico-insulinica.

Andranno tenuti sotto controllo:

Gli obiettivi glicemici (95 mg/dl a digiuno e tra 100-140 mg/dl un’ora dopo i pasti).

La crescita fetale.

L’aumento ponderale della madre.

In prima visita vengono rilevati i parametri corporei, impostate le prove glicemiche domiciliari e somministrata la dieta. Per tutte le pazienti con DM1 e 2, e quelle con GDM scompensato si inizia terapia insulinica. Vengono valutati gli obiettivi glicemici dopo trattamento dietetico di una paziente ghanese, primipara di 28 anni alla 26esima w affetta da GDM (Tab. 1), e di una paziente italiana insulino-trattata affetta da DM2 alla 13esima w (Tab. 2). Le glicemie sono state uniformate e riportate a livelli standard in entrambi i casi. Rispettivamente al momento dei parti le HbA1c sono 5,4% e 6,1% e i neonati pesano 3,21 Kg e 3,34 Kg. Attualmente l’educazione alimentare e la terapia insulinica appaiono essere gli unici due trattamenti per contenere i possibili danni causati da scompensi glicemici nel GDM e nel DM1 e 2. Studi futuri dovranno valutare se tra le quattro macroaree geografiche identificate nel nostro ambulatorio, a parità di trattamento ci possano essere differenze nel peso e vitalità dei nascituri.

Tab. 1

Giorni

Colazione

1H dopo

Pranzo

1H dopo

Cena

1H dopo

Glicemie prima dell’inizio della terapia dietetica

1

78

160

2

83

173

3

81

99

Glicemie dopo l’inizio della terapia dietetica

8

81

139

9

80

126

10

90

134

Tab. 2

Giorni

Colazione

1H dopo

Pranzo

1H dopo

Cena

1H dopo

Glicemie prima dell’inizio della terapia dietetica

1

99

163

110

150

106

174

2

101

161

101

172

98

168

3

87

150

104

172

103

153

Glicemie dopo l’inizio della terapia dietetica

8

92

129

101

138

97

112

9

90

139

98

145

96

124

10

94

133

98

132

101

138

 

 

Bibliografia

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