21° Congresso Interassociativo AMD-SID, Lombardia, 2-3 ottobre 2015, Corte Franca (BS)

 

[protected]

> Scarica l’articolo in formato PDF

Comunicazioni Orali

IL GLUCOSIO OSCILLANTE INDUCE UNA UP-REGULATION DEL MIR-185, INIBENDO UN’EFFICIENTE RISPOSTA ANTIOSSIDANTE NELLE CELLULE ENDOTELIALI

L. La Sala1,2,A. Uccellatore1,3, S. Lupini1,3, M. Rondinelli1, A. Ceriello1,2,S. Genovese1

1IRCCS Multimedica, Sesto San Giovanni (MI), Italia; 2Institut d’Investigacions Biomèdiques August Pi i Sunyer (IDIBAPS), Barcelona, Spagna; 3Università degli Studi di Milano, Milano, Italia

 

Razionale: la distruzione dei meccanismi di difesa intracellulari dovuti a uno sbilanciamento dello stato ossido-riduttivo, che compromette la capacità antiossidante delle cellule, contribuisce alla patogenesi delle complicanze del diabete. Le risposte antiossidanti contro il danno generato dall’alto glucosio sono finemente regolate da un complesso sistema di detossificazione, nel quale intervengono attivamente gli enzimi “scavengers” come le superossido dismutasi 1 e 2 (Cu/Mn-SOD), la catalasi (CAT) e la glutatione perossidasi-1 (GPx-1). Sebbene sia noto che il glucosio oscillante induca effetti più deleteri dell’alto glucosio sulla funzione endoteliale, il meccanismo con il quale esso esercita i suoi effetti dannosi non è stato completamente chiarito, ma è riconosciuto il ruolo dello stress ossidativo. Lo scopo di questo studio era 1) determinare se il glucosio oscillante modula in maniera differente, rispetto all’alto glucosio, la risposta antiossidante e 2) chiarire i potenziali meccanismi regolatori esercitati dai micro-RNA.

Risultati: nelle HUVEC (human umbilical vein endothelial cells) l’alto glucosio cronico e il glucosio oscillante generano stress ossidativo e una risposta antiossidante sbilanciata. Abbiamo dimostrato un ruolo critico del miR-185 – che viene indotto dal solo glucosio oscillante – nella disregolazione endogena di GPx-1. Inoltre, le predizioni computazionali hanno confermato che miR-185 ha come target il 3’-UTR di GPx-1. Mediante il knockdown del miR-185 è stata osservata una significativa up-regolazione dei livelli proteici di GPx-1 durante le oscillazioni del glucosio.

Conclusioni: le oscillazioni del glucosio determinano un effetto più deleterio sull’endotelio rispetto all’alto glucosio, probabilmente a causa della risposta sbilanciata di GPx-1 indotta da miR-185, nella detossificazione del perossido di idrogeno, che determina la propagazione del danno ossidativo.

MICROBEDE: CROSS-TALK TRA MICROBIOTA INTESTINALE LUMINALE E MUCOSALE NELL’OBESITÀ E NEL DIABETE MELLITO

S.G. Garbossa, A. Benetti, F. Borgo, E. Borghi, V. Truglia, P. Viaggi, E. Morandi, Y. Presezzi, G. Morace, A.E. Pontiroli

Dipartimento di Scienze della Salute, Università degli Studi di Milano, Polo Universitario Ospedale San Paolo

 

La composizione del microbiota intestinale è associata a diverse manifestazioni della sindrome metabolica. In tutto il mondo vi è un crescente interesse in questo ambito: ci sono evidenze che soggetti diversi abbiano un microbiota diverso e sta emergendo l’idea che si possano indurre cambiamenti metabolici modificandone la composizione. Abbiamo studiato la composizione del microbiota intestinale ed in particolare i batteri transitanti (da campioni fecali) e residenti (da brushing endoscopico) in 10 pazienti: 4 normopeso, 4 obesi e 2 obesi con diabete di tipo 2. Abbiamo estratto il DNA ed effettuato un’analisi del 16S rRNA mediante DGGE ed amplificazione con real time PCR su specie batteriche selezionate. È emersa una differente distribuzione delle popolazioni batteriche luminali tra obesi e normopeso. Inoltre, la popolazione batterica mucosale è andata a costituire un terzo gruppo, con caratteristiche meno distinte. I pazienti obesi diabetici hanno dimostrato di avere un microbiota più eterogeneo. Abbiamo trovato differenze tra campioni fecali e campioni da brushing: una maggiore rappresentazione di Roseburia e Bacteroidetes nei primi e di Akkermansia muciniphyla nei secondi. Soggetti normali hanno mostrato maggiore quantità di Akkermansia muciniphyla e Roseburia, mentre gli obesi di Bacteroidetes. In quest’ultimo gruppo abbiamo anche trovato una diminuzione di A. muciniphila, un batterio muco-degradante, e di Roseburia spp, coinvolta nella funzione dell’epitelio gastrointestinale. Questi dati preliminari sembrano confermare la presenza di una differenza nel microbiota intestinale in pazienti magri, obesi e diabetici, con alterazione di batteri specifici coinvolti nella cascata infiammatoria e nella funzione di barriera intestinale: una migliore comprensione di questi meccanismi potrebbe aprire nuove prospettive per il trattamento della sindrome metabolica e delle sue manifestazioni.

 

 

VELOCITÀ DI PROGRESSIONE DEL DANNO RENALE E INSULINO-RESISTENZA IN DIABETICI DI TIPO 2 CON MICROALBUMINURIA PERSISTENTE: RISULTATI DI UNO STUDIO DI COORTE PROSPETTICO DI 4 ANNI

A.R. Dodesini, A. Corsi, C. Scaranna, G. Lepore, R. Trevisan

U.S.C. Malattie Endocrine e Diabetologia, Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII, Bergamo

 

Nei diabetici di tipo 2 (DM2) con microalbuminuria (MA) ci sono pochi dati sulla progressione del danno renale e sui fattori che la influenzano.

L’obiettivo dello studio è stato quello di valutare prospetticamente per 4 anni in un’ampia coorte di DM2 con MA, trattati in modo intensivo in modo tale da ottenere un buon controllo glicemico, lipidico e pressorio, la velocità di perdita del GFR (Delta GFR) e i fattori clinico-metabolici ad essa correlati. Sono stati reclutati consecutivamente nel nostro ambulatorio 93 DM2 con MA. Il GFR è stato valutato accuratamente mediante ioexolo e.v. ogni anno. La MA, la pressione arteriosa nelle 24 ore e i dati di laboratorio sono stati misurati periodicamente nei 4 anni di follow-up. Al reclutamento e alla fine dello studio, il grado di insulino-resistenza (IR) è stato determinato mediante clamp euglicemico-iperinsulinemico. Il Delta GFR è stato determinato mediante analisi di regressione lineare di tutti i dati di GFR ottenuti.

I dati sono presentati come medie ±ES. I 93 pazienti reclutati (età 59±1 anni, durata di malattia 8±1 anni, A1c 7.2±0.2%, peso 88±2 Kg, CV 106±2 cm) hanno dimostrato un Delta GFR pari a -2.4±0.3 ml/min/1.73m2. MA è rimasta stabile (mediana con IQR: basale 56 [33-94] vs 52 [25-129] μg/min al termine del follow-up). A1c, pressione arteriosa, peso e CV sono rimasti stabili nei 4 anni. Solo il colesterolo totale si è significativamente ridotto da 189±40 a 166±34 mg/dl. L’IR è rimasta stabile (al basale 4.23±0.22 vs 4.29±0.23 mg/kg/min al 4° anno). Per valutare i fattori di rischio di progressione i DM2 sono stati divisi in 2 gruppi (“Fast progressors” vs “Slow progressors”) in base alla mediana del Delta GFR. I “Fast progressors” (Delta GFR -5.3±0.5 ml/min/1.73m2) mostravano un significativo aumento della MA alla fine del follow-up (da 63 [35-115] a 103 [22-190] vs 42 [23-83] a 44 [21-97] μg/min; p<0.05) ed erano più insulino resistenti (3.9±0.3 vs 4.6±0.3 mg/kg/min; p<0.05) rispetto agli “Slow progressors” (Delta GFR -0.34±0.4 ml/min/1.73m2). Controllo glicemico, lipidico, pressorio e peso erano simili tra i due gruppi.

I DM2 con MA trattati per 4 anni in modo intensivo dimostrano una modesta progressione del danno renale e la microalbuminuria rimane stabile. Il grado di insulino-resistenza è l’unico fattore che si associa ad un maggiore velocità di progressione del danno renale.

 

 

CONTROLLO METABOLICO ED OUTCOME PERINATALE NEL DIABETE PREGESTAZIONALE DI TIPO 1 TRATTATO CON CSII O SAP

B. Pintaudi, E. Mion, D. Corica, G. Oggioni, R. Giro, F. Bertuzzi, M. Bonomo

Centro Interdisciplinare Diabete e Gravidanza, A.O. Ospedale Niguarda Ca’ Granda, Milano

 

Premessa: la persistenza di outcomes non ottimali nelle gravidanze complicate da diabete pre-gestazionale ha portato negli ultimi anni ad una crescente diffusione dei microinfusori di insulina (CSII). I risultati pubblicati non hanno tuttavia dimostrato un effettivo vantaggio della CSII sul controllo materno e sull’esito della gravidanza. I sistemi integrati infusore/sensore (SAP) potrebbero aprire nuove prospettive, consentendo maggiore aggressività terapeutica rispetto alla CSII classica. Scopo dello studio è stato valutare retrospettivamente i risultati delle gravidanze di donne con DMT1 ultimamente seguite con CSII o SAP presso il nostro Centro.

Metodi: nel periodo 2010-2014 abbiamo seguito 143 gravidanze con DMT1; di queste 37 con CSII (età 34.4±4.1 anni, BMI 24.6±4.8) e 15 con SAP (età 34.4±4.0 anni, BMI 21.1±2.5). In tutti i casi è stato applicato lo stesso protocollo di controlli ostetrici e diabetologici, mantenendo gli stessi target glicemici (<90 mg/dl a digiuno, <130 mg/dl 1-h post-prandiale). Per le pazienti in SAP l’indicazione era ad un uso continuativo del sensore; non erano forniti algoritmi strutturati; i tracciati di monitoraggio venivano discussi alle visite di controllo, con conseguente adeguamento della terapia.

Risultati: il controllo glicemico nel corso della gestazione è risultato simile nei due gruppi (HbA1c 3° trimestre CSII 6.4±0.7% vs SAP 6.5±0.7%). L’outcome materno-fetale è risultato non significativamente diverso nei due gruppi (per tasso di macrosomia e di LGA). Non sono state rilevate correlazioni statisticamente significative tra sistema utilizzato e parametri clinici ed antropometrici della madre. Le analisi di regressione lineare eseguite non hanno mostrato alcuna associazione tra sistema utilizzato e variazione dei livelli di HbA1c, grado di incremento ponderale materno e peso neonatale.

Conclusioni: confermando quanto finora emerso in letteratura, un uso sostanzialmente “professional” del monitoraggio del glucosio RT nelle gravidanze complicate da DMT1 non porta risultati migliori della CSII “semplice”, non consentendo di ottimizzare compenso glicemico ed esito perinatale. Una valutazione corretta di questa opzione terapeutica richiede studi controllati su casistiche maggiori ed un uso RT effettivamente “patient-oriented”.

 

 

IL TRAPIANTO AUTOLOGO DI CELLULE STAMINALI EMATOPOIETICHE NEL DIABETE MELLITO DI TIPO 1: ANALISI MULTICENTRICA

A. Valderrama-Vasquez1, V. Usuelli1, F. D’Addio1,2, A. Maestroni1, M. Ben Nasr2, E. Franek3,4, D. Zhu5, L. Li5, G. Ning6, E. Snarski7, P. Fiorina1,2

1Medicina Trapianti, Ospedale San Raffaele, Milano, Italia; 2Nephrology Division, Boston Children’s Hospital, Harvard Medical School, Boston, MA, USA; 3Department of Internal Diseases, Diabetology and Endocrinology, Central Hospital, Ministry of Interior Affairs and Administration and 4Department of Endocrinology, Mossakowski Medical Research Centre, Polish Academy of Sciences, Warsaw, Poland; 5Division of Endocrinology, The Affiliated Drum Tower Hospital of Nanjing University, Nanjing, Jiangsu, China; 6Shangai Jiao Tong University School of Medicine, Shanghai, China; 7Department of Hematology, Oncology and Internal Diseases, Medical University of Warsaw

 

Il diabete mellito di tipo 1 (T1D) è una delle più importanti malattie autoimmuni che colpiscono bambini e adolescenti di tutto il mondo. A oggi, le diverse strategie immunoterapeutiche testate in clinica hanno raggiunto l’insulino-indipendenza in meno del 5% dei soggetti trattati. Di recente, è stata testata, in individui affetti da diabete di tipo 1 ad insorgenza precoce, una terapia basata sull’utilizzo delle cellule staminali ematopoietiche (HSCs). Lo scopo di questo studio è stato di determinare gli effetti del trapianto autologo di HSCs in sessantacinque soggetti con diabete di tipo 1 di insorgenza precoce, arruolati in due Centri cinesi e in un Centro polacco, raggruppati e seguiti per 48 mesi. Il 59% dei soggetti diabetici ha raggiunto l’insulino-indipendenza nei primi 6 mesi dal trattamento, che consisteva nella terapia immunosoppressiva di condizionamento standard (ATG e Ciclofosfamide) e in un’infusione singola di HSCs autologhe. Il 32% dei soggetti ha conservato l’insulino-indipendenza fino all’ultimo timepoint del rispettivo follow-up. Tutti i soggetti trattati hanno mostrato una riduzione dei livelli di emoglobina glicata, e un aumento di quelli di C-peptide rispetto a quanto riscontrato prima dell’inizio del trattamento. Nonostante il recupero completo della riposta immunitaria (conta leucocitaria) dopo il trattamento, il 52% dei soggetti ha sviluppato eventi avversi. In conclusione il nostro studio indica che: (i) è possibile controllare il diabete di tipo 1 attraverso una strategia che include il trapianto autologo di HSCs e l’immunosoppressione; (ii) il trapianto autologo di HSCs rappresenta un trattamento efficace solo per alcuni soggetti affetti da diabete di tipo 1; e (iii) sono necessarie opzioni terapeutiche più sicure basate sull’utilizzo di HSCs per effettuare una terapia su più larga scala.

 

 

TRANSIZIONE DEL GIOVANE AFFETTO DA DIABETE MELLITO TIPO 1 DALLA PEDIATRIA ALL’AMBULATORIO DELL’ADULTO: PRIME RIFLESSIONI DI UN NUOVO PERCORSO CONGIUNTO

B. Agosti1, E. Zarra1, S. Bonfadini1, E. Prandi2, B. Felappi2, A. Plebani2, U. Valentini1

1U.O. Diabetologia, Spedali Civili di Brescia; 2Clinica Pediatrica, Spedali Civili di Brescia

 

Premessa: la transizione del giovane con diabete mellito tipo 1 da un Centro di diabetologia pediatrica ad una struttura dell’adulto è da sempre uno fra i temi più dibattuti e delicati da affrontare. Nonostante la massima collaborazione tra i team, numerose rimangono le difficoltà nella gestione dei pazienti con un numero elevato di drop-out. Dal gennaio 2006 al dicembre 2013, 83 giovani affetti da diabete mellito tipo 1 hanno effettuato la transizione presso l’ambulatorio degli adulti. Il 22% dei pazienti si è perso al follow-up e, dai nostri dati, risulta non aver avuto una continuità nel team di cura. È nata la necessità di creare un nuovo percorso ambulatoriale congiunto e strutturato con il pediatra in modo da accompagnare “dolcemente” la persona con diabete al passaggio definitivo.

Scopo: valutare che il numero delle visite con lo stesso team di cura durante l’anno di osservazione fosse non inferiore a 3 (ogni 4 mesi).

Casistica e Metodi: dal 1° gennaio 2014 sono stati inviati all’ambulatorio congiunto 19 pazienti con diabete tipo 1 (11/8 M/F, età media 18.3±0.7. aa); 16 pazienti erano in terapia multi-iniettiva (MDI), mentre 3 in terapia con microinfusore (CSII). La glicata media era di 8.4%±0.35. I dati sono stati ricavati dalla cartella clinica informatizzata di uso routinario presso la nostra divisione.

Risultati: 18 pazienti (95%) hanno effettuato le visite mediche programmate, mantenendo la frequenza stabilita di una visita ogni 4 mesi. 8 pazienti hanno iniziato un percorso individuale con la dietista, 2 hanno effettuato solo un primo incontro e 7 pazienti hanno partecipato agli incontri di gruppo tenuti dalla dietista. Solo 2 pazienti, in occasione del primo incontro congiunto, hanno eseguito una educazione/verifica infermieristica; nessuno ha avuto un colloquio conoscitivo con la psicologa.

Conclusioni: i nostri dati sottolineano come, durante il primo anno, un team di cura formato dallo stesso pediatra che ha seguito il ragazzo e lo stesso diabetologo che lo seguirà nel suo percorso futuro, rappresenti un punto chiave nel percorso di assunzione di competenze e responsabilità da parte del giovane adulto. È necessaria una rivalutazione del percorso di gruppo con la dietista, evidenziando le eventuali criticità. Da una nostra prima valutazione risulta scarsa o nulla l’aderenza all’educazione infermieristica e ad un primo contatto con la psicologa del team.

 

 

oster

 

Topic: Fisiopatologia

 

 

MICROBIOMA E PROFILO INFIAMMATORIO INTESTINALE NEL DIABETE MELLITO TIPO 1: UNO STUDIO IN BIOPSIE DUODENALI NELL’UOMO

A.M. Bolla1, S. Pellegrini1, V. Sordi1, D. Saita2, A. Mariani3, G. Barera4, C. Doglioni5, F. Canducci2, P.A. Testoni3, E. Bosi1, L. Piemonti1

1Diabetes Research Institute, IRCCS San Raffaele, Milano; 2Servizio di Medicina di Laboratorio – Microbiologia, IRCCS San Raffaele, Milano; 3U.O. Gastroenterologia e Endoscopia Digestiva, IRCCS San Raffaele, Milano; 4U.O. Pediatria e Neonatologia, IRCCS San Raffaele, Milano; 5Unità di Anatomia e Istologia Patologica, IRCCS San Raffaele, Milano

 

L’alterazione di permeabilità intestinale, microbioma e immunità mucosale e la loro complessa interazione potrebbero avere un ruolo nel diabete mellito tipo 1 (DMT1). Questo studio ha l’obiettivo di valutare il microbioma e il profilo infiammatorio intestinale in biopsie della mucosa duodenale di pazienti con DMT1, confrontati con controlli sani (CTR) e con pazienti affetti da celiachia (MC) come controllo di malattia infiammatoria. 74 pazienti sono stati sottoposti a EGDS con biopsia del duodeno distale; 8 pazienti sono stati esclusi per comorbidità. L’RNA è stato estratto, 48/66 campioni sono risultati di alta qualità (15 con DMT1, 15 con MC, 11 CTR, 7 con DMT1 + MC) e sono stati analizzati per la composizione del microbioma con emulsion-PCR e ultra-deep pyrosequencing e per l’espressione genica in Taqman Low Density Array di 90 geni coinvolti nell’infiammazione. Alcuni marcatori infiammatori sono stati confermati mediante analisi immunoistochimica su tessuto conservato in formalina.

Il microbioma dei pazienti con DMT1 è risultato diverso dagli altri gruppi, infatti abbiamo osservato, a livello di phyla, un aumento significativo dei Firmicutes e una riduzione dei Proteobacteria e, a livello di classi, un incremento di Bacilli e una riduzione di Clostridi. Anche il profilo di espressione genica è risultato differente nei 4 gruppi. In particolare, nei pazienti con DMT1 abbiamo osservato maggiore espressione di alcuni geni (CCL13, CCR2, IL4R, PTGS2, TLR4, VEGFA, CD68, PTX3, TNFα) rispetto ai CTR (Mann Whitney test, p<0.05); di questi, CD68, VEGFA, PTX3 e TNFα sono risultati significativamente meno espressi nei pazienti con MC rispetto ai CTR. L’analisi immunoistochimica infine ha confermato che nei diabetici le cellule positive per PTX3 e TNFα sono più rappresentate rispetto agli altri gruppi, e si localizzano rispettivamente nelle cellule epiteliali endocrine e all’apice dei villi. L’espressione dei marcatori infiammatori nel DMT1 non ha mostrato una correlazione diretta con le alterazioni del microbioma osservate. I risultati ottenuti in questo studio mostrano che la mucosa duodenale di pazienti con DMT1 presenta delle specificità in termini sia di composizione del microbioma che di profilo infiammatorio. I meccanismi alla base di queste peculiarità sono di cruciale importanza per la comprensione dell’eziopatogenesi del DMT1 e per eventuali future terapie mirate all’intestino.

 

 

VALUTAZIONE DELLA VARIABILITÀ GLICEMICA IN PAZIENTI SPORTIVI E SEDENTARI AFFETTI DA DIABETE MELLITO TIPO 1

A. Girelli1, A. Assanelli1, B. Agosti1, S. Bonfadini1, L. Rocca1, A. Rocca2, P. Ruggeri3, E. Zarra1, U. Valentini1

1U.O. di Diabetologia, Spedali Civili di Brescia; 2Centro diabetologico, Azienda Istituto Ospitalieri di Cremona; 3S.S. Diabetologia e Malattie Metaboliche, P.O. Bassini, Cinisello Balsamo, A.O. ICP Milano

 

Nel DMT1 l’esercizio fisico potrebbe determinare una compromissione della stabilità glicemica.

Scopo: obiettivo di questo studio pilota è stato valutare la variabilità glicemica in pazienti con DMT1 che svolgono regolarmente attività fisica intensa di endurance, confrontati con sedentari.

Materiali e Metodi: in 10 maschi affetti da DMT1 in terapia con sistema integrato da più di 6 mesi, 5 atleti e 5 sedentari, in buon controllo glicemico [HbA1c media delle ultime 3 rilevazioni 7,10 (6,60-7,53)% negli sportivi e 7,60 (6,50-8,43)% nei sedentari], privi di altri fattori di rischio, è stata studiata la variabilità glicemica nei 2 mesi precedenti all’esecuzione di una valutazione funzionale cardio-polmonare attraverso la valutazione di media, mediana, DS, J Index, MAGE, CONGA, LBGI, HBGI. Sono stati inoltre stimati l’esercizio fisico normalmente svolto e la qualità di vita attraverso questionari specifici (MOSPA e ADDQL) e monitorato l’esercizio nella settimana successiva il test attraverso l’uso di un accelerometro verticale.

Risultati: l’attività fisica stimata, i risultati del test cardio-polmonare e l’attività fisica rilevata mediante accelerometro erano significativamente diversi tra sportivi e sedentari (p=0,009) e vi era una correlazione negativa tra il dispendio stimato dal MOSPA e HbA1c media (p=0,06). Il controllo glicemico (media, mediana, DS) e gli indici calcolati relativi ai 2 mesi, al giorno del test da sforzo e alla settimana di monitoraggio dell’attività fisica, mostrano andamenti simili. Il LBGI è risultato statisticamente più alto negli sportivi (p=0,016) anche se nessun paziente ha riportato episodi di ipoglicemia severa. L’ADDQoL evidenzia una differenza statisticamente significativa tra sportivi e sedentari (p=0,009).

Conclusioni: benché questo studio pilota non abbia dimensioni tali da generare correlazioni statisticamente significative, nei pazienti studiati la pratica sportiva intensa non peggiora il controllo glicemico medio e determina un effetto sulla variabilità glicemica complessivamente modesto che si evidenzia solo in un aumento del rischio ipoglicemico ma non in termini di ipoglicemie severe. Questi dati preliminari aprono numerose ipotesi di ricerca clinica al fine di esplorare la relazione tra sport “realmente praticato” e variabilità glicemica nel DMT1.

 

 

VALUTAZIONE MULTIDIMENSIONALE DI UN CAMPIONE DI PAZIENTI ANZIANI DIABETICI

V Magri, E. Carrai, S. Di Lembo, P. Ruggeri

U.O. Centro Diabetologico Azienda Istituti Ospitalieri di Cremona

 

Premessa: negli ultimi 10 anni c’è stato un progressivo incremento della prevalenza della malattia diabetica nella popolazione di età superiore ai 65 anni, in particolare nelle fasce di età più avanzate. L’approccio clinico alla malattia, e alle complicanze croniche, è reso complesso dall’elevata eterogeneità dei pazienti anziani con diabete.

Scopo: indagare lo stato funzionale attraverso la valutazione delle abilità quotidiane, del grado di autonomia, delle comorbidità, dei livelli cognitivi e nutrizionali in un campione di pazienti diabetici con età ≥65 anni afferenti al Centro Diabetologico.

Metodi e Pazienti: sono stati somministrati 5 questionari multidimensionali: MNA, MMSE, ADL, IADL e CIRS volti rispettivamente ad esaminare: lo stato nutrizionale, la presenza di deficit cognitivi, autonomia nelle attività quotidiane, dipendenza nelle attività strumentali della vita quotidiana, la presenza di comorbilità. Il campione era costituito da 205 pazienti di 80 donne e 125 uomini con età media 74,7 anni±6,5 (minimo 65 e massimo 90 anni), durata media di malattia 11,4 ±8,8 anni. L’8,3% era in terapia combinata, il 10,7% in terapia insulinica, il 16,10% in terapia con solo dieta e il 64,9% in terapia ipoglicemizzante.

Presentava BMI medio 27,9±4,7 kg/m2,HbA1c media di 7,6±4,9 %, circonferenza vita media 103,2 cm±17,5 colesterolo totale 168,4±37 mg/dl, colesterolo HDL 49,8±11,5 mg/dl, colesterolo LDL 99,2±67,3 mg/dl e trigliceridi 130±71,9 mg/dl, pressione 130/78 mmHg±13/7.

Risultati: gli esiti dei nostri questionari multidimensionali sono correlati significativamente con la durata di malattia, lo stato nutrizionale, il compenso glicemico, i ricoveri e le complicanze cardiache, cerebrali, neuropatiche e l’ipertensione.

Conclusioni: il diabete nell’anziano influisce negativamente sulle capacità fisiche e cognitive, sulle attività di vita quotidiana (BADL) e su quelle estese (IADL), e sul test di screening cognitivo (MMSE). È sicuramente importante valutare lo stato funzionale del paziente considerando l’eterogeneità della popolazione anziana con diabete e la necessità di avere un differente atteggiamento clinico, sia per quanto riguarda la terapia, che il follow-up delle complicanze.

 

 

LA RELAZIONE TRA IPOVITAMINOSI D E SINDROME METABOLICA IN UNA POPOLAZIONE ADULTA CON OBESITÀ VISCERALE

E. Piantanida1, G. Gallo1, G. Veronesi1, E.L.M. Dozio 2, A. Lai1, L. Sassi1, M.L. Tanda1, M. Ferrario1, L. Bartalena1

1Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università dell’Insubria, Varese; 2Dipartimento di Scienze Chirurgiche e Morfologiche, Università dell’Insubria, Varese

 

Accanto ai noti effetti scheletrici, la vitamina D (vit-D) è implicata in numerosi meccanismi che influenzano il rischio cardio-vascolare e la suscettibilità alle infezioni, ad alcune malattie autoimmuni, oncologiche, reumatologiche e neurodegenerative. Scopo dello studio è valutare la relazione tra l’obesità (OBES), la sindrome metabolica (MET-S) e i livelli sierici di calcifediolo [25(OH)D]. Abbiamo arruolato consecutivamente 157 pazienti con obesità viscerale (120 donne; età media 51±14 anni) e valutato parametri antropometrici (BMI e circonferenza addominale), pressione arteriosa (PA) ed esami di laboratorio ([25(OH)D], calcemia, PTH, profilo glicemico e lipidico). Il deficit grave di vit-D (I) è stato definito per valori di [25(OH)D]<10 ng/ml, il deficit (II) se<20 ng/ml, l’insufficienza (III) se<30 ng/ml e la sufficienza (IV) per livelli ≥30 ng/ml. La MET-s è stata definita in accordo con i criteri proposti da IDF-AHA/NHLBI. I sottogruppi di vit-D erano omogenei per età, sesso, attività fisica e abitudine tabagica. È emersa una relazione negativa tra BMI e [25(OH)D] (p=0.001) e tra circonferenza addominale e [25(OH)D] (p=0.047). I valori medi della glicemia a digiuno e la prevalenza di diabete mellito (DM2) e di insulinoresistenza erano significativamente superiori nei gruppi I e II vs III. I livelli medi della [25(OH)D] erano inferiori nei pazienti con MET-s (p=0.03). Il numero di parametri della MET-s era maggiore in presenza di livelli di [25(OH)D] <20 vs ≥20 ng/ml, con una forte correlazione con ipertensione arteriosa (p=0.02) e iperglicemia (p=0.0003). L’analisi dell’OR ha confermato un rischio aumentato di MET-s, ipertensione e iperglicemia per valori di [25(OH)D] <20 vs ≥20 ng/ml. Nei pazienti con obesità viscerale, la stretta associazione tra vit-D e MET-s, in particolare con il profilo glicemico, suggerisce che la carenza di vit-D potrebbe contribuire allo sviluppo della MET-s.

 

 

Topic: Clinica

 

 

IL COUNTING DEI CHO APPLICATO A PAZIENTI CON DIABETE TIPO 2 INSULINO TRATTATI. FOLLOW-UP A 3 ANNI

E. Carrai, V. Magri, S. Di Lembo, P. Ruggeri

U.O. Centro Diabetologico, Azienda Istituti Ospitalieri di Cremona

 

Premessa: l’educazione alimentare rappresenta un elemento basilare nella terapia del diabete tipo 2 insulino trattato. La tecnica del counting dei CHO può essere applicata a pazienti diabetici tipo 2 insulino trattati che siano motivati nell’apprendimento della metodica e interessati a praticarla. Attualmente questa pratica è poco diffusa su questa tipologia di pazienti.

Scopo: valutare gli effetti di un programma di counting dei CHO su un campione di pazienti diabetici tipo 2 monitorando emoglobina glicata (HbA1c), BMI (body mass index) e unità insulina giornaliere al termine del percorso e rispettivamente dopo 3, 6 mesi e dopo 1 e 3 anni dal termine del percorso.

Metodi e Pazienti: nel 2011 sono stati arruolati, terminando il percorso del counting dei CHO, 55 pazienti ambulatoriali con diabete tipo 2, in terapia con basal bolus, di cui 44 uomini e 11 donne, età media 65,5 anni (range 47±75), durata media di malattia 17,7 anni. Il campione presentava un BMI medio all’ingresso di 26,3 kg/m2 e una HbA1c media di 8,1%. Nell’arco di 3 mesi tutti i pazienti hanno effettuato 6 colloqui individuali e 2 incontri educativi di gruppo con la Dietista, seguendo un percorso strutturato, lavorando con diari alimentari e sussidi vari. Hanno così appreso la tecnica del conteggio dei carboidrati. Al termine del percorso i pazienti mantenevano i controlli ambulatoriali ogni 4 mesi per la valutazione del compenso metabolico e in occasione venivano valutati anche i diari alimentari verificando i rapporti i/cho e il fattore di sensibilità.

Risultati: i risultati, dopo l’intervento educativo, mostrano una riduzione statisticamente significativa dell’emoglobina glicata (8,1±1,1 vs 7,2±0,8; p<0,0000000001). Tale differenza rimane significativa dopo 3 mesi dal termine (8,1±1,1 vs 7,2±0,7; p<0,000000001), dopo 6 mesi (8,1±1,1 vs 7,3±0,7; p<0,0000001) e anche dopo 1 anno (8,1±1,1 vs 7,4±0,7; p<0,00000013) e 3 anni dal termine del percorso (8,1±1,1 vs 7,4±0,7; p<0,00000017). È stata rilevata differenza statisticamente significativa nella riduzione di BMI al termine del percorso. È stata rilevata invece una differenza significativa nell’incremento del BMI dopo 1 anno (26,4±3,7 vs 26,9±3,9; p<0,0018) e 3 anni dal termine del percorso (26,4±3,7 vs 26,9±4,0; p<0,03). È emersa infine una riduzione statisticamente significativa delle unità di insulina medie giornaliere utilizzate (46,5±21,6 vs 42,8±21,7; p<0,0002). Tale differenza rimane significativa anche dopo 1 anno (46,5±21,6 vs 41,1±20,3; p<0,0004) e dopo 3 anni dal termine del percorso (46,5±21,7 vs 41,4±21,5; p<0,0003).

Conclusioni: nei pazienti diabetici di tipo 2 la tecnica del counting dei carboidrati permette un miglioramento dei parametri metabolici con riduzione dell’emoglobina glicata ed una riduzione delle unità di insulina medie utilizzate. Dopo il miglioramento iniziale dei parametri metabolici non si è registrato un ulteriore miglioramento della glicata dopo 1 e 3 anni.  Potrebbe essere necessario effettuare un nuovo percorso strutturato di consolidamento qualora il grado di compenso non sia ottimale.

 

INSULIN AUTOIMMUNE SYNDROME: 2 CASI MOLTO DIVERSI

A. Corsi, S. Cassibba, C. Scaranna, A.R. Dodesini, G. Lepore, R. Trevisan

USC Malattie Endocrine e Diabetologia, AO Papa Giovanni XXIII, Bergamo

 

L’ipoglicemia autoimmune è una causa rara di ipoglicemia nella popolazione non asiatica. Riportiamo caratteristiche cliniche, biochimiche ed esiti clinici di due pazienti caucasici.

Caso 1: uomo di 50 anni, ricoverato per coma ipoglicemico, iperinsulinemia (80 mcU/ml) e C-peptide elevato (15 ng/ml). Anche se le indagini (RM, PET, ecografia endoscopica) erano negative, la risposta positiva al diazossido (50 mg x 3/die) poteva suggerire la presenza di un microinsulinoma (nesidioblastosi?). Il titolo elevato di anticorpi anti-insulina (AIAA=70 UA, vn<5) ed il trattamento prolungato con acido alfa-lipoico (per discopatia L4-L5) hanno suggerito la diagnosi di S. da anticorpi anti-insulina. Dopo 2 mesi di sospensione di ac. alfa-lipoico (e diazossido), il paziente mostrava riduzione dell’insulinemia e del titolo AIAA con scomparsa delle ipoglicemie.

Caso 2: donna di 66 anni, ricoverata per coma ipoglicemico, insulinemia a digiuno (>1500 mcU/ml) e C-peptide (27 ng/ml) elevati. Nel sospetto di insulinoma, veniva trattata con diazossido senza successo. Il monitoraggio CGM confermava le ipoglicemie, soprattutto notturne, con picchi iperglicemici post pasto. Veniva esclusa la presenza di un insulinoma mediante TC, ecoendoscopia, PET con 68Ga-DOTATOC. La presenza di AIAA elevati (>660 UA) e la tipizzazione HLADRB*0403 hanno condotto alla diagnosi di ipoglicemia autoimmune. Iniziata terapia con prednisone (50 mg/die) ed acarbose con rapida scomparsa delle ipoglicemie; a 3 mesi i valori di insulinemia e di AIAA rimanevano tuttavia elevati ma il prednisone veniva ridotto a 12.5 mg/die senza ricomparsa di ipoglicemie.

Conclusioni: le forme di ipoglicemia autoimmune non sono comuni ma andrebbero considerate in tutti i casi di insulina elevata non soppressa (e C-peptide elevato ma inadeguato rispetto all’insulina) e concomitante presenza di AIAA. Un’accurata anamnesi clinico-farmacologica e la presenza di HDA-DRB1*0403 o HDA-DRB1*0406 costituiscono un valido supporto alla diagnosi.

 

 

EFFICACIA DEL COUNTING DEI CARBOIDRATI SUL COMPENSO GLICOMETABOLICO E SUL MIGLIORAMENTO DELLO STILE ALIMENTARE IN SOGGETTI AFFETTI DA DIABETE MELLITO TIPO 1

M. Smiraglia, V. Grancini, M.E. Lunati, E. Palmieri, V. Resi, E. Orsi

UO Endocrinologia e Malattie Metaboliche, Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, Dipartimento di Scienze Mediche, Università degli Studi di Milano

 

Introduzione: il counting dei carboidrati (cho-counting) rappresenta l’approccio nutrizionale più efficace nel DM1

nell’ottimizzare al meglio la terapia insulinica sulla base dell’intake dei cho. Tuttavia il raggiungimento di un’aumentata flessibilità alimentare può portare ad aumento del peso corporeo e ad un peggioramento dello stile alimentare.

Scopo: valutare le variazioni sul compenso glicometabolico e lipidico, sul peso corporeo e sullo stile alimentare in soggetti con DM1 che effettuano il cho-counting rispetto ad un gruppo di controllo in un periodo di 6 mesi.

Metodi: 36 soggetti con DM1 14M/22F, età 39,8±9,3, randomizzati in due gruppi: uno di intervento (n=22), che ha seguito il percorso del cho-counting, e uno di controllo (n=14), non educato a tale metodica. Le valutazioni biochimiche sono espresse in termini di variazione di HbA1c e profilo lipidico, le variazioni dello stile alimentare sono state ottenute attraverso l’analisi dei diari con il software di dietetica WinFood e l’andamento dei profili glicemici è stato ricavato dallo scarico dati dei glucometri AccuChek Aviva Expert (Roche).

Risultati: nel gruppo di intervento si osserva una riduzione significativa dell’HbA1c rispetto al gruppo di controllo (-0,86% vs +0,28%, p<0,01) accompagnata da una riduzione non significativa del fabbisogno insulinico giornaliero e dal mantenimento del peso corporeo iniziale. Si evidenzia una riduzione della colesterolemia (-4,78mg/dL vs +16,83mg/dL, p=0,05) e una tendenza all’aumento dell’HDL e alla riduzione dei trigliceridi plasmatici. Dall’analisi nutrizionale invece si evidenzia una riduzione dell’intake di proteine animali, lipidi totali, acidi grassi saturi e un aumento dell’intake di proteine vegetali e acidi grassi mono e polinsaturi. L’analisi dei profili glicemici evidenzia un aumento del numero dei controlli glicemici giornalieri e una riduzione dei valori glicemici medi pre e post prandiali, sebbene questi dati non raggiungano la significatività statistica.

Conclusioni: il cho-counting si dimostra efficace nel raggiungimento di un miglior controllo glicometabolico e lipidico, di una maggiore flessibilità alimentare che non si accompagna ad un aumento del peso corporeo ma risulta caratterizzata da un miglioramento qualitativo dello stile alimentare.

 

 

PROGETTO NATHCARE (NETWORKING ALPINE HEALTH FOR CONTINUITY OF CARE): CONCLUSIONE DELL’ESPERIENZA BERGAMASCA NELLA GESTIONE DEL DIABETE MELLITO TIPO 2

V. De Mori1, G. Buonaiuto1, M. Jazzetti2, M. Faconti2, C. Mascaretti2, M. Mazzoleni2, G. Fumagalli1, G. Meroni1, A. Zucchi2, G. Barbaglio2, N. Allegretti3, R. Zuffada3, A.C. Bossi1, Treviglio-Bergamo & LISPA-Regione Lombardia NATHCARE Team

1A.O. Treviglio; 2ASL Bergamo; 3LISPA-Regione Lombardia

 

Introduzione: NATHCARE, evoluzione dell’esperienza europea di telemedicina del progetto ALIAS, cofinanziato dal Programma Europeo Spazio Alpino, vuole definire e validare un modello di cura basato sul concetto di “comunità locale” in ambito di continuità assistenziale e integrazione ospedale-territorio nella gestione delle malattie croniche. Regione Lombardia, capofila del progetto, coordina 11 enti localizzati in 6 Nazioni dell’arco alpino.

Scopo: realizzare una visione integrata dell’assistenza sanitaria centrata sul paziente ed offrire un modello organizzativo per ottimizzare l’accesso e la continuità di cura attraverso l’integrazione delle cure primarie, la gestione della conoscenza delle competenze professionali e il patient empowerment.

Pazienti e Metodi: sono stati individuati dai Medici di Assistenza Primaria (MAP) 35 soggetti, affetti da DMT2 (cronicità selezionata dalla Provincia di Bergamo) seguiti secondo il protocollo di Gestione Integrata registrando, al basale ed ai follow-up (quello conclusivo dopo 13 ±2 mesi): dati antropometrici, compenso glicemico, profilo lipidico, microalbuminuria e valori pressori. È stato anche sviluppato un sistema informatico di teleconsulto (TLCO).

Risultati: 27 pazienti hanno firmato il consenso informato (M=18, F=9; durata di DMT2 8,4 ±7,5 anni; BMI 27 ±4 Kg/m²). 4 soggetti erano trattati con terapia dietetica, 23 con antidiabetici orali. Il confronto tra dati basali e conclusivi indica stabilità dei valori medi nella popolazione studiata: HbA1c 6,6±0,7% vs 6,5±0,5%; microalbuminuria 10,2±14,7mg/dl vs 12,6± 15mg/dl; colesterolo totale 187±31mg/dl vs 176±28mg/dl; HDL 52±13mg/dl vs 52±10mg/dl; LDL 110±25mg/dl vs 104 ±24mg/dl; trigliceridi 121±40mg/dl vs 109±59mg/dl (tutti p=ns). 2 pazienti presentavano in anamnesi MACE. 4 soggetti hanno evidenziato, al follow-up, la comparsa di complicanze legate al DMT2. A 8 pazienti, di cui 4 per un peggioramento del compenso metabolico, è stata modificata la terapia.

Conclusioni: NATHCARE offre la possibilità di una maggior collaborazione tra territorio e ospedale; lo strumento del TLCO favorisce decisioni diagnostico-terapeutiche gestibili dai MAP, riducendo il numero di accessi in ambulatorio specialistico e favorendo il mantenimento della stabilità delle condizioni cliniche del paziente.

 

 

INTERVENTO EDUCAZIONALE PER LA RIDUZIONE DEL RISCHIO DI SVILUPPARE DIABETE MELLITO TIPO 2 RILEVATO CON L’ALGORITMO FINNISH DIABETES RISK SCORE (FINDRISC) IN POPOLAZIONE CON PREGRESSO DIABETE GESTAZIONALE

V. De Mori1, G. Meregalli2 A. Balini2, D. Berzi2, R. Carpinteri2, F. Forloni2, R. Manenti1, E. Menegola1, A.C. Bossi2

1Biologia applicata alle scienze della nutrizione, Università degli Studi di Milano; 2U.O. Malattie Metaboliche e Diabetologia, A.O. Treviglio

 

Introduzione: un miglioramento dello stile di vita e delle abitudini alimentari può portare a una diminuzione del rischio di sviluppare diabete mellito tipo 2 (DMT2). Il FINDRISC rappresenta un semplice strumento per identificare soggetti con alto rischio di sviluppare tale alterazione metabolica nei 10 anni successivi.

Scopo: modificare il rischio di sviluppo di DMT2, quantificato con il FINDRISC, in una popolazione di donne con pregresso diabete gestazionale (GDM), mediante un intervento educazionale personalizzato.

Pazienti e Metodi: è stato disegnato uno studio di intervento di educazione alimentare, reclutando donne con GDM diagnosticato tra il 2007 e il 2011 (tempo di follow-up medio 5±1,4 anni) seguite presso l’UO Malattie Metaboliche e Diabetologia dell’AO Treviglio. L’intervento si è articolato in 3 incontri, a distanza di 3 mesi, finalizzati al miglioramento dello stile di vita e delle abitudini alimentari, grazie a momenti di educazione personale in cui venivano illustrati i principi di un corretto stile di vita e di una sana alimentazione, utilizzando il gioco educativo “So cosa mangio?”. Ad ogni visita sono state registrate le misure antropometriche (peso, altezza, BMI, circonferenza vita e fianchi), sono stati raccolti i dati anamnestici ed ematochimici, compilando anche il questionario FINDRISC.

Risultati: 88 donne hanno aderito al protocollo: età 39 ±5 anni (media ±DS), BMI 26,7±5,3 Kg/m², circonferenza vita 97,5±10 cm. Il 71,5% presentava familiarità per DMT2; il 5,7% faceva uso di farmaci antiipertensivi. Durante le 3 visite si è avuto un significativo miglioramento dei fattori di rischio modificabili: è aumentata la percentuale di donne che praticava attività fisica almeno 2 volte a settimana (16% vs 36,2% vs 49%); si è osservato un incremento del consumo quotidiano di frutta e verdura (43,2% vs 74,2 % vs 81,7 %), rilevando una riduzione del BMI (26,7 vs 28,9 vs 25,8 Kg/m²). Pertanto il rischio di sviluppare DMT2 secondo il FINDRISC ha avuto una riduzione statisticamente significativa passando progressivamente da 49,9% a 39,7% quindi a 36,5% (p<0,05).

Conclusioni: si conferma l’opportunità di implementare interventi educazionali volti al miglioramento dello stile di vita e delle abitudini alimentari quali strumenti fondamentali per ottenere una riduzione del rischio di sviluppare DMT2.

 

 

AVVIO DI UN INTERVENTO PSICOEDUCAZIONALE NEI REPARTI OSPEDALIERI ATTRAVERSO L’USO DELLE CONVERSATION MAPS: UNO STUDIO PILOTA

R. Dagani1,P.Aliprandi2, D. Carugo1, A. Schiatti1,M.R. Monaco3, A. Romanazzi4, S. Bruno4, A. Tomasich4

1Ambulatorio Diabetologia P.O. di Rho; 2Resp. UOC Medicina; 3Resp. UOC Psicologia Clinica; 4Psicologhe Psicologia Clinica

 

All’interno dell’ambulatorio di Diabetologia del P.O. di Rho è strutturato, da diversi anni, un intervento multidisciplinare, mirato ad accogliere e prendere in carico i pazienti con nuova diagnosi di diabete. Ciò prevede la presenza costante della psicologa, accanto al medico e alle infermiere. La letteratura scientifica dimostra, infatti, l’efficacia di un trattamento precoce e articolato, che aiuti i pazienti ad assumere responsabilmente la cura della patologia. Attualmente, è stato avviato un nuovo progetto che prevede interventi psicoeducazionali con pazienti segnalati dai reparti ospedalieri per esordio della malattia diabetica. Dopo la visita specialistica, vengono effettuati degli incontri individuali con la psicologa e l’infermiera per fornire al paziente una adeguata informazione sulla patologia attraverso l’uso delle Conversation Maps specifiche per interventi individuali. Inoltre, si sono organizzati dei gruppi informativi all’interno dei reparti riabilitativi (cardiologia e pneumologia) con pazienti diabetici non sempre seguiti in specifiche strutture.

Ad oggi hanno preso parte al progetto 30 pazienti e i primi riscontri indicano la buona efficacia di interventi così mirati, al fine di favorire da subito una buona compliance nei pazienti.

 

 

Topic: Terapia

 

 

EFFETTI DI OLMESARTAN IN COMBINAZIONE CON AmlodipinA SU ALCUNI PARAMETRI DI STRESS OSSIDATIVO RISPETTO ALLE SINGOLE MONOTERAPIE: STUDIO RANDOMIZZATO, CONTROLLATO IN PAZIENTI CON DIABETE MELLITO DI TIPO 2

G. Derosa1,2,3,A.Mugellini1,R.M.Pesce1,A.D’Angelo1,3,P.Maffioli1,4

1Dipartimento di Medicina Interna e Terapia Medica, Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo, Università di Pavia; 2Centro di Studio e Ricerche di Fisiopatologia e Clinica Endocrino-Metabolica, Università di Pavia; 3Laboratorio di Medicina Molecolare,Università di Pavia; 4Scuola di Dottorato in Medicina Sperimentale, Università di Pavia

 

Obiettivo: valutare gli effetti di una combinazione fissa di olmesartan/amlodipina rispetto ad olmesartan o ad amlodipina in monoterapia su alcuni parametri indicativi di danno endoteliale e di stress ossidativo nei pazienti con ipertensione e diabete mellito di tipo 2.

Metodi: sono stati arruolati 221 pazienti; 74 sono stati randomizzati ad assumere olmesartan 20 mg, 72 ad assumere amlodipina 10 mg e 75 ad assumere olmesartan/amlodipina in combinazione fissa 20/5 mg per 12 mesi. Sono stati valutati i valori pressori a cadenza mensile; inoltre, al basale, a 6 e a 12 mesi, sono stati effettuati dei prelievi ematici per valutare: la lipoproteina (a) [Lp (a)], la mieloperossidasi (MPO), gli isoprostani e la paraoxonasi (PON-1).

Risultati: i valori pressori ottenuti con la combinazione fissa olmesartan/amlodipina sono risultati significativamente inferiori a quelli raggiunti con le singole monoterapie. Si è verificata una riduzione dei livelli di Lp (a) e isoprostani con la combinazione fissa olmesartan/amlodipina, sia rispetto al basale sia rispetto alle singole monoterapie. Inoltre, c’è stato un aumento di PON-1 con la combinazione fissa olmesartan/amlodipina sia rispetto al basale sia rispetto ai singoli farmaci; nessuna variazione è stata osservata con le singole monoterapie. Tutti i trattamenti hanno ridotto i livelli di MPO rispetto al basale; tuttavia, nel confronto tra gruppi, la riduzione di MPO è stata maggiore con la combinazione fissa olmesartan/amlodipina.

Conclusioni: la combinazione fissa di olmesartan/amlodipina è risultata più efficace delle singole monoterapie nel ridurre i parametri di stress ossidativo, soprattutto nell’aumentare i livelli di PON-1 e nel ridurre i livelli di isoprostani nei pazienti diabetici e ipertesi.

 

 

EFFETTI DI LINAGLIPTIN O REPAGLINIDE SUL CONTROLLO GLICEMICO E LA VARIABILITÀ GLICEMICA NEI PAZIENTI CON DIABETE MELLITO DI TIPO 2 E INSUFFICIENZA RENALE CRONICA

G. Derosa1,2,3, P.D. Ragonesi4, F. Querci5, A. Carbone6, A. D’Angelo1,3, P. Maffioli1,7

1Dipartimento di Medicina Interna e Terapia Medica, Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo, Università di Pavia; 2Centro di Studio e Ricerche di Fisiopatologia e Clinica Endocrino-Metabolica, Università di Pavia; 3Laboratorio di Medicina Molecolare,Università di Pavia; 4Unità di Diabetologia, Ospedale San Carlo di Milano; 5Ospedale Pesenti Fenaroli, Alzano Lombardo, Bergamo; 6Centro di Diabetologia, Sant’Angelo Lodigiano, Lodi; 7Scuola di Dottorato in Medicina Sperimentale, Università di Pavia

 

Obiettivi: valutare gli effetti di linagliptin o repaglinide in aggiunta a metformina in pazienti con diabete mellito di tipo 2 e malattia renale cronica lieve.

Materiali e Metodi: sono stati arruolati 85 pazienti con malattia renale cronica lieve (eGFR>30 ml/min e<60 ml/min) e diabete mellito di tipo 2, non ben controllato dalla dieta e dall’attività fisica. Durante i primi tre mesi i pazienti sono stati istruiti ad assumere metformina, 850 mg due volte al giorno, dopodiché i soggetti sono stati randomizzati ad assumere anche linagliptin, 2,5 mg due volte al giorno, o repaglinide, 0,5 mg due volte al giorno, per altri tre mesi. Al basale, e dopo tre e sei mesi, sono stati valutati: il controllo glico-metabolico, il profilo lipidico, l’insulinemia a digiuno (FPI), l’indice HOMA. Inoltre, alla fine di ogni trimestre, abbiamo valutato la variazione delle escursioni glicemiche utilizzando un sistema di monitoraggio in continuo della glicemia (CGMS), in particolare iPro Digital Recorder (Medtronic MiniMed, Northridge, CA) per una settimana. Il controllo glicemico è stato stimato come la glicemia media (MBG), l’area sotto la curva della glicemia inferiore a 70 mg/dl (AUC<70) o superiore a 180 mg/dl (AUC>180), e la percentuale di tempo trascorso con glicemia inferiore a 70 mg/dl (t<70) o superiore a 180 mg/dl (t>180). La variabilità glicemica intragiornaliera è stata valutata come la deviazione standard (SD) e l’ampiezza media delle escursioni glicemiche (MAGE). La variabilità glicemica da un giorno all’altro, invece, è stata valutata come media della differenza assoluta tra valori glicemici rilevati su due giorni consecutivi nello stesso periodo (MODD).

Risultati: linagliptin e repaglinide hanno portato ad una simile riduzione del valore di emoglobina glicata. L’insulinemia a digiuno e l’indice HOMA sono risultati aumentati con repaglinide rispetto a linagliptin, che non li ha modificati. Per quanto riguarda le escursioni glicemiche, la SD è risultata inferiore con linagliptin rispetto a repaglinide. L’AUC<70 e l’AUC>180 sono risultati più bassi con linagliptin, rispetto a repaglinide. Inoltre, il valore MAGE è risultato inferiore con linagliptin rispetto a repaglinide. Il valore MODD non è stato significativamente modificato in nessuno dei due gruppi. Durante lo studio non è stato registrato alcun significativo peggioramento di eGFR in nessuno dei due gruppi.

Conclusioni: sia linagliptin che repaglinide sono risultati efficaci nel migliorare il controllo glicemico nei pazienti con insufficienza renale cronica lieve e diabete mellito di tipo 2. Linagliptin, tuttavia, sembra essere più efficace di repaglinide nel ridurre le escursioni glicemiche e l’incidenza di ipoglicemia.

 

LIRAGLUTIDE NELLA PRATICA CLINICA: ESPERIENZA A 36 MESI

A. Rossi1*,M. Rondinelli2*, F. Saponaro3,A. Gandolfi2,4, L. Montefusco1, C. Molinari2,4, G. Adda1, L. Bucciarelli2, C. Specchia5, M. Arosio1,3, S. Genovese2

1UO di Malattie Endocrine e Diabetologia, Ospedale S. Giuseppe, Gruppo Multimedica; 2UO di Diabetologia, Endocrinologia e Malattie Metaboliche IRCCS Multimedica; 3Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Università degli Studi di Milano; 4UO di Medicina Generale, Diabetologia ed Endocrinologia, Università Vita e Salute San Raffaele; 5Unità di Biostatistica, IRCCS Multimedica

* I due autori hanno contribuito in modo uguale al lavoro

 

Premessa: negli studi clinici randomizzati liraglutide, un analogo del GLP-1, ha dimostrato di ridurre l’emoglobina glicata ed il peso e di essere ben tollerata.

Scopo: valutare efficacia e tollerabilità di liraglutide nella pratica clinica.

Pazienti e Metodi: sono stati arruolati 261 pazienti consecutivi (133 maschi e 128 femmine) trattati con liraglutide dal 2010 al 2014. L’età media al basale era 59.8 anni ed i valori medi di HbA1c e BMI erano rispettivamente 8.6% e 34.3 kg/m2. Il 41% dei pazienti era in terapia con farmaci a basso rischio ipoglicemico (metformina e/o pioglitazone), il 33% assumeva sulfaniluree, il 26% insulina. Le variazioni nel tempo dei parametri clinici e la loro associazione con le caratteristiche dei pazienti sono state analizzate con T-test per dati appaiati e modello di regressione lineare.

Risultati: a 12 mesi dall’inizio del trattamento si è osservata una riduzione significativa di HbA1c (-0.9%, p<0.0001), glicemia a digiuno (-31.7 mg/dl, p<0.0001), peso (-3.6 kg, p<0.0001) e BMI (-1.4 kg/m2, p<0.0001). L’efficacia persisteva sia a 24 che a 36 mesi (HbA1c -0.6%, p<0.0001, glicemia -29.8 mg/dl, p=0.002, peso -2.1 kg, p=0.004, BMI -0.8 kg/m2). Valori elevati di HbA1c al basale sono risultati significativamente associati (p<0.0001) ad una maggiore diminuzione di HbA1c in tutti in tempi analizzati. La percentuale di pazienti a target dopo 36 mesi (definito come HbA1c<7%) era significativamente maggiore (p<0,0045) in quelli trattati con metformina e/o pioglitazone al basale rispetto a quelli trattati con sulfonilurea o insulina. La riduzione della HbA1c non è risultata associata alla riduzione del peso corporeo. Tra i pazienti nei quali l’introduzione di liraglutide ha permesso la sospensione di terapie ad elevato rischio di ipoglicemia (51 su 150) la percentuale di quelli che hanno raggiunto il target era del 38% a 24 mesi e del 14% a 36 mesi. Al termine del periodo di osservazione il 47.5% dei pazienti era ancora in terapia con liraglutide; le principali cause di interruzione sono state il fallimento terapeutico (15%) e intolleranza al farmaco (12,6%).

Conclusioni: Liraglutide nella pratica clinica risulta un farmaco efficace e ben tollerato in un follow-up di 3 anni.

 

EFFETTI DI UNA SUPPLEMENTAZIONE CON N-3 PUFAs SUI LIVELLI DI GLICEMIA A DIGIUNO E SUGLI INDICI DI INSULINO-RESISTENZA IN SOGGETTI CON ALTERATA GLICEMIA A DIGIUNO O RIDOTTA TOLLERANZA AGLI IDRATI DI CARBONIO

G.Derosa1,2,3,A.F.G. Cicero4, D. Romano1, A. D’Angelo1,3, P. Maffioli1,5

1Dipartimento di Medicina Interna e Terapia Medica, Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo, Università di Pavia; 2Centro di Studio e Ricerche di Fisiopatologia e Clinica Endocrino-Metabolica, Università di Pavia; 3Laboratorio di Medicina Molecolare,Università di Pavia; 4Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Università di Bologna; 5Scuola di Dottorato in Medicina Sperimentale, Università di Pavia

 

Obiettivo: scopo dello studio è valutare se una supplementazione con n-3 PUFAs a dosi elevate possa dare una regressione della condizione di disglicemia e quantificare gli effetti della supplementazione con n-3 PUFAs sui valori di insulinemia a digiuno (FPI) e dell’indice HOMA di resistenza all’insulina.

Metodi: sono stati arruolati 281 pazienti con alterata glicemia a digiuno (IFG) o ridotta tolleranza agli idrati di carbonio (IGT); 138 (49.11%) soggetti sono stati randomizzati ad assumere n-3 PUFAs, 1 g tre volte al giorno, e 143 (50.89%) ad assumere placebo per 18 mesi. Al basale, e dopo 9 e 18 mesi sono stati valutati i seguenti parametri: circonferenza vita, addome e fianchi, indice di massa corporea (BMI), glicemia a digiuno (FPG), FPI, indice HOMA, profilo lipidico. Inoltre, al basale e alla fine dello studio, tutti i pazienti sono stati sottoposti ad una curva da carico (OGTT) con 75 g di glucosio.

Risultati: si è verificata una diminuzione della glicemia e dell’indice HOMA con n-3 PUFAs, sia rispetto al basale, sia rispetto a placebo. L’insulinemia a digiuno è diminuita con n-3 PUFA, ed è aumentata con placebo. Il valore di colesterolo HDL è aumentato dopo 18 mesi di n-3 PUFAs, mentre quello dei trigliceridi è diminuito sia rispetto al basale sia rispetto a placebo. Dopo l’OGTT eseguita al termine dello studio, un maggior numero di pazienti è tornato ad una condizione di euglicemia nel gruppo trattato con n-3 PUFAs rispetto a placebo.

Conclusioni: il trattamento con n-3 PUFAs è risultato efficace nel ridurre la glicemia in pazienti affetti da IFG o IGT e sembra essere utile per rallentare lo sviluppo del diabete mellito di tipo 2.

 

EFFETTO DI INSULINA DEGLUDEC SUGLI INDICI DI VARIABILITÀ GLICEMICA IN UNA POPOLAZIONE DI SOGGETTI CON DIABETE TIPO 1 IN UN FOLLOW-UP A BREVE TERMINE

S. Bonfadini, E. Zarra, B. Agosti, L. Rocca, A. Girelli, A. Cimino, U. Valentini

U.O. Diabetologia, Azienda Ospedaliera Spedali Civili di Brescia

Degludec presenta rispetto alle altre insuline basali una maggior emivita e flessibilità e una ridotta incidenza di ipoglicemie notturne. La sua maggior stabilità dovrebbe riflettersi in una ridotta variabilità glicemica.

Scopo: osservazione restrospettiva dell’effetto di degludec sugli indici di variabilità glicemica in soggetti con DM1.

Materiali e Metodi: pazienti con DM1 nei quali, per indicazione clinica, si è reso necessario il passaggio a degludec. I dati sono stati estrapolati dalla cartella informatizzata. I parametri di variabilità glicemica valutati (FPG media, DS, HBGI e LBGI) sono stati ottenuti dallo scarico dati dell’autocontrollo glicemico mediante piattaforma MyStar Connect (basale e follow-up). Riportiamo i dati dei pazienti che, dopo lo switch a degludec, hanno eseguito almeno una rivalutazione con esami e scarico dati (11/2014-06/ 2015). Abbiamo arbitrariamente considerato come ipoglicemie significative glicemie <50mg/dl registrate negli ultimi 3 mesi.

Tabella 1: caratteristiche al basale della popolazione

 

Sesso (M/F)  23/27 (46%/54%)  Glargine unidie (n°pz/%)  39/50 (78%)
Età media (anni)  41±14  Glargine bid (n°pz/%)  8/20 (16%)
BMI (kg/m2)  24,8±4  Dose media glargine (UI/die)  23
Presenza di ipoglicemie significative (n°pz/%)  12/50 (24%)  Detemir unidie (n°pz/%)  1/50 (2%)
Dose media analogo rapido (UI/die)  22,7  Detemir bid (n°pz/%)  2/50 (4%)
Terapia con metformina (n°pz/%)  7/50 (14%)  Dose media detemir (UI/die)  18

 

Tabella 2

 

Parametri  Basale  Follow-up  p-value
 HbA1c ( %)  8,4±1,2  8,15±1  0,02
 FPG media (mg/dl)  188±61,7  157±56 <0,01
 DS(mg/dl)  74±17,4  64±20  0,08
 HBGI  13,5  8,2  0,06
 LBGI  1,8  2,1  0,49
 Presenza di ipoglicemie significative (n° pz/%)  12/50 (24%)  4/50 (8%)  0.01
 Dose degludec (UI/die)  23  22,4  0.29
 Dose analogo rapido (UI/die)  22,7  22,2  0.56

 

Risultati: al follow-up (media 16±8W) si è osservata una riduzione significativa della HbA1c (p=0,02), della FPG media (p<0,01) e dei pazienti con ipoglicemie significative (p=0.01). L’indice LBGI non si è modificato; HBGI e DS sono risultati ridotti senza raggiungere la significatività (p=0.06,p=0.08). Vi è correlazione lineare fra ΔHbA1c/ΔFPG (p=0,02). Non si sono registrate variazioni nel fabbisogno insulinico basale e totale (Tabella 2).

Conclusioni: nella nostra popolazione insulina degludec ha determinato una riduzione significativa della HbA1c, dell’FPG media e delle ipoglicemie significative. È necessario l’ampliamento della statistica e l’estensione del follow-up di osservazione.

 

PERCEZIONE DELLA TERAPIA E QUALITÀ DI VITA DEI PAZIENTI INSULINO-TRATTATI

P. Desenzani1, C. Mascadri1, B. Bonzi1, M.C. Tusi1, T. Scalvini1,G. Ragni2, I. Mangone3, R. Roncoroni3, A. Belviso4,S.Casati5,S.Rovelli6,B.Stara7,A.Militano8,G.Manzoni9

1U.O.S. Diabetologia, U.O.C. Medicina Generale, P.O. Montichiari, Azienda Spedali Civili di Brescia; 2Amb. di Diabetologia, UOC Medicina Generale, P.O. Gardone V.T., Azienda Spedali Civili di Brescia; 3Amb. di Diabetologia Vimercate 1 e 2, A.O. di Desio e Vimercate; 4Amb. di Diabetologia di Brembate di Sopra, A.O. Treviglio; 5Amb. di Diabetologia, P.O. di Cantù, 6Diabetologia, Ospedale Moriggia Pelascini di Gravedona; 7Poliambulatorio di Corsico, ASL Milano 1; 8U.O. di Medicina Interna, Presidio Ospedaliero S. Chiara, Trento; 9Policlinico di Monza

Abbiamo considerato 112 pazienti affetti da diabete mellito tipo 2 (durata media di malattia di 15,2), afferenti a diversi Servizi di Diabetologia del Nord Italia, scompensati (HbA1c media 8,9%), in terapia sia con ipo orali che con ipo + insulina che solo insulina in cui veniva iniziata e/o ottimizzata la terapia insulinica al fine di migliorare il compenso glicemico. Al tempo T0 (basale) ed al T2 (dopo 6 mesi) veniva somministrato ai pazienti il questionario ITSQ (questionario validato sulla soddisfazione relativa al trattamento insulinico comprendente 22 ITEMS). Scopo dello studio è stato quindi quello di valutare in che modo l’inizio e/o l’ottimizzazione della terapia insulinica incida sulla qualità della vita dei pazienti. In condizioni basali le caratteristiche dei pazienti erano le seguenti: 60 pazienti utilizzavano solo ipo orali, 34 ipo orali + insulina, e altri 14 solo insulina. I pazienti al baseline pesavano in media 73,7 Kg±15,6, corrispondenti a un BMI di 27,1±5,7. Per i pazienti in terapia insulinica la dose media giornaliera dell’analogo basale era di 15,5±8,3 U e la dose media di analogo rapido dell’Insulina, in maggioranza associato all’analogo basale era 17,7 U±14,5. Per 15 soggetti (14% circa) erano riportati episodi di ipoglicemia non severa. Al follow-up (T2 dopo 26 settimane) il valore medio di HbA1c era 7,9% ±0,91. Il peso dei pazienti al FU è in media di 74 Kg ±15,6 corrispondenti a un BMI di 27,2 (±5,6). Al T2 la dose media giornaliera dell’analogo basale era di 18,2±9,8 U e la dose media di analogo rapido dell’Insulina, in maggioranza associato all’analogo basale era 21,5 U±14,2. Le ipoglicemie non severe sono state, come numero totale, 40 e i soggetti colpiti erano 13, corrispondenti al 18% circa dei casi. Alla risposta alla domanda 1 (“quanto le dà fastidio assumere tutti i dosaggi giornalieri di insulina prescritta?”), al follow-up, la maggioranza dei pazienti (92 vs 16) riportava un miglioramento di questo parametro (cioè il voto espresso era più basso rispetto al T0, considerando che il valore “1” significa “non mi dà per niente fastidio” e “7” vuol dire “mi dà un fastidio tremendo”). I pazienti che hanno avuto un miglioramento più marcato del controllo glicemico (HbA1c -1,12%) appartenevano al gruppo (92 soggetti) che dichiarava di tollerare meglio l’assunzione delle dosi di insulina nel modo prescritto, mentre i 16 soggetti che ritenevano fastidioso assumere l’insulina agli orari prescritti dimostravano un miglioramento più contenuto (-0,67%). Al T0, alla domanda n. 7 (“quanto è sicuro di poter evitare i sintomi dovuti a un basso livello di zuccheri nel sangue con il trattamento che segue?”) 36 pazienti hanno risposto con valori di “6” o “7” (equivalenti a “per nulla sicuro”), 73 con “4” o “5” (equivalenti a “mediamente sicuro”), e pochissimi (3) con “2” o “3” (“estremamente sicuro”). I più pessimisti (risposte “6” e “7”) sono ingrassati al follow-up fra 0,8 e 1 Kg, mentre i moderati (“4” e “5”) non hanno mostrato variazioni del peso (comprese fra -0,2 e +0,21 Kg). Le risposte alla domanda 11 e 22 inerenti le ipoglicemie e la soddisfazione generale per il trattamento riportano giudizi da 2 a 4 volte peggiori nei soggetti con ipoglicemie rispetto a quelli che ne sono stati esenti, a dimostrazione del fatto che la qualità di vita dei pazienti è condizionata maggiormente da questo pericolo che da ogni altra variabile. I nostri dati ci consentono di esprimere alcune riflessioni: 1) l’importanza di considerare, e di misurare, il parametro della Quality of Life quando viene implementata e/o ottimizzata una terapia insulinica per migliorare il compenso metabolico di pazienti diabetici scompensati; 2) la necessità di utilizzare schemi di terapia insulinica flessibili e personalizzati al fine di aumentare l’aderenza del paziente alla terapia; 3) il ruolo fondamentale del “counselling educazionale” da parte del Team Diabetologico al fine di praticare la corretta pratica della somministrazione della terapia insulinica ed il “miglior management” dell’ipoglicemia.

 

Case report: utilizzo di un analogo basale dell’Insulina (Degludec®) in un paziente in nutrizione enterale

F. Querci,G.Bertulezzi, S. Tasca,P.Fusetti

UOS Diabetologia-Divisione Medica, P.O. Alzano Lombardo, A.O. Bolognini Seriate (BG)

 

La terapia insulinica in corso di Nutrizione Enterale non è codificata da linee giuda precise, e non esistono trial clinici controllati che abbiano confrontato le diverse strategie terapeutiche: la scelta dello schema di insulinizzazione varia a seconda del tipo di nutrizione adottata e dei tempi di somministrazione scelti. In questo senso, avere a disposizione un Analogo basale dell’Insulina con lunga durata d’azione, ridotta variabilità dell’effetto ipoglicemizzante e basso rischio di ipoglicemia, caratteristiche tipiche di Degludec® rispetto alle precedenti insuline basali, apre una nuova prospettiva terapeutica in questo tipo di paziente.

BA, donna, 72 anni, ricoverata d’urgenza per bronchite febbrile, in anamnesi polineuropatia a prevalenza disautonomica con disfagia grave. Posizionata PEG per nutrizione enterale con Nutrison Diason 1500 cc in 24 ore in pompa (80 ml/h). Anamnesi recente: DMT2 trattato con Insulina Umana 28U h 8,00 e 16U h 12,00 Lispro Mix 75/25 40U h 19,00 ipertensione arteriosa, epatopatia cronica HCV correlata, panvasculopatia con decadimento cognitivo di grado medio, obesità. All’ingresso HbA1c 8% Creatinina 1,45mg% Trigliceridi 162mg% Colesterolo totale 138 mg%. Glicemia oltre 400 mg/dl causa stato febbrile. Viene impostata terapia insulinica con Degludec® 60U/die alle h 20. Nella tabella sono riportati i valori glicemici rilevati durante la degenza:

 

giorni dopo il ricovero ore 8 ore 11 ore 14 ore 18 ore 20 ore 22
248 284 313
126 299 270
126 247 243
115 201 176
98 132 130 89 161
80 172 180 191
132 199 155
112 130 204
Al nono giorno di ricovero per complicanze dell’alvo con diarrea da Clostridium viene ridotta la nutrizione a 750cc/die. La dose di Degludec® scende a 36U
162 232 147
10° 101 104 175 135

 

Risolta la complicanza intestinale la paziente è stata dimessa con una monosomministrazione di insulina Degludec® a 50 U die e prosegue il regime di nutrizione enterale precedente.

In questo caso, il nuovo analogo basale dell’insulina Degludec® si è rivelato una terapia efficace e semplice, garantendo un controllo glicemico non inferiore a schemi di terapia più complessi.

 

EFFICACIA DI LIRAGLUTIDE NEI PAZIENTI DIABETICI “NON RESPONDER” ALLA TERAPIA CON INIBITORI DEL DPP-4

M. Mirani1, G. Favacchio1, G. Saccà2, C. Berra1

1Humanitas Research Hospital, Dipartimento di Medicina Interna, Sezione Diabetologia e Malattie Metaboliche, Rozzano (MI), 2Struttura Complessa di Medicina Interna Ospedale di Vizzolo Predabissi (MI)

 

Premessa: abbiamo a disposizione 2 classi di farmaci incretinici: gli analoghi del GLP-1 e gli inibitori del DPP-4 (I-DPP4). Gli studi clinici hanno mostrato che con un GLP-1 analogo in add-on alla metformina si ottiene una riduzione del valore di HbA1c di 1% circa, mentre con un I-DPP4 la riduzione è mediamente di 0,7%.

Scopo: testare l’efficacia del GLP-1 analogo liraglutide in sostituzione di un I-DPP4 nei pazienti con DMT2 in fallimento terapeutico con tale classe di farmaci.

Metodi: dal novembre 2013 al novembre 2014 è stato condotto uno studio osservazionale su 40 pazienti afferenti ai nostri centri di Diabetologia. Tutti i pazienti assumevano un I-DPP4 al massimo dosaggio consentito (27 sitagliptin, 13 vildagliptin) e metformina al massimo dosaggio tollerato. 12 pazienti su 40 (30%) associavano inoltre una sulfanilurea, 6 pazienti su 40 (15%) pioglitazone (30 mg/die) e 2 pazienti (5%) acarbosio (150 mg/die). È stato considerato fallimento terapeutico un valore di HbA1c>8%. In questi pazienti pertanto l’I-DPP4 è stato sostituito con Liraglutide 1.2 mg/die (previo periodo di titolazione con 0,6 mg/die per 7 giorni).

Risultati: al 6° mese di follow-up, il compenso glicometabolico dei pazienti era significativamente migliorato (HbA1c -0,7%, p<0,01; FPG -28 mg/dl, p<0.05), così come il peso corporeo, il BMI e la Circonferenza Vita (CV) (p<0,01). Al 12° mese di follow-up si sono confermati i risultati precedentemente ottenuti (ΔHbA1c vs baseline -1,2%, p<0,01; ΔFPG -46,4 mg/dl, p<0.01).

Conclusioni: nei pazienti in cui l’utilizzo di un I-DPP4 non aveva consentito un adeguato controllo glicemico, la Liraglutide si è dimostrata efficace nel ridurre il valore di HbA1c, unitamente ad una riduzione significativa del peso corporeo. Questi dati suggeriscono che nel paziente con DMT2 in sovrappeso-obeso, la Liraglutide è ancora in grado di agire sul sistema incretinico laddove l’inibizione del DPP4 non è sufficiente ad ottenere una risposta clinica. Pertanto in questi pazienti “non-responder” alla terapia con I-DPP4 appare giustificato eseguire un ulteriore tentativo con GLP-1 analogo.

Topic: Diabete e Gravidanza

ESITI MATERNO-FETALI NEL DIABETE GESTAZIONALE: L’ALTERAZIONE GLICEMICA ALL’OGTT FA LA DIFFERENZA?

A.R.Dodesini1, E. Ciriello2, L. Patanè2, E. Peiti1,R. Rota1, C. Morlini1,I. Frosio1, A. Valoti1, D. Cattaneo2, N. Strobelt2, R. Trevisan1

1U.S.C. Malattie Endocrine e Diabetologia, Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII, Bergamo; 2U.S.C. Ginecologia e Ostetricia, Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII, Bergamo

 

Le linee guida dell’International Association of Diabetes and Pregnancy Study Group (IADPSG) per la diagnosi di diabete gestazionale (GDM) indicano che i valori di glicemia a digiuno, dopo una e due ore al test di tolleranza al glucosio orale da 75 gr (OGTT) possono condizionare in maniera indipendente gli esiti avversi della gravidanza. Ciò nonostante, date le diverse basi fisiologiche dell’alterata glicemia a digiuno e della ridotta tolleranza al glucosio, è verosimile attendersi differenze negli esiti della gravidanza a seconda dell’alterazione glicemica rilevata con l’OGTT.

Per valutare se la diagnosi di GDM formulata secondo i risultati dell’OGTT determini eterogeneità negli esiti materno-fetali, abbiamo retrospettivamente rivisto le cartelle di tutte le donne con GDM e gravidanza singola che hanno partorito all’Ospedale di Bergamo da aprile 2012 a ottobre 2014. Le donne erano state sottoposte a OGTT tra la 24a e 28a settimana di gestazione. Le donne sono state divise in due gruppi in base alla presenza (gruppo A=154) o assenza (gruppo B=153) di alterata glicemia a digiuno (≥92 mg/dl) all’OGTT. Gli esiti materni e neonatali sono stati confrontati fra i 2 gruppi: i dati sono stati analizzati con test t e χ2 e p<0.05 è stato considerato significativo. Le donne del gruppo A avevano un BMI pregravidico significativamente maggiore (27.2 vs 23.7 Kg/m2, p<0.001), più frequentemente hanno avuto bisogno di terapia insulinica (39/135 vs 17/140, p<0.001) e hanno partorito neonati più grandi per l’età gestazionale (LGA) (10/154 vs 2/153, p<0.04) pur con età gestazionale alla nascita significativamente inferiore (38.4 vs 39 sett., p<0.03) rispetto alle donne del gruppo B. Non sono state riscontrate differenze dell’età materna al momento del parto, nel numero di induzioni, nella modalità del parto e esiti neonatali avversi (pH arteria ombelicale<7.10, Apgar<7 a 5’, ricovero in patologia neonatale).

Le donne con GDM e alterata la sola glicemia a digiuno all’OGTT più frequentemente richiedono terapia insulinica durante la gravidanza e sembrano avere un rischio più elevato di partorire neonati più grandi per l’età gestazionale rispetto alle donne con GDM e ridotta tolleranza al glucosio dopo OGTT.

 

IL SOVRAPPESO E L’OBESITÀ PEGGIORANO GLI ESITI DELLA GRAVIDANZA NELLE DONNE CON DIABETE GESTAZIONALE

C. Molinari1, M.T. Castiglioni2, S. Rosa2, A. Poloniato3, G. Giudicatti3, C. Bitsi4, C. Cellai4, N. Dozio4, M. Scavini5

1Università Vita-Salute San Raffaele,Milano; 2Ostetricia e Ginecologia e 3Neonatologia, Dipartimento Materno-Infantile, 4UO Medicina Interna a indirizzo Diabetologico ed Endocrino-Metabolico e 5Diabetes Research Institute, IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano

 

Negli ultimi anni la proporzione di gravidanze complicate da diabete gestazionale (DG) è aumentata per l’aumento della prevalenza dei fattori di rischio e per il cambiamento delle modalità di screening e dei criteri diagnostici. Scopo del nostro studio è stato quello di valutare l’effetto di sovrappeso e obesità precedenti la gravidanza sugli esiti della gravidanza in donne con DG.

Sottopeso Normopeso Sovrappeso Obese p
Categoria BMI <18 18-24.99 25-29.99 ≥30
n 24 394 124 101
Età (anni) 35 (32-37) 34 (32-37) 36 (33-38) 34 (31-37) 0.114
Immigrate (%) 16.7 16.8 25.8 18.8 0.162
Primipare (%) 62.5 62.0 47.6 39.6 <0.001
Familiarità DM (%) 25.0 28.2 40.3 45.5 0.002
Pregresso DG (%) 55.6 34.7 29.2 44.3 0.189
SG alla diagnosi 27 (26-30.5) 28.5 (27-30) 29 (25-30) 26 (23-29) <0.001
Glicemia 0 min 82 (76-90) 86 (90-95) 95 (85-102) 97 (91-104) <0.001
Terapia insulinica (%) 12.5 18 32.3 42.6 <0.001
Incremento peso (kg) 10.4 (8.3-15) 10 (7-13) 8 (5-12.4) 7.6 (3-10) <0.001
SG al parto 39 (38-40) 39 (38-40) 39 (38-40) 38 (38-39) 0.141
Induzione travaglio (%) 4.6 18.8 23.8 37.4 <0.001
Taglio cesareo (%) 33.3 33.8 36.3 48.5 0.053
Peso neonato (g) 3142(2775-3305) 3250(2925-3495) 3288(2965-3510) 3340(2990-3640) 0.044
Neonati>4000 g (%) 0 3.1 7.3 11.9 0.012
LGA (%) 0 6.4 10.6 18.8 <0.001
Ipoglicemia neonato (%) 0 3.0 2.8 4.9 0.760

 

Sono state incluse nell’analisi le gravidanze singole di donne con DG seguite presso l’Ambulatorio Diabete & Gravidanza dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano nel periodo 2003-2013 (n=643) e gli esiti della gravidanza sono stati stratificati per categoria di BMI precedente la gravidanza.

Rispetto alle donne sottopeso o normopeso, le donne in sovrappeso o obese prima della gravidanza presentano: a) una maggiore percentuale di trattamento insulinico per controllare le glicemia in gravidanza (nonostante un minore incremento ponderale materno); e b) una maggior percentuale di induzione del travaglio e di parto cesareo. Rispetto ai neonati di mamme sottopeso o normopeso, i neonati di mamme sovrappeso o obese prima della gravidanza presentano: a) un peso maggiore alla nascita; e b) il quadruplo di neonati con peso alla nascita >4,000 g e il triplo di macrosomia.

Questi dati confermano nella nostra popolazione l’effetto negativo di sovrappeso e obesità precedenti la gravidanza sugli esiti della gravidanza nelle donne con diabete gestazionale. Programmi di formazione degli operatori e di informazione delle donne in età fertile potrebbero contribuire al miglioramento degli esiti della gravidanza a livello di popolazione.

INCIDENZA D’IPOGLICEMIA IN NATI DA MADRE DIABETICA ED IMPLICAZIONI SULL’ALLATTAMENTO

G. Giudicatti1,A. Poloniato1,M.T.Castiglioni2, S. Rosa2, A. Caretto3, M. Scavini4,N. Dozio4

1Unità di Neonatologia, IRCCS Ospedale San Raffaele Milano (OSR); 2U.O. di Ginecologia e Ostetricia, Dipartimento Materno-Infantile, IRCCS Ospedale San Raffaele Milano (OSR); 3Università Vita-Salute San Raffaele, Milano; 4Istituto di ricerca sul diabete, IRCCS Ospedale San Raffaele Milano (OSR)

Introduzione: nonostante il consenso sulla gestione delle gravidanze complicate da diabete, sia pregestazionale (T1D e T2D) che gestazionale (GDM), i nati da madre diabetica presentano ancora una significativa morbilità.

Scopo: stimare l’incidenza d’ipoglicemia neonatale nei nati da madre diabetica e studiarne l’effetto sull’allattamento nell’immediato periodo post-natale.

Metodi: analizziamo un gruppo di donne con T1D, T2D o GDM seguite, dalla gravidanza al parto, presso l’OSR (2010-2013). Distinguiamo l’ipoglicemia neonatale (glicemia <45 mg/dl) dall’ipoglicemia neonatale severa (glicemia <30 mg/dl), valutate entro le prime 24 ore di vita. L’ipoglicemia è trattata con alimentazione precoce nel primo caso e con infusione EV di destrosio al 10% nel secondo. I fattori predittivi d’ipoglicemia neonatale sono stati identificati mediante regressione logistica multivariata.

Risultati: 410 madri diabetiche (GDM=328; T1D=61; T2D=21). L’ipoglicemia neonatale (64 casi) è significativamente più frequente nei bambini nati da madri con T1D (55.7%) rispetto ai nati da madri con T2D (4.8%) o con GDM (8.8%), p<0.001. Il 33% dei figli di madri con T1D e l’1.2% dei nati da madri con GDM hanno necessitato di infusione EV per la correzione dell’ipoglicemia. Nei neonati con ipoglicemia, sia lieve che severa, si osserva una minore frequenza di allattamento esclusivo al seno (AS) al momento della dimissione rispetto a quelli che non presentano tale complicanza (37.5% vs 65.2%, p<0.001). Il tipo di diabete, l’HbA1cIII trimestre e l’EG al parto sono predittori di ipoglicemia neonatale, al contrario del tipo di parto, dell’aumento ponderale materno in gravidanza e della macrosomia. La degenza in ospedale, sia delle madri che dei neonati, sarà inoltre paragonata in base al verificarsi d’ipoglicemia neonatale.

Conclusioni: l’ipoglicemia neonatale è frequente e più severa nei nati da madre con T1D (1/3 ha richiesto infusione EV) e riduce la frequenza di allattamento esclusivo al seno. Valori di HbA1cIII trimestre sub ottimali ed il parto <38 SG sono predittori d’ipoglicemia neonatale. In conclusione, protocolli che prevedono per i nati da madri con diabete un’alimentazione precoce al seno o con latte di banca rispetto al latte adattato, potrebbero ridurre la necessità d’infusione EV di destrosio e aumentare la frequenza di AS nell’immediato post-partum in questi neonati.

 

STUDIO OSSERVAZIONALE SU CARATTERISTICHE ED ESITI DELLA GRAVIDANZA IN DONNE CON DIABETE PRE-GESTAZIONALE CHE HANNO PARTORITO IN LOMBARDIA NEL PERIODO 2012-2014 (STUDIO SWEET BABY)

SWEET BABY Collaborative Group

La gravidanza in donne con diabete pre-gestazionale (tipo 1 o tipo 2) è gravata da un eccesso di complicanze materno-fetali e sono necessarie considerevoli risorse sanitarie per garantirne il buon esito. In Italia <50% delle donne con diabete pre-gestazionale ha un controllo glicemico ottimale al concepimento (HbA1c <7% con poche ipoglicemie). Inoltre gli esiti delle gravidanze in donne con diabete pre-gestazionale sono conosciuti solo per pochi centri di riferimento, mancando del tutto dati di popolazione. Le sezioni lombarde della Società Italiana di Diabetologia (SID) e dell’Associazione dei Medici Diabetologi (AMD) hanno costituito il Gruppo di Lavoro Intersocietario Diabete & Gravidanza con l’obiettivo di lavorare insieme per migliorare l’assistenza in gravidanza alle donne con diabete attraverso l’educazione/informazione delle donne e loro famiglie, la formazione degli operatori sanitari e l’ottimizzazione dei percorsi assistenziali. Il primo obiettivo del Gruppo è stato quello di pianificare la raccolta di dati sulle gravidanze in donne con diabete pre-gestazionale in Lombardia, regione in cui si registrano il 17% delle nascite in Italia. Lo studio SWEET BABY è uno studio osservazionale retrospettivo che coinvolgerà 17 centri lombardi e che raccoglierà dati su oltre 530 gravidanze in donne con diabete pre-gestazionale che hanno partorito dall’01.01.2012 al 31.12.2014 (i.e., >80% delle gravidanze complicate da diabete pre-gestazionale attese in Lombardia in quel periodo). Verranno revisionate le cartelle cliniche ambulatoriali/ospedaliere per descrivere le caratteristiche generali delle pazienti a inizio gravidanza, l’andamento della gravidanza (modalità di terapia insulinica, controllo glicemico, ipoglicemie e chetoacidosi) e gli outcomes materni e fetali, e valutare l’impatto della programmazione della gravidanza sugli esiti della gravidanza stessa. I dati raccolti consentiranno di pianificare strategie di informazione delle pazienti e di formazione per il team diabetologico specifiche per le donne con diabete in età fertile, per migliorare l’assistenza in gravidanza alle donne con diabete pre-gestazionale e per sensibilizzare riguardo all’importanza dell’equilibrio preconcezionale nel diabete di tipo 1 o di tipo 2.

Topic: Ipoglicemia

 

UN CASO DI SINDROME IPOGLICEMICA SEVERA CON BASSA INSULINEMIA

C. Scaranna, A. Corsi, A.R. Dodesini, G. Lepore, R. Trevisan, S. Cassibba

USC Malattie Endocrine e Diabetologia, AO Papa Giovanni XXIII, Bergamo

La diagnosi differenziale delle sindromi ipoglicemiche è spesso difficile. Riportiamo di seguito il caso di una sindrome ipoglicemica severa associata a valori ridotti di insulina plasmatica.

Caso clinico: R.S., maschio, caucasico, 30 anni, normopeso, è stato ricoverato per coma ipoglicemico. In anamnesi recente paralisi di Bell, trattata con steroidi e acido alfa-lipoico. Nel corso della degenza sono state rilevate ipoglicemie severe e recidivanti (valori glicemici di 30-40 mg/dl), associate a ridotti livelli di insulina (3-4 uU/ml, v.n. 6-27) e c-peptide (1,1-1,6 ng/ml, v.n.: 0,9-4). Escluse la sindrome di Hirata, di Addison, il deficit di GH, alterazioni della funzione epatica e renale e l’ipoglicemia fattizia: anticorpi anti-insulina 2,8% (v.n.: 0-8,5), cortisolo in corso di crisi ipoglicemia 25mcg/dl (v.n. >18), IGF1: 338 ng/ml (v.n. 92-244), transaminasi, creatinina ed esame urine nei limiti, ricerca delle sulfaniluree urinarie negativa. La PET con FDG è risultata negativa per accumuli patologici. La TC dell’addome con mdc ha evidenziato una lesione circoscritta, ben delimitata, di 14,5 mm, alla coda del pancreas. La PET con 68 Ga-DOTATOC ha evidenziato un’elevata densità recettoriale per analoghi della somatostatina a livello della lesione pancreatica. In rapporto all’imaging, alla clinica e ai bassi livelli di insulina è stata quindi dosata la proinsulina plasmatica che, con valore di 75 pmol/l (v.n.: 1,3-3,8), ha permesso di porre diagnosi di proinsulinoma. Il paziente è stato trattato con Diazossido e Octreotide Lar per il controllo delle ipoglicemie e sottoposto a pancreasectomia distale spleen-preserving con risoluzione delle crisi ipoglicemiche e normalizzazione dell’insulinemia e della proinsulinemia. All’esame istologico: tumore neuroendocrino del pancreas con immunoistochimica positiva per sinaptofisina, NSE e insulina; focalmente positiva per cromogranina e sinaptofisina.

Conclusioni: il proinsulinoma è una variante rara di insulinoma da sospettare in pazienti con ipoglicemie recidivanti e valori di insulina e c-peptide ridotti, in assenza di cause farmacologiche o patologiche interferenti.

IPOGLICEMIA DA LEVOFLOXACINA

E. Mantovani

Dip. Diabetologia, Ospedale Carlo Poma, Mantova

P.F., 70 anni, diabetica da circa 15 anni, ipertesa con cardiopatia ischemica in terapia con Glibomet 2,5/400 (1cp x 3/die), normopeso (BMI 23,5). Dopo intervento di duplice BPAC nonché di S.V.A. è stato sospeso l’ipoglicemizzante orale ed iniziata terapia con Humalog (5 Ux 3/die). Dopo alcuni giorni dall’intervento, la paziente, ricoverata per ciclo di riabilitazione, comincia ad accusare tosse ed iperpiressia. Il collega pneumologo fa eseguire un RX torace che dimostra un focolaio bronco pneumonico per cui consiglia di iniziare un trattamento con Levofloxacina (500mg x 1/die). Fino a quel momento compenso glicemico buono con glicata di 6,4% e nessuna ipoglicemia. Il giorno seguente, all’inizio della terapia con Levofloxacina, la paziente accusa una ipoglicemia abbastanza grave e sintomatica (48 mg %) risoltasi con l’assunzione di saccarosio per os 15g, pur avendo assunto la normale quantità di carboidrati e in assenza di ulteriori modificazioni terapeutiche. Dopo qualche ora, la paziente presenta un’altra ipoglicemia (50mg %, sempre capillare). Un prelievo venoso confermava l’ipoglicemia (62 mg %), per cui viene somministrato ancora saccarosio per os (15g) seguito da glucosio ev. (500ml al 10%) e viene raccomandato al personale infermieristico di non praticare più terapia insulinica fino a nuovo ordine e di monitorare le glicemie capillari. Alcune ore dopo la paziente va nuovamente in ipoglicemia 52 mg % (nessuna variazione terapeutica a parte la sospensione dell’insulina, e normale introduzione di carboidrati nonché abituale attività fisica). Al terzo giorno dall’inizio della terapia antibiotica nuovo episodio di ipoglicemia (46 mg %, confermata da una glicemia plasmatica di 58 mg %). Nel sospetto che le numerose ipoglicemie fossero state scatenate dalla Levofloxacina, la terapia viene sospesa. Dopo alcune ore, le glicemie capillari riprendono a salire (210-230 mg %), e viene ripresa la terapia insulinica precedente. Questo caso conferma che la terapia con Levofloxacina può causare una rara, ma seria sindrome ipoglicemica. In letteratura sono stati segnalati già alcuni casi di ipoglicemia da Chinolonici sia in pazienti diabetici sia in pazienti non diabetici. Questo caso è una conferma che il Chinolonico (Levofloxacina) può causare ipoglicemie.

 

L’ATTENZIONE ALL’INTROITO DI CARBOIDRATI DEL PASTO DEL PAZIENTE DIABETICO RICOVERATO PERMETTE DI PREVENIRE LE IPOGLICEMIE

G. Marelli, F. Avanzini, V. Vilei

Azienda Ospedaliera di Desio e Vimercate

L’ipoglicemia secondaria ad un inadeguato introito di carboidrati è una evenienza frequente nei pazienti diabetici ricoverati in ospedale in trattamento insulinico.

Obiettivo di questo studio è stato quello di testare un protocollo a gestione infermieristica per la prevenzione delle ipoglicemia in corso di trattamento insulinico sottocutaneo.

Studio: sono stati valutati 350 pazienti diabetici consecutivi nei quali sono stati analizzati gli episodi di ipoglicemia prima (Gruppo A 84 pazienti) e dopo l’applicazione del protocollo (Gruppo B 266 pazienti). Il protocollo utilizzato prevedeva: 1) la possibilità per il paziente di scegliere cibi sostitutivi per integrare l’eventuale incompleto introito di carboidrati al pasto; 2) in caso di incompleto introito di carboidrati o mancanza di appetito l’insulina veniva somministrata alla fine del pasto in relazione alla effettiva quantità di carboidrati introdotti.

Risultati: la durata della somministrazione di insulina è stata simile nei 2 gruppi, 7 giorni nel Gruppo A e 6 giorni nel Gruppo B. Episodi di ipoglicemia sono stati registrati in 61 pazienti del Gruppo A (72,6%) e in 144 pazienti del Gruppo B (54,1%). Con l’applicazione del protocollo gli episodi ipoglicemici si sono significativamente ridotti, passando da 0.34±0.33 per giorno nel Gruppo A a 0.19±0.30 nel Gruppo B (p>0.001).

Conclusioni: l’applicazione di un protocollo a gestione infermieristica finalizzato a monitorare l’introito di carboidrati al pasto con l’adozione di misure conseguenti è in grado di ridurre gli episodi di ipoglicemia nel paziente diabetico ricoverato.

Topic: Complicanze

IL FIBROSIS 4 SCORE (FIB4) È UN MARCATORE INDIPENDENTEMENTE DI MALATTIA CARDIOVASCOLARE (CVD) E DI NEFROPATIA (CKD) IN PAZIENTI CON DIABETE DI TIPO 2

F. Martucci1,S. Perra1, G. Manzoni1, M.G. Radaelli1, A. Oltolini1, E. Devecchi1, S. Villa1, G. Lattuada1, G. Perseghin1,2

1Medicina Metabolica, Policlinico di Monza; 2Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi di Milano

 

Studi epidemiologici hanno già dimostrato che la Non-Alcoholic Fatty Liver Disease, (NAFLD) è associata in modo indipendente sia a CVD che a CKD. Lo scopo di questo studio è stato quello di stabilire se un marcatore surrogato di fibrosi epatica piuttosto che di accumulo ectopico di trigliceridi intra-epatici, chiamato FIB4 e calcolabile sulla base dei valori di età, AST, ALT, e conta piastrinica fosse correlato a complicanze micro e macrovascolari del diabete di tipo 2. Lo studio è stato eseguito con un approccio trasversale nella popolazione di 1762 pazienti affetti da diabete di tipo 2 che sono affluiti alle visite ambulatoriali presso il nostro servizio in condizioni cliniche stabili in almeno due occasioni dal 1 gennaio 2013 al 30 giugno 2014 e con età mediana di 67 anni e durata di malattia mediana di 10 anni. I valori di FIB4 sono stati calcolati retrospettivamente sulla base dei dati raccolti in cartella in 683 pazienti, le cui caratteristiche antropometriche, ematochimiche e vitali rispecchiavano quelle dell’intera popolazione. La popolazione è stata segregata, in base ai valori di FIB4, in tre categorie: FIB4<1.45 (n=431), FIB4 tra 1.45-3.25 (n=212) e FIB4>3.25 (n=40). Lo score di FIB4 più elevato si associava all’età ma non ai parametri antropometrici di adiposità (BMI e circonferenza vita). Nessuna differenza è stata riscontrata tra i tre gruppi rispetto a durata di malattia e terapia e ipocolesterolemizzante ma i soggetti con FIB4 più elevato era più spesso trattati con insulina, con ACE.inibitore e beta-bloccante. I pazienti con score di FIB4 più elevati si caratterizzavano per livelli più alti di glicemia a digiuno ma emoglobina glicosilata, pressione arteriosa sistolica e diastolica, e uricemia non erano differenti. I pazienti con FIB4 elevato si caratterizzavano inoltre per colesterolo totale, colesterolo-HDL ridotto e AST, ALT e GGT significativamente più elevati. Lo score più elevato di FIB4 si associava a CVD (20%, 17% e 32% rispettivamente nei 3 gruppi di FIB4; p<0.001) ed eGFR (CKD-EPI) <60 mL/min (16%, 36%, 40%; p=0.0001), ma non a microalbuminuria (28%, 30%, 36%; p=0.64), a retinopatia (20%, 17%, 32%; p=0.32) o cancro (14%, 17% e 15%; p=0.59) aggiustando l’analisi per sesso, età, durata di malattia, terapia farmacologica e sindrome metabolica.

In conclusione, l’associazione del FIB4 con CKD e CVD in pazienti con diabete di tipo 2 di lunga durata, supporta l’ipotesi di un ruolo prognostico della fibrosi epatica (calcolata come variabile continua) nell’evoluzione della malattia diabetica.

 

 

IL FATTY LIVER INDEX (FLI) È UN MARCATORE INDIPENDENTEMENTE DI MALATTIA CARDIOVASCOLARE (CVD) E DI NEFROPATIA (CKD) IN PAZIENTI CON DIABETE DI TIPO 2

G. Manzoni1,F. Martucci1,M.G. Radaelli1,A. Oltolini1,E. Devecchi1, S. Villa1, S. Perra1, G. Lattuada1,G. Perseghin1,2

1Medicina Metabolica, Policlinico di Monza; 2Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi di Milano

 

Studi epidemiologici hanno già dimostrato che la Non-Alcoholic Fatty Liver Disease (NAFLD), stabilita mediante criteri ecografici semiquantitativi e non esprimibili come una variabile continua, è associata in modo indipendente sia a CVD che a CKD. Lo scopo di questo studio è stato quello di stabilire se il FLI, un surrogato della NAFLD calcolabile sulla base dei valori di BMI, circonferenza vita, livelli serici di trigliceridi e GGT fosse correlato a complicanze micro e macrovascolari del diabete di tipo 2. Lo studio è stato eseguito con un approccio trasversale nella popolazione di 1762 pazienti affetti da diabete di tipo 2 che sono affluiti alle visite ambulatoriali presso il nostro servizio in condizioni cliniche stabili in almeno due occasioni dal 1 gennaio 2013 al 30 giugno 2014 e con età mediana di 67 anni e durata di malattia mediana di 10 anni. I valori di FLI sono stati calcolati retrospettivamente sulla base dei dati raccolti in cartella in 946 pazienti, le cui caratteristiche antropometriche, ematochimiche e vitali rispecchiavano quelle dell’intera popolazione. Come proposto in origine da Bedogni e coll. la popolazione è stata segregata, in base ai valori di FLI, in tre categorie: FLI<30 (n=117), FLI tra 30 e 60 (n=222) e FLI>60 (n=607). Lo score di FLI più elevato si associava all’età, al BMI e alla circonferenza vita. Nessuna differenza è stata riscontrata tra i tre gruppi rispetto a durata di malattia, terapia insulinica, antipertensiva, ipocolesterolemizzante, ed antidiabetica, ad eccezione degli agonisti del recettore del GLP1, dei sartanici e dell’allopurinolo che erano più frequentemente utilizzati nei pazienti con score di FLI più elevato. I pazienti con score di FLI più elevati si caratterizzavano per livelli più alti di glicemia a digiuno, emoglobina glicosilata, pressione arteriosa sistolica e diastolica, frequenza cardiaca, uricemia, colesterolo totale, colesterolo-HDL, AST e ALT, a prescindere dalla terapia farmacologica in atto. Lo score più elevato di FLI si associava a CVD (24%, 46% e 37% rispettivamente nel gruppo con FLI minore di 30, con FLI compreso tra 30 e 60 e con FLI superiore a 60; p<0.001), microalbuminuria (11%, 38%, 49%; p<0.0001), ed eGFR (CKD-EPI) <60 mL/min (12%, 26%, 23%; p=0.03), ma non a retinopatia (14%, 19%, 16%; p=0.65) o cancro (10%, 15% e 13%; p=0.52) aggiustando l’analisi per sesso, età, durata di malattia, terapia farmacologica e sindrome metabolica.

In conclusione, l’associazione del FLI con CKD e CVD in pazienti con diabete di tipo 2 di lunga durata, supporta l’ipotesi di un ruolo prognostico della steatosi epatica (calcolata come variabile continua) nell’evoluzione della malattia diabetica.

 

 

IL RUOLO DI B7-1 SUI PODOCITI NELLA NEFROPATIA DIABETICA

V. Usuelli1, A. Valderrama-Vasquez1, A. Maestroni1, R. Bassi2, M.A. Niewczas3, F. D’Addio1,2, S. Tezza2, M. Ben Nasr2, D. Mattinzoli4, D. Corradi5, L. Buvall6, S. La Rosa7, G. Finzi7, A. Solini8, M.P. Rastaldi4, P. Mundel6,M.H. Sayegh9, P. Fiorina1,2

1Medicine, San Raffaele Hospital, Milan, Italy; 2Nephrology Division, Boston Children’s Hospital, Harvard Medical School, Boston, MA; 3Section on Genetics and Epidemiology, Research Division, Joslin Diabetes Center and Department of Medicine, Harvard Medical School, Boston, MA; 4Renal Research Laboratory, Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico & Fondazione D’Amico per la Ricerca sulle Malattie Renali, Milan, Italy; 5Department of Biomedical, Biotechnological and Translational Sciences, Unit of Pathology, University of Parma, Parma, Italy; 6Nephrology Division, Massachusetts General Hospital, Boston, MA; 7Pathology Department, Ospedale di Circolo, Varese, Italy; 8Department of Clinical and Experimental Medicine, University of Pisa, Pisa, Italy; 9Transplantation Research Center, Brigham and Women’s Hospital, Boston and American University of Beirut, Lebanon

 

Il diabete di tipo 2 (T2D) sta acquisendo proporzioni ormai epidemiche nel mondo, per questo è diventato quanto mai necessario individuare una nuova strategia terapeutica per il trattamento della nefropatia diabetica. Segni caratteristici della nefropatia diabetica sono il danno podocitario e la conseguente albuminuria, ma al momento non sono disponibili strategie che mirino a prevenire o bloccare la progressione di queste complicanze. In questo studio dimostriamo che la molecola a carattere immunologico B7-1/CD80 svolge un ruolo essenziale nello sviluppo del danno podocitario nella nefropatia diabetica in corso di T2D. L’espressione di B7-1 sui podociti è riscontrabile anche nelle biopsie renali di soggetti con T2D. Studi genetici ed epidemiologici hanno documentato l’associazione di due polimorfismi a singolo nucleotide sul gene di B7-1 con lo sviluppo di nefropatia diabetica. Il nostro studio dimostra anche che alti livelli periferici dell’isoforma solubile di CD28, ligando di B7-1, correlano con la progressione della nefropatia diabetica a insufficienza renale terminale. B7-1 è up-regolato nei podociti in vitro quando coltivati in alto glucosio, e l’espressione transgenica ectopica di B7-1 sui podociti induce modificazioni del citoscheletro che possono essere annullate con l’utilizzo di CTLA4-Ig, l’inibitore di B7-1. L’espressione di B7-1 sui podociti è anche indotta in vivo in due modelli murini di nefropatia diabetica, e il trattamento con CTLA4-Ig è in grado di prevenire l’aumento dell’escrezione urinaria di albumina e di migliorare il danno morfologico. In conclusione, l’inibizione di B7-1 rappresenta una nuova potenziale strategia terapeutica per la prevenzione o per il trattamento della nefropatia diabetica.

 

 

TRANSAMINASI E ALTERAZIONI ECOGRAFICHE DEL PARENCHIMA EPATICO IN DIVERSE CLASSI DI BMI: UNA CURVA A U

A. Fanin, A. Benetti, A. Giorgini, L. Folini, A. Zakaria, M. Zuin, A.E. Pontiroli

Università degli Studi di Milano, Ospedale San Paolo

 

Background e Obiettivi: i valori delle transaminasi sieriche sono comunemente utilizzati come markers precoci per la diagnosi di numerose patologie epatiche: il loro uso è stato proposto come marcatore non invasivo per la diagnosi di steatosi in pazienti senza segni di altra patologia epatica e sierologicamente negativi. Le patologie metaboliche come obesità, dislipidemia e diabete mellito sono associate indipendentemente ad un rialzo lieve-moderato dei valori di enzimi epatici. Dall’altro lato, la presenza di ipertransaminasemia in soggetti magri è descritta in letteratura, specie in pazienti con anoressia nervosa, anche se la prevalenza di questo riscontro è molto variabile e la precisa causa resta poco indagata. Lo scopo di questo studio è di raccogliere dati sui livelli di enzimi epatici e sullo studio ecografico del parenchima epatico in una popolazione di soggetti italiani che includa pazienti sottopeso, persone sane normopeso e pazienti obesi, e di correlare tali dati con le diverse classi di BMI.

Metodi: abbiamo raccolto i dati di 1430 pazienti, ottenuti dall’unione di diversi database provenienti da studi su pazienti sottopeso (7.6%), normopeso (16.9%), sovrappeso (3.1%) e obesi (72.2%). I dati raccolti riguardano misurazioni antropometriche, analisi ematochimiche comprendenti enzimi epatici (transaminasi, gammaGT) e il rilievo ad indagini ecografiche di alterazioni del parenchima epatico (iperecogenicità epatica). Gli esami ematochimici sono stati analizzati tutti nello stesso laboratorio.

Risultati: la correlazione tra classi di BMI, valori di ALT, AST e GGT e riscontri ecografici può essere rappresentata visivamente da una curva a U: i pazienti obesi e sottopeso hanno percentuali di valori alterati maggiori rispetto ai soggetti normopeso.

Conclusioni: i valori degli enzimi epatici e l’indagine ecografica potrebbero essere utilizzati come markers di aumentato rischio di comorbidità, non solo in soggetti obesi ma anche in soggetti sottopeso.

 

 

MIR-21 È INDOTTO DALL’ALTO GLUCOSIO CRONICO E DAL GLUCOSIO OSCILLANTE, E MODULA LA SUPEROSSIDO DISMUTASI-2

L. La Sala1,2, A. Uccellatore1,3,S. Lupini1,3,L. Bucciarelli1, A. Ceriello1,2,S. Genovese1

1IRCCS Multimedica, Sesto San Giovanni (MI), Italia; 2Institut d’Investigacions Biomèdiques August Pi i Sunyer (IDIBAPS), Barcelona, Spagna; 3Università degli Studi di Milano, Milano, Italia

 

Razionale: lo stress ossidativo indotto dall’alto glucosio gioca un ruolo chiave nella patogenesi delle complicanze cardiovascolari del diabete. Studi recenti hanno dimostrato che l’aumento delle specie reattive dell’ossigeno (ROS) in un ambiente diabetico, oltre al potenziale citotossico, può alterare molti geni sensibili alle variazioni dello stato ossido-riduttivo. I microRNA (o miR), sono piccole molecole di RNA non codificante implicate nella regolazione di numerosi processi biologici, agendo a livello trascrizionale e post-trascrizionale. Con lo scopo di identificare il ruolo dei miRNA nell’alterata risposta ossidante dell’endotelio, abbiamo analizzato l’espressione del miRNA-21 nelle HUVEC (human umbilical vein endothelial cells) esposte a concentrazioni di alto glucosio cronico e glucosio oscillante ed il suo legame con uno degli scavengers che ha un ruolo chiave nella detossificazione dell’anione superossido, la superossido dismutasi-2 (SOD-2).

Risultati: il miR-21 risponde ad un’alta concentrazione di H2O2 (p<0.01) coerentemente con l’aumento dei ROS (p<0.01), indicando che tale miR è sotto il controllo dello stress ossidativo. L’induzione del miR-21 in risposta ad alto glucosio cronico e a glucosio oscillante è elevata (1.5±0.02, p<0.05 e 2.02±0.06, p<0.01 rispettivamente). Simultaneamente con le elevate espressioni di miR-21, i livelli proteici di SOD-2 non mostravano una variazione significativa rispetto al controllo. Questi risultati sono stati revertiti mediante il knockdown del miR-21 che, ha aumentato significativamente la SOD-2 (sia i livelli di mRNA sia di proteina, p<0.01) e ridotto il miR-21.

Conclusioni: questo studio dimostra che miR-21 blocca il metabolismo dell’anione superossido a perossido di idrogeno inibendo la SOD-2 e stimolando la produzione di un elevato stress ossidativo.

QUESTIONARIO DI AUTOVALUTAZIONE PER L’IDENTIFICAZIONE DEL PIEDE A RISCHIO

L. Rocca, S. Bonfadini, E. Zarra, B. Agosti, U. Valentini

U.O. Diabetologia, Azienda Ospedaliera Spedali Civili di Brescia

 

Tra le complicanze croniche del diabete, quelle del piede sono tra le più costose e invalidanti. L’identificazione del piede a rischio attraverso un corretto screening è in grado di ridurre la comparsa di lesioni e l’incidenza di amputazioni. Le linee guida suggeriscono tempi e modi dello screening; tuttavia la sua applicazione routinaria è spesso parziale.

Scopo: educare la persona con diabete all’autovalutazione del piede attraverso un questionario ad hoc, sottoponendo ad esame clinico mirato i pazienti a rischio di lesioni.

Materiali e Metodi: è stato ideato un questionario di 10 domande (si/no, punteggio 1/0) per la valutazione dei comportamenti e delle condizioni di rischio per lesioni al piede (score basso 0-3, medio 4-6, alto 6-10). Il questionario è stato proposto a tutti i pazienti che accedevano all’ambulatorio in giornate selezionate; la compilazione è stata effettuata nella sala d’attesa prima della visita. Alcuni pazienti, scelti arbitrariamente, sono stati sottoposti a valutazione del piede, identificando la categorie di rischio secondo classificazione IWGDF (International Working Group on Diabetic Foot). I soggetti con pregresse lesioni al piede (8,3%) sono stati esclusi dall’analisi.

Risultati: sono stati distribuiti 241 questionati a pazienti con DM 2 (150M e 91F; età media 65±4 anni). Due questionari non sono stati compilati (0,8%); per il 92% dei pazienti le domande sono risultate di facile comprensione e rapida risposta (tempo medio complessivo <8 minuti). Le principali difficoltà riscontrate sono state di natura linguistica (4,5%) e visiva (2,9%). Lo screening clinico del piede è stato condotto in 126 pazienti. Dei 106 soggetti in categoria 1 all’ispezione, 54 (51%) avevano ottenuto uno score di basso rischio al questionario. Dei 20 soggetti nelle categorie 2 o 3 all’ispezione, 14 (70%) avevano un punteggio di rischio medio/alto al questionario.

Conclusioni: i dati preliminari mostrano che il nostro questionario è uno strumento di facile e rapida compilazione, buona sensibilità (70%) ed elevato valore predittivo negativo (90%). È necessario ampliare la casistica ed identificare un punteggio differenziato per le diverse domande del questionario, al fine di migliorare la specificità del test. Riteniamo inoltre che il coinvolgimento attivo del paziente attraverso l’autocompilazione del questionario sia di per sé un importante momento educativo.

DA SUBITO DE ALL’IMPLEMENTAZIONE DI PDTA INTERDISCIPLINARE DIABETOLOGICO- ANDROLOGICO-CARDIOLOGICO: UN WORK IN PROGRESS!!!

P. Desenzani1, C. Mascadri1, B. Bonzi1, M.C. Tusi2, A. Delbarba1, F. Bianchetti3, T. Scalvini1

1UOS Diabetologia, P.O. Montichiari-Azienda Spedali Civili di Brescia; 2Amb. Andrologia dell’UOC di Medicina Generale, P.O. Montichiari-Azienda Spedali Civili di Brescia; 3SSVD Cardiologia, P.O. Montichiari-Azienda Spedali Civili di Brescia

 

È noto che il disturbo erettile (DE) predice la malattia coronarica nei pazienti con diabete di tipo 2, ed il grado di rischio cardiovascolare a cui si associa è proporzionale alla gravità e alla durata della DE. Vari studi evidenziano un chiaro legame tra DE e cardiopatia ischemica e ogni paziente con disturbi della funzione erettile dovrebbe essere considerato come un potenziale paziente cardiopatico sino a prova contraria. Al fine di individuare il più precocemente possibile tale tipologia di pazienti, dall’inizio di questo anno abbiamo implementato c/o il nostro servizio di Diabetologia un PDTA interdisciplinare diabetologico-andrologico-cardiologico. Il team di diabetologia, comprensivo anche della figura dell’andrologo e del cardiologo, ha concordato di distribuire un questionario validato (IIEF) riguardante la disfunzione erettile a tutti i pazienti diabetici di sesso maschile (età compresa fra i 40 e i 70 anni) che accedono all’ambulatorio al fine di identificare e/o confermare il problema della DE, stabilirne l’insorgenza, la durata e la gravità. Il questionario viene consegnato da parte del personale infermieristico in busta chiusa durante la visita di controllo invitando il paziente a compilarlo ed eventualmente a discuterne con il medico diabetologo. Successivamente i pazienti vengono invitati ad eseguire esami ormonali per escludere cause endocrine del problema (testosterone totale e libero, LH, TSH, PRL) e quindi vengono inviati dal cardiologo per eseguire un test da sforzo cardiovascolare massimale con lo scopo di identificare pazienti con cardiopatia ischemica silente. Una volta eseguita la valutazione cardiovascolare e gli esami ormonali il paziente giunge allo specialista andrologo che esegue una diagnosi differenziale del problema della DE ed implementa opportuna terapia eziologica e/o sintomatica. La possibilità di implementare tale PDTA interdisciplinare è stata resa possibile dalla presenza presso la nostra struttura di un ambulatorio specialistico di Andrologia e dalla disponibilità da parte della Cardiologia del Presidio di predisporre per tale paziente ad elevato rischio cardiovascolare un canale preferenziale per l’esecuzione del test da sforzo. Il personale del Team di Diabetologia insieme con gli Andrologi ed i Cardiologi del Presidio stanno valutando le difficoltà, i possibili miglioramenti e correttivi del PDTA, nonché il grado di customer satisfaction dei pazienti per tale nuovo Servizio messo a loro disposizione.

 

Tesi

MICROBIOMA E PROFILO INFIAMMATORIO INTESTINALE NEL DIABETE MELLITO TIPO 1: UNO STUDIO IN BIOPSIE DUODENALI NELL’UOMO

Andrea Mario Bolla

Università Vita-Salute San Raffaele, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Scuola di specializzazione in Endocrinologia e Malattie del Metabolismo

L’alterazione di permeabilità intestinale, microbioma e immunità mucosale e la loro complessa interazione potrebbero avere un ruolo nel diabete mellito tipo 1 (DMT1). Questo studio ha l’obiettivo di valutare il microbioma e il profilo infiammatorio intestinale in biopsie della mucosa duodenale di pazienti con DMT1, confrontati con controlli sani (CTR) e con pazienti affetti da celiachia (MC) come controllo di malattia infiammatoria. 74 pazienti sono stati sottoposti a EGDS con biopsia del duodeno distale; 8 pazienti sono stati esclusi per comorbidità. L’RNA è stato estratto, 48/66 campioni sono risultati di alta qualità (15 con DMT1, 15 con MC, 11 CTR, 7 con DMT1 + MC) e sono stati analizzati per la composizione del microbioma con emulsion-PCR e ultra-deep pyrosequencing e per l’espressione genica in Taqman Low Density Array di 90 geni coinvolti nell’infiammazione. Alcuni marcatori infiammatori sono stati confermati mediante analisi immunoistochimica su tessuto conservato in formalina.  Il microbioma dei pazienti con DMT1 è risultato diverso dagli altri gruppi, infatti abbiamo osservato, a livello di phyla, un aumento significativo dei Firmicutes e una riduzione dei Proteobacteria e, a livello di classi, un incremento di Bacilli e una riduzione di Clostridi. Anche il profilo di espressione genica è risultato differente nei 4 gruppi. In particolare, nei pazienti con DMT1 abbiamo osservato maggiore espressione di alcuni geni (CCL13, CCR2, IL4R, PTGS2, TLR4, VEGFA, CD68, PTX3, TNFα) rispetto ai CTR (Mann Whitney test, p<0.05); di questi, CD68, VEGFA, PTX3 e TNFα sono risultati significativamente meno espressi nei pazienti con MC rispetto ai CTR. L’analisi immunoistochimica infine ha confermato che nei diabetici le cellule positive per PTX3 e TNFα sono più rappresentate rispetto agli altri gruppi, e si localizzano rispettivamente nelle cellule epiteliali endocrine e all’apice dei villi. L’espressione dei marcatori infiammatori nel DMT1 non ha mostrato una correlazione diretta con le alterazioni del microbioma osservate. I risultati ottenuti in questo studio mostrano che la mucosa duodenale di pazienti con DMT1 presenta delle specificità in termini sia di composizione del microbioma che di profilo infiammatorio. I meccanismi alla base di queste peculiarità sono di cruciale importanza per la comprensione dell’eziopatogenesi del DMT1 e per eventuali future terapie mirate all’intestino.

 

 

ECOLOGIA DELL’IPOGLICEMIA GRAVE IN LOMBARDIA. ANALISI DESCRITTIVA DISAGGREGATA: LO STUDIO VIPOPS

Alessandra Braus

Università degli Studi di Milano, Facoltà di Scienze del Farmaco, Scuola di Specializzazione in Farmacia Ospedaliera

 

Introduzione: l’ipoglicemia iatrogena rappresenta una delle complicanze più frequenti del diabete mellito che può condurre all’ospedalizzazione e talora alla morte. Nel decennio 2001-2011 l’ISS ha condotto un’analisi che ha evidenziato che il 3.5% dei ricoveri (su 7.6 milioni nel decennio considerato) è stato generato dalle complicanze acute del diabete. I fattori di rischio sono numerosi, tra di essi concorrono in maniera preponderante soprattutto la terapia ipoglicemizzante, l’età e la durata del diabete o l’attività fisica intensa.

Materiali e Metodi: lo studio VIPOPS si propone di descrivere le caratteristiche, la frequenza e l’andamento temporale degli episodi ipoglicemici che richiedono l’accesso al pronto soccorso in diversi ospedali della Lombardia. L’osservazione degli accessi al PS copre un periodo temporale di tre anni: dal 01/01/2012 al 31/12/2014. I dati raccolti comprendono: età, sesso, tipo di diabete, durata del diabete, tipo di assistenza diabetologica, diagnosi, fattori precipitanti, luogo dove è occorso l’evento, motivo di accesso al PS, esito e destinazione all’uscita dal PS. L’analisi descrittiva disaggregata si occupa di presentare tutti i dati raccolti stratificandoli per centro e per anno utilizzando distribuzioni di frequenza. L’analisi della varianza è stata condotta con il metodo dell’ANOVA mentre l’analisi della tendenza relativa a tempo e centro è stata condotta utilizzando il modello di Poisson e/o modello quasi-binomiale per centro e anno.

Risultati: dall’analisi dei dati emerge che la distribuzione degli accessi a PS è significativamente diversa per centro ma si mantiene costante nel tempo. Le distribuzioni di frequenza relative a sesso, età, tipo di diabete ecc. evidenziano che per taluni ci sono differenze statisticamente significative per centro ma non per anno. Relativamente agli altri parametri analizzati (tipo di diabete, tipo di assistenza diabetologica, durata del diabete) si evidenzia una notevole percentuale di dato non noto che non permette di trarre conclusioni significative.

Conclusioni: tutte le analisi condotte mostrano che non ci sono particolari tendenze nel corso dei tre anni considerati, mentre sono evidenti per alcune variabili delle differenze statisticamente significative in relazione ai centri.

 

 

STUDIO OSSERVAZIONALE E DI INTERVENTO DI EDUCAZIONE ALIMENTARE IN DONNE CON PREGRESSO DIABETE GESTAZIONALE A RISCHIO DI SVILUPPO DI DIABETE MELLITO TIPO 2

Valentina De Mori

Università degli Studi di Milano, Facoltà di Scienze e Tecnologie, Corso di Laurea Magistrale in “Biologia applicata alle Scienze della Nutrizione”

 

Introduzione: il diabete gestazionale (GDM) è definito come una condizione di iperglicemia diagnosticata durante il II o III trimestre di gravidanza. Le donne che ne sono affette presentano negli anni successivi un maggior rischio di sviluppare DMT2, sindrome metabolica, alterazioni lipidiche.

Scopo: valutare la comparsa di anomalie del metabolismo glucidico ed esaminare la correlazione tra i fattori di rischio per tali alterazioni e i parametri rilevati nella popolazione studiata.

Pazienti e Metodi: sono state richiamate 255 pazienti con GDM seguite l’ambulatorio del Diabete Gestazionale dell’Azienda Ospedaliera di Treviglio tra gli anni 2007 e 2011. Sono stati raccolti: anamnesi, dati ematochimici ed antropometrici. È stata consigliata l’esecuzione di un prelievo ematico per dosaggio lipidico ed OGTT 75g per valutare alterazioni del metabolismo glucidico. Inoltre ogni donna è stata invitata a partecipare individualmente a 3 incontri di educazione alimentare, distanziati 3 mesi l’uno dall’altro, in cui venivano valutati lo stile di vita, le abitudini e le conoscenze in ambito nutrizionale.

Risultati: l’OGTT 75g ha evidenziato che il 25% delle donne che hanno aderito (N=88) presentava alterazioni del metabolismo glucidico (follow-up medio 5.1 anni). Le donne attualmente diabetiche (8%) mostravano già in gravidanza una glicemia basale maggiore rispetto alle normotolleranti (p<0.01). Il BMI elevato e l’eccessivo incremento ponderale in gravidanza sono risultati fattori correlati a livelli di glicemia basale maggiori (p<0.01). Le donne fumatrici presentavano parametri antropometrici ed ematochimici alterati (p<0.05) rispetto alle non fumatrici. Attraverso un’analisi statistica multivariata, l’età attuale e quella al concepimento sono risultati fattori di rischio per lo sviluppo di intolleranza ai glucidi e DMT2 (p<0.01). È stata infine valutata l’efficacia dell’intervento educativo attuato: dopo i 3 incontri il rischio di sviluppo della patologia, calcolato secondo l’algoritmo FINDRISC, è diminuito dal 50% al 36%.

Conclusioni: lo studio ha permesso di individuare fattori di rischio per alterazioni metaboliche in una popolazione a rischio, al fine di poter realizzare protocolli di prevenzione, anche dopo la nascita del bambino.

DIABETE ASSOCIATO ALLA PATOLOGIA PANCREATICA (DM tipo 3C): STUDIO OSSERVAZIONALE PROSPETTICO IN PAZIENTI CHIRURGICI

Alessandra Gandolfi

Università Vita-Salute San Raffaele, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Scuola di Specializzazione in Endocrinologia e Malattie del Metabolismo

 

Oltre all’aumentato rischio di cancro pancreatico nei pazienti con DM, è anche evidente un aumentato rischio di DM in pazienti con diagnosi di cancro pancreatico, suggerendo una forma di DM paraneoplastico ad oggi non ancora ben caratterizzato. Obiettivo del lavoro è di descrivere caratteristiche cliniche e fattori eziopatogenetici del DM associato a carcinoma duttale pancreatico (DM tipo 3C), identificare predittori di comparsa o remissione del DM post-intervento e di sopravvivenza. 364 pazienti con neodiagnosi di carcinoma duttale pancreatico sono stati ricoverati nell’Unità di Chirurgia Pancreatica dell’IRCCS Ospedale San Raffaele da gennaio 2008 a dicembre 2012. Alla diagnosi di carcinoma duttale la prevalenza di diabete era 48%: nel 70% dei casi la diagnosi era recente (<48 mesi dalla diagnosi di tumore pancreatico). Il DM tipo 3C era associato ai fattori di rischio del T2DM (età, sesso maschile, famigliarità, soprappeso/obesità), elevato HOMA-IR e ridotto HOMA2B. La remissione post-chirurgica di DM era predetta da bassa HbA1c all’intervento, marcata insulino-resistenza, gestione del DM con dieta e bypass del duodeno (gastro-digiunostomia palliativa, duodeno-cefalopancreasectomia). La comparsa post-chirurgica di DM era predetta dai fattori di rischio per T2DM, pancreasectomia distale e CT neoadiuvante. Nei pazienti con pancreasectomia con intento radicale, i predittori di sopravvivenza erano l’alto stadio e grado tumorale e la CT neoadiuvante, ma non un precedente DM o il grado di insulino-resistenza. Nei pazienti operati senza intento radicale (avanzato stadio), fattori prognostici sfavorevoli erano elevati marcatori di infiammazione (neutrofili), basso BMI e povero stato nutrizionale (indice di Onodera). Il DM tipo 3C nei pazienti con carcinoma duttale ha caratteristiche sovrapponibili al T2DM. Come osservato nella chirurgia bariatrica la remissione post-chirurgica del DM è conseguente a cambiamenti anatomici piuttosto che alla rimozione del tumore. Nei pazienti con basso stadio tumorale i predittori di sopravvivenza sono quelli tumore-correlati, con minore rilevanza dei fattori metabolici per il possibile rischio competitivo della patologia tumorale. Nei pazienti con stadio avanzato di malattia la sopravvivenza è influenzata soprattutto dallo stato infiammatorio e nutrizionale.

 

 

VALUTAZIONE METABOLICA DEI PAZIENTI AFFETTI DA CIRROSI EPATICA CANDIDATI A TRAPIANTO D’ORGANO: ANALISI DEI PARAMETRI DI SECREZIONE β CELLULARE, DI INSULINORESISTENZA E VALUTAZIONE DEL RISCHIO DI SVILUPPO DI CARCINOMA EPATOCELLULARE

Valeria Grancini

Università degli Studi di Milano, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Scuola di Specializzazione in Endocrinologia e Malattie del Metabolismo

 

Background: il diabete mellito (DM) presenta un’elevata incidenza in pazienti con cirrosi. Il ruolo rivestito da secrezione e azione insulinica e gravità dell’epatopatia non è ancora chiarito.

Scopo: Valutare la prevalenza di alterazioni metaboliche, analizzare la funzione β-cellulare, il grado di insulino-resistenza (IR) e la relazione con HCC in pazienti cirrotici candidati a trapianto con storia negativa per DM.

Materiali e Metodi: valutati 206 pazienti (138M/68F), 76 affetti da HCC, sottoposti a valutazione antropometrica, metabolica basale e a OGTT. Le curve di glucosio/C-peptide sono state analizzate mediante modelli matematici e il grado di IR tramite HOMA-IR e OGIS-2h.

Risultati: 36 pazienti sono risultati normotolleranti (NGT), 69 affetti da intolleranza ai carboidrati o alterata glicemia a digiuno (IFG+IGT) e 101 con DM.

L’incidenza di alterazioni metaboliche aumentava al peggiorare del compenso epatico (DM nel 24.6% dei pazienti in classe A e nel 65.4% dei pazienti in classe B o C, in base a Child Pugh-score). Gli indici di sintesi epatica, quali il colesterolo (160.3±72.4 vs 132.5±44.9 vs 128.3±44.9; P<0.05), l’LDL (95.8±64.5 vs 68.9±35.2 vs 65.1±35.7, P<0.05), l’albumina (3.75±0.5 vs 3.5±0.6 vs 3.4±0.5, P<0.05), le pseudocolinesterasi (2208.1±373.2 vs 2477.8±314.7 vs 1673.2±172.6, P<0.05) e la conta piastrinica (124.9±103.8 vs 103.9±68.1 vs 73.1±35.9, P<0.05) dimostravano una graduale diminuzione passando da NGT a IFG+IGT a DM. All’analisi della funzione α-cellulare è emerso un deficit sia nella 1° fase (1705,07±1553,09 vs 1498,45±1339,97 vs 700,99±859,25, P<0.01) che nella 2° fase della curva di secrezione insulinica passando da NGT a DM.

L’HOMA-IR aumentava passando da NGT a IFG+IGT a DM (2.86±2.01 vs 4.67±4.75 vs 5.93±7.02, P<0.01) ed era maggiore nei soggetti HCV+ (5.31 ±4.63 vs 4.47±6.71, P<0.05). L’OGIS diminuiva in modo speculare da NGT a IFG+IGT a DM (417.38±77.93 vs 372.39±81.44 vs 352.02±79.48, P<0.01). Infine, la prevalenza di HCC era maggiore nei soggetti IR (43.5% IR+ vs 28.2% IR-, P<0.05).

Conclusioni: nei pazienti affetti da cirrosi il rischio di sviluppare DM aumenta all’aggravarsi dell’epatopatia ed è dovuto alla concomitante presenza di deficit di funzione β-cellulare (1° e 2° fase) e aumentata IR. I soggetti IR sono esposti a maggior rischio di sviluppo di HCC.

 

 

LIVELLI DI CALCITONINA BASALI E DOPO TEST DI STIMOLO CON CALCIO GLUCONATO IN UNA POPOLAZIONE DI PAZIENTI AFFETTI DA DIABETE MELLITO TIPO 2 ED IN TRATTAMENTO CON AGONISTI DEL RECETTORE DEL GLP-1

Maria Elena Lunati

Università degli Studi di Milano, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Scuola di Specializzazione in Endocrinologia e Malattie del Metabolismo

 

La somministrazione di Liraglutide, agonista del recettore del GLP-1 (GLP-1R) a lunga durata d’azione, nei ratti è stata associata allo sviluppo di adenomi e carcinomi delle cellule C tiroidee. Nell’uomo, GLP-1R risulta essere espresso ad elevato titolo nelle cellule C affette da iperplasia (CCH) e nei carcinomi midollari tiroidei (MTC). Tuttavia, non sono state riscontrate modificazioni dei livelli basali di calcitonina in pazienti affetti da diabete mellito tipo 2 posti in terapia con Liraglutide. Allo scopo di individuare un eventuale sviluppo di iperplasia delle cellule C durante trattamento con Liraglutide, nel presente studio sono stati valutati i livelli di CT sia basali (bCT) che dopo test di stimolo con Calcio gluconato (sCT).

Materiali e Metodi: sono stati valutati 26 pazienti (M/F: 9/17; età media: 57.2±10.2 aa), affetti da DMT2 e posti in terapia con Liraglutide, al baseline e dopo 1, 3, 6 e 12 mesi di trattamento. Ad ogni valutazione sono stati analizzati bCT, sCT, parametri antropometrici e glicometabolici. L’analisi ecografica della tiroide è stata eseguita al basale e dopo 12 mesi.

Risultati: i valori di bCT si sono mantenuti nei limiti di norma in tutti i pazienti durante l’intero follow-up. Il maggior picco di sCT dopo test di stimolo è stato raggiunto dopo 1 e 3 mesi di trattamento, rispettivamente in maschi e femmine (Maschi: 0 vs 1 mese: 33.8±21.9 vs 45.4±35.4 pg/mL; Femmine: 0 vs 3 mesi: 36.1±42.6 vs 39.1±52.2 pg/mL), con una progressiva riduzione ai controlli a 6-12 mesi. La maggiore riduzione dei valori di HbA1c è stata raggiunta dopo 3 mesi di terapia (0 vs 3 mesi: 7.8±1.3 vs 7.1±1.1%, P=0.02), parzialmente persa a 12 mesi (0 vs 12 mesi: 7.8±1.3 vs 7.3±1.5%, P=0.2). I valori di BMI e circonferenza vita hanno dimostrato una progressiva riduzione. Le concentrazioni plasmatiche di lipasi sono significativamente aumentate, raggiungendo valori di picco dopo 1 mese (Lipasi 0 vs 3 mesi: 42.3±17.2 vs 89±65.5 U/l, P<0.01). Non si sono registrate differenze significative allo studio ecografico della tiroide pre e post-trattamento.

Conclusioni: la somministrazione cronica di Liraglutide non ha provocato variazioni significative sia di bCT che di sCT. Sebbene i valori di bCT rimangano nei limiti di normalità durante tutta la durata dello studio, le concentrazioni di sCT sono aumentate durante i primi 1-3 mesi di trattamento, e progressivamente diminuite fino a livelli di baseline, in accordo con gli effetti rilevati a livello glicometabolico. Questo andamento indica la possibile presenza di fenomeni di desensibilizzazione recettoriale, in grado di proteggere le cellule C tiroidee dallo sviluppo di CCH.

 

 

IL PANCREAS NEL DIABETE DI TIPO 1: NON SOLO β?

Rita Indirli

Università Vita-Salute San Raffaele,Milano, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Corso di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia

 

Il diabete di tipo 1 (T1DM) è una malattia della β cellula pancreatica: alcune evidenze tuttavia indicano un coinvolgimento anche del tessuto pancreatico esocrino che potrebbe rivelare aspetti patogenetici nuovi. Questo studio ha l’obiettivo di confrontare la funzione pancreatica esocrina in pazienti adulti con T1DM all’esordio (entro 3 mesi dall’inizio di terapia insulinica, NO), pazienti con T1DM di lunga durata (superiore a 5 anni, LS) e controlli sani (HC). Sono stati valutati quattro parametri di funzione pancreatica: amilasi e lipasi sieriche, elastasi pancreatica fecale ed attività lipasica misurata mediante breath test con trigliceridi misti (MTGT). Sono stati inoltre misurati emoglobina glicata (HbA1c) e C-peptide sierico a digiuno, emocromo con formula leucocitaria, indici infiammatori, indici di stato nutrizionale e calprotectina fecale. Sono stati esclusi segni e sintomi di insufficienza pancreatica severa mediante checklist standardizzata. Sono stati inclusi 11 pazienti LS, 5 NO e 10 HC comparabili per età e BMI. In tutti i partecipanti i parametri valutati sono risultati entro i range di normalità. Comunque, in tutti i pazienti diabetici almeno uno dei parametri di funzione pancreatica è risultato inferiore al 25° centile della popolazione di controllo. L’attività lipasica misurata con MTGT, la lipasi sierica e l’elastasi fecale sono diminuite sia nei pazienti LS che nei NO rispetto ai HC. L’amilasi sierica invece è aumentata nei NO rispetto ai HC, ma diminuita nei LS. Dei quattro parametri, solo l’amilasi sierica è risultata significativamente diversa tra i due stadi di malattia (ρ 0,0180). L’attività lipasica al MTGT correla inversamente con i valori di HbA1c (ρ -0,50) e direttamente con il C-peptide (ρ 0,51). La durata di malattia correla inversamente con l’amilasi su siero (ρ -0,52) ma non con la lipasi sierica né l’attività lipasica al MTGT. I tre gruppi non hanno mostrato differenze nella distribuzione delle popolazioni cellulari nel sangue, negli indici infiammatori o nei valori di calprotectina fecale. Nel T1DM la funzione pancreatica esocrina è ridotta in tutti gli stadi di malattia, anche se i meccanismi sottostanti potrebbero essere diversi tra l’esordio e la malattia di lunga durata. La comprensione del ruolo patogenetico del pancreas esocrino nel T1DM è fondamentale per l’individuazione di nuove strategie terapeutiche e preventive.

[/protected]